venerdì 30 agosto 2019

"FUOCO AL CIELO" Viola Di Grado (Teseo)



La letteratura funziona come l’amore o come le radiazioni nucleari. C’è una energia invisibile e potente e a volte mortale. Dopo aver finito “Fuoco al cielo” di Viola Di Grado sono rimasto muto.
Le categorie del piacere estetico , normali concetti della critica, non mi sembravano adatte – o meglio lo erano e al tempo stesso, avevo bisogno di quell’ammutolire.
Una risposta afasica dopo la lettura di un romanzo, è già forse la giusta misura di quella che i critici francesi chiamavano con un eccesso di iperletterarietà il “corpo a corpo con la scrittura”.
 Nella storia e nella scrittura di Viola di Grado (d’ora in poi VDG) per questo libro (ma in un certo senso vale anche per gli altri) ho trovato l’ombra di una materia oscura, l’enigamtico per I fisici, il non ancora spiegabile, e credo sia il segno a-linguistico del fatto che la scrittura abbia colpito.

Non intrattiene, questo libro. Inchioda, semmai. Un romanzo che torce le concezioni, i parametri che abbiamo delle cose. Da questa forza, anche ctonia, minacciosa,  il lettore può trarre le emozioni. Di solito non è il miglior parametro (un libro che emoziona, come refrain più comune) perché un romanzo è un testo e tutto quello che si genera, certo anche una reazione emotiva, deve poter essere argomentato (se non dimostrato) da come funziona il testo.

VDG ha una delle scritture con il più alto tasso di forza stilistica, tra gli scrittori under40 che spesso abdicano anche per buoni libri, ad un medium linguistico che è lo stampo editoriale di questi anni, predominante, ma per fortuna non totalizzante.
La qualità dello stile di VDG viene da una capacità di scelta terminologica, da un dosaggio della sintassi, dei periodi, e anche naturalmente delle modulazioni, del montaggio della storia, scena per scena per dirla con linguaggio filmico.

Quei c’è qualcosa che però viene prima, come una sfida al linguaggio che viene proprio anche dal contenuto della storia narrata. Seguendola (tra poco ne accenno) il lettore (specie verso la fine) sarà portato in una zona interdetta del “tremendo”, nel lato irreale della Realtà, una realtà che ha in più i connotati documentari della Storia, pur essendone parte, perché VDG parte da una storia documentata, dell’URSS rtra gli anni 50 e il suo sfaldamento dei 90,
poi dà forma a una distorsione di realtà, una realtà aumentata dalla scrittura che fa emergere ombre, enigmi, sentire irriducibile che è “nel magma” per dirla con Mario Luzi . E’ lo spiazzamento, lo scarto dall’umano, ma anche la sfida all’inesprimibile dei poeti.
Essa stessa, la realtà, narrata, la storia  (ora capirete perché se non avete letto) è un “luogo che non è sulla mappa” del nostro linguaggio. Parole per dirla, mancano, come manca la “città segreta” che è la cornice-ma- protagonista di questo romanzo.

Nel romanzo precedente (Bambini di ferro) certe dinamiche dell’oggi, certi nodi del nostro tempo che VDG affronta  – l’incrocio tra maternità e tecnologia nella procreazione, l’estrema trasformazione dell’ambiente per un disastro sempre causato dall’uomo, il sopravvivere di un pensiero ancestrale e di un istinto della natura, dentro la praxis moderna – erano collocati in un futuro non distante ( l’anno -26 di questo nuovo secolo o del prossimo, chissà).

La storia di “Fuoco al cielo” come detto è invece volta nel passato,  riprende anche alcuni di quei temi – ambiente, nel senso più lato del termine, e maternità su tutti -  collocandoli dentro la vicenda realmente accaduta in Russia, nel trapasso del crollo post-URSS, nel villaggio di Muslijumovo, nei dintorni di una delle decine di ZATO sovietiche, nome in codice delle cosiddette  “città segrete”, perché non registrate sulle mappe, sede di programmi di sperimentazione nucleare, iniziati negli anni ’50 e che causarono una serie di incidenti, taciuti al mondo e alla popolazione locale, che visse circondata da radioattività. A Msulijmovo abitando, oltretutto, vicino ad un fiume in cui furono sversate tonnellate di scorie nucleari.

.  Qui proprio in quegli anni ‘50 è nata e vive Tamara (Tamara Vasil’evna Prosvirina, realmente esistita a cui il libro è dedicato) e a Muslijumovo all’inizio degli anni 90 va a vivere per sua scelta, Vladimir. Tamara è insegnante, in qualche modo è abituata, svelato il segreto dell’area radioattiva in cui sono cresciuti, quel luogo poi riammesso alle mappe col suo cancro inestirpabile, è abituata a dimenticare e al tempo stesso sa che non può che considerare la propria vita come qualcosa che brucia e brucerà, si consuma, si contamina. Anche la sua depense erotica, notturna, nei locali,  in qualche modo ne è parte. Di giorno Insegna a bambini,  ma per loro, come fu in passato per lei all’orfanotrofio, essite solo una verità intima di morte, con loro dalla nascita. Vladimir è infermiere, è idealista, ma anche pieno del suo sogno di aiutare gli altri, quasi come volontà di sfidare sé stesso.

Tra I due nasce una passione amorosa, erotica, piena ma asfissiante, nevrotica assoluta. Assoluta perché segnata da un binario morto, la loro possibilità di estendersi in una procreazione è negata. Lo sarà, dagli eventi, lo era già,  dalla storia biologica che ne segna il destino. Tamara è cresciuta contaminata,  è depositaria sia una consapevolezza tragica di una storia svuotata, scavata nel corpo quella impossibilità, fin dall’infanzia in orfanotrofio, le torture per ridurre le tracce di stronzio.
Valdimir no, viene da fuori quella città in cui abitano i  vivi come fossero morti e morti che continuano ad essere vivi.
Tamara è dunque l’urlo – che per noi lettori si blocca in gola – tragico che si ribella all’impossibile. Tamara abita la sua “ferita speciale” d’essere una bambina atomica, il suo sacrificio, il cuore cavo della grande storia di cui portava da innocente il peso o il segno. In qualche modo “Fuoco al cielo” ha il segno del tragico greco, il fato qui è l’irreversibile della contaminazione.
Una storia che aliena, che rende automi, che costringe Valdimr a passare dal sogn di aiutare gli altri a farsi compilatore di fascicoli “la sua specialità è annunciare la fine della vita” nell’universo disumanizzato del totalitarismo.
Il romanzo ci accompagna in questa geografia di terre estreme, fino al punto di non esistere luoghi di  sentimenti estremi in cui la sopravvivenza è di fatto un vivere oltre la morte (“ I morti non vanno mai via da Muslijumovo”) e VDG trova nei luoghi oscuri del 900 materia più inquietante che in tanti romanzi di fantascienza 8ma I migliori del 900, da Dick a Pynchon, da quel 900 trassero ispirazione).

Per questo “Fuoco al cielo” si legge a più livelli,  vicenda di Tamara, romanzata,  il romanzo storico, realista, ma pure l’avventura distopica, futuribile.
L’elemento agghiacciante, che scardina tute le categorie è propria l’allucinante vita di questi microcosmi fantasma ,definito poi nel dettaglio attraverso la penetrazione psichica dei personaggi protagonisti.

Conoscevamo sentimenti estremi dell’umano che scivola nella deriva della disumanità, dal passato e da libri – per restare in ambito sovietico -  come “I racconti della Kolyma” di Salamov o “Vita e destino” di Grossman, come pure Arcipelago Gulag di Solzenicyn. Qui VDG prende quella materia storica che apaprtiene allo stesso universo storico (lo stalinismo)  e la tratta diversamente  (ricordiamo anche, per venire alla materia atomica ma più recente,  le testimonianze di “preghiera per Cernobyl di Svetlana Aleksievic) facendo precipitare il nucleo dell’Eros e della maternità vissuto da Tamara  come l’enigma con cui ancora oggi tutti ci misuriamo, ma impastati dentro quell’incubo atomico, come se fossero anche essi frutti di un disastro. Lo sfondo storico e ambientale duro, non è solo un fondo, è anche la collocazione di un destino di coppia che non riesce a compiere il proprio destino, non riesce a comunicare (è un' afasia continua) né a procreare. Sono dentro un destino globale, perché quello che accade nella  città  segreta non riguarda solo il senso di possibilità di Tamara e Vladimir ma in qualche modo potrebbe riguardare tutti I destini, I destini di noi tutti. IN questo senso VDG non va a collocarsi ovviamente dentro quella tradizione russa,ma usa questa storia puntando all’essenziale dei nostri tempi,  da autrice  poco più che trentenne, del XXIsecolo, autrice nata l’anno dopo Cernobyl, in Sicilia, legata tanto alla sua terra quanto a Londra o al Giappone in cui ha vissuto, insomma un’autrice più che italiana, autrice globale come tante altre figure della letteratura contemporanea.

Fuoco al cielo è la storia di chi vive prossimo al “tremendo” che prende forma nell’invisibile del male, ma diversamente dal Male assoluto (per dirla con il titolo del libro di Pietro Citati) che angosciava Da Dostoevskij a Kafka o Camus, ecc, qui il Male è invsibile e reale, è aria e pneuma, e quel  “qualcosa di terribile” che è accaduto nella città segreta e  che segnerà anime e corpi per sempre enessun tormento interiore poteva scacciarlo, , nessun senso di colpa, nessuna purificazione, se non forse la follia o la morte Noi lo sappiamo, oggi, ma seguiamo i protagonisti dilaniati dal non sapete , bruciati dalla sofferenza.
 Una storia di maternità impossibile e che pure proverà a essere tale , ostinata e mostruosa oltre quell’impossibilità, piegando la vicenda ai confini del fantastico – ma in quel non-luogo il fantastico è l’irrealtà del reale, quindi tutto si confonde. La asciuttezza, la sintassi incalzante, veloce, senza concedere a facili espressionismi o effetti emotivi, rende tuttavia al meglio nella prosa questo processo di ammutolimento che di per sé ovviamente sarebbe la negazione della letteratura.
 Ben ha fatto VDG a tenere vicino alla cosa, nello stile, con un levare, con un asciugare, una prosa d’acciaio lucida e lineare, fino alla brutalità,

Maternità tremenda e storia d’amore, di quando l’amore supera i confini del visibile e del logos-e di ogni suo Possibile “discorso amoroso” anche il più eccessivo, quasi che la negazione dell’ impossibile  possa essere il solo modo di poter vivere sia l’amore che la maternità, che però non possono più avere questi nomi, non corrisponderebbero a ciò che si trova a vivere soprattutto Tamara.
Amore che non ha più nomi E sconfina nel non-dicibile. Ammutolisce.

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