Salvatore Satta è stato un giurista, un grande giurista tutta la vita, ha esercitato la sua carriera universitaria l'ha fatta durante il fascismo, è rimasto un conservatore, e nel libro ci sono molti giudizi “di destra” , è stato collaboratore de “Il Tempo”, un democristiano di destra di una volta ( quando c'è stato il referendum sul divorzio si è espresso contro il divorzio, quindi fu favorevole all'abrogazione della legge, sostenendo l'indissolubilità del matrimonio)
Nel romanzo racconta una grande famiglia, di Don Sebastiano Satta, che somiglia molto alla sua, con i genitori a cavallo tra 800 e 900, ma a cavallo tra l’arcaico e il moderno.
Satta racconta la lenta evoluzione naturale di una famiglia e di una comunità, come fosse il percorrere naturale delle stagioni, con quella ostinata convinzione di avere la verità, la saggezza della matrice contadina mescolata con la sapienza del fine uomo di legge abituato alla colpa umana. La sua prosa procede calma, con assertività e solidità. “Il giorno del giudizio” è il racconto sulla immutabilià umana, fatta di riti antichi, di unàradicamento - anche se la storia viene continuamente a minare questa immutabilità, da qui anche la quella visione negativa dell’esistere, un mondo senza sogni ,senza sorrisi, senza felicità, tutto impegnato a vivere che anche quando è da benestanti come la famiglia Satta, sempre sia stremato, precipitato nella vita come un condanna. Nel giorno del giudizio, che è ogni giorno.
Satta ha una visione quasi nichilista dell'esistenza degli uomini, troppo spesso i loro difetti, i ma in questo giudizio un conservatore, un reazionario come Satta riesce a diventare anche uno scrittore acuto un grandissimo scrittore acuto e la storia di una famiglia, come tutte le altre, infelice come tutte le altre. Un tolstoiano cupo.
E’ la storia di tutte le famiglie per certi aspetti nella loro segreta imperscrutabilità. È come se il mondo arcaico della Sardegna che racconta Sebastiano Satta volesse Saltare questo accidente fastidioso che è “la storia” e collegarsi subito all'eternità, altrettanto radicata, come ulivo o pianta di rovi, nella terra.
Il giorno del giudizio ci attende alla fine della vita, non altra vita che viene dopo noi. La vita è un lento decadere. Le radici sono importanti e lo è “l’aldilà” – quel che c’è in mezzo, solo pena, rancore, insoddisfazione, dolore.
Non a case è un libro in cui i morti e i vivi dialogano fittamente tra loro e il primo a dialogare è Satta coi suoi morti. Il racconto delle varie generazioni di Don Sebastiano, la storia della sua casa è una storia della materialità, la radice arcaica italiana è nella casa è nella roba con questa si hanno rapporti Vital, i quasi biologici, quasi Mistica e non è un caso che in Italia è grande romanzo borghese non c'è stato perché non c'è stata la borghesia ma c'è stato un grande romanzo conservatore un grande romanzo di piccoli proprietari terrieri di proprietari in generale che hanno raccontato “la rovina” anche della proprietà, spostando indietro nel passato loro racconto : Manzoni, Gadda con la Cognizione del dolore, Verga con I Malavoglia e Sebastiano Satta: tutti e quattro sono stati in varia misura “di destra” conservatori, sicuramente non progressisti, ma il loro racconto è servito molto alla critica letteraria progressista, racconto durezza della vita . Tutti e quattro come altri autori simili, scrivono romanzi – e narrano storie – che sono sia “ senza idillio” – come la definizione di Raimondi per Manzoni - sia senza redenzione. Sempre c’è la catastrofe, nella storia, nei giorni, e il male è negli uomini, la colpa è insita nel vivere. UN pessimismo rancoroso, che guarda solo “all’aldilà “ – così è forte in Satta. Come in Manzoni.
LA costante di questi autori è quella della natura umana: contano gli individui, la famiglia, le donne la folla da un punto di vista conservatore, tuto è già dato, il destino segnato, non si modifica.
Tragicamente conservatori, più che convintamente. Non c’è scampo. Sono romanzi di grande forza psicologica e spesso anche offrono una sponda a una visione critica dell’esistente, ma non perché ci sarà un esistenza ulteriore che vendicherà questo momento, no: tutto è senza storia, tutto è un nascere e morire ternando nell’oblio da dove eravamo venuti.
Eppure sono romanzi che conoscono e dicono bene l’Italia profonda – o il costante “de profundis” dell’Italia per dirla con Giuseppe Genna, che non è un conservatore, ma è certo un fustigatore e per certi aspetti un apocalittico dell’esistere allo stesso modo.
Il pur bel romanzo “M” di scurati che racconta l’ascesa del fascismo, manca a esempi odi questa visione di questo contatto con la profondità della plebe e del popolino piccolo proprietario – che è il serbatoio dell’immutabile conservatorismo italiano, che Scurati racconta più seguendo Mussolini e tutti gli altri della classe dirigente, perché sono uomini che hanno lasciato documenti.
Satta racconta gli uomini senza volto e ricordati forse per un nomignolo, ma poi presto dimenticati. Uomini senza storia. Satta raccolta l'immutabilità, la scarsa fiducia nel cambiamento, la eterna sconfitta , l'eterno rancore, l'eterno attaccamento alle cose materiali, la sudditanza ad un'autorità più forte - sudditanza non solo perché sono dei conservatori, ma perché sono convinti che così è sempre stato il mondo e così sempre sarà, ma così facendo raccontano l’Italia meglio di altri. Il nostro paese è condizionato da questa logica.
Servo-padrone, verticale, non riuscirà mai a essere una commedia umana, orizzontale, tra simili. Come accade in Dickens Come accade in Balzac: Borghesi che raccontano Borghesi, con gli alti e bassi della vita, ma con sguardo orizzontale . Invece i narratori –padroni dell’Italia, raccontano dall’alto verso il basso, pur essendo molto vicini a quel “basso” .
Anche Pasolini a suo modo è stato un conservatore, di certo si è “calati” nelle periferie romane, - certo quanto più possibile e con empatia e solidarietà, ma non nella dimensione orizzontale (cos’ alla fine, i romanzieri del Neorealismo italiano – forse tra i pochi a raccontare alla pari, sociologicamente erano Moravia o Bassani.
L'estrema modernità di un autore come Satta, si basa su convinzioni piantate nella roccia, sula mancanza di speranza, la Sardegna senza essere folkloristico come Murgia o Niffoi, in apparenza distaccato E cioè sistema delle regole arcaiche immutabili e della proprietà e al tempo stesso di chi è realmente appartenente a quel mondo e in questo caso la Sardegna ma che diventa inevitabilmente una metafora italiana più appare distaccato è diverso isolano questo momento come cade da altri autori siciliani come Pirandello altro grande conservatore altro grande disilluso altro grande lista per certi aspetti nichilista storico il racconto della realtà è la tragedia della realtà non c'è altra via d'uscita.