E’ in scena fino a domenica al Piccolo di Milano - Sala Melato, “Carbonio” scritto e diretto da Pier Lorenzo Pisano, autore classe 1991, che nasce come regista cinematografico e che mette in scena un’opera composita, una specie di favola con tratti da fantascienza (e un qualche sottofondo scientifico sulla natura della materia di cui siamo fatti) in ci si intrecciano due fili drammaturgici: uno è una sorta di interrogatorio-seduta di terapia psicologica, al centro della scena dei due personaggi “Lui “ e “Lei” (sono il bravo Mario Pirrello e la bravissima Federica Fracassi).
Lui ha avuto un incontro ravvicinato con un alieno e Lei – forse una psicologa forse un’investigatrice - cerca di capire cosa è accaduto, stimolando i ricordi dell’uomo, inquinati però sia dalla sua rimozione o forse amnesia. A confondere la sua memoria il fatto che questo incontro – filmato come è inevitabile con i cellulari – è stato postato nelle reti sociali e ora Lui non sa dire se quello che ha vissuto è ciò che ricorda o se quel che ricorda è solo ciò che ha visto in video (vedendo sé stesso) in rete. Del perché venga incalzato da Lei a raccontare si intuisce, poco a poco (con qualche salto o lacuna forse) dal secondo filo drammaturgico che svolge il racconto di come gli umani, nel 1977 abbiano raccontato loro stessi nei dati registrati nel disco d’oro installato e spedito a bordo del Voyager nello spazio, scommettendo sulla possibilità che quel disco potesse venir “letto” da altre forme di vita intelligente nel cosmo. Oggi Voyager ancora vaga nell’universo, a 23 miliardi di chilometri. Quel racconto per immagini, icone segni viene mostrato coi suoi disegni o foto e analizzato e ridicolizzato nella sua ingenuità dallo stesso Pisano, anche egli in scena, intervallando l’interrogatorio con le sue considerazioni, tra ironia e scienza. Il punto di partenza di questo filo tenuto dal regista è l’elemento del Carbonio che dà il titolo alla pièce. Il carbonio si trova in tutte le forme di vita organica, ed è la base della chimica organica, elemento cardine del ciclo biogeochimico della Terra. Agli Alieni però, gli umani del 1977 hanno mandato informazioni piuttosto ridicole e egocentriche di cosa sia la vita sulla terra. Foto e disegni banali di figure umane e animali, chiaro esempio di quello che oggi chiamiamo l’Antropocene. Pian piano questo elemento di consapevolezza scientifica si intreccia, come dicevamo, con l’altro filo conduttore, con l’evento del contatto alieno dell’uomo. Questo incontro, sembra emergere, potrebbe influire sulla possibilità per “Lui” di poter correggere i traumi della sua vita, primo tra tutti la morte della figlia di dodici anni.
Qui il testo mostra forse un suo limite dovuto alla comprensibile volontà di mettere dentro tante cose:aver tirato in ballo il Carbonio porta alla consapevolezza sulla necessità di cambiare i paradigmi della realtà, seguendo le ipotesi che conseguono dalle scoperte scientifiche, prime tra tutte la fisica quantistica e le sue conseguenze sulle altre scienze, specie la biologia evoluzionista. Si pensi all’idea di tempo, si pensi all’idea stessa di vita e morte che – se letta nella metamorfosi generale della materia – non hanno più senso. In teoria, proprio seguendo alcune delle conseguenze delle ipotesi probabilistiche della meccanica quantistica, poiché il tempo non ha una sua linearità ma si ipotizza da parte di alcuni fisici anche una possibile (per ora solo teoricamente) sua dimensione multipla e parallela, si potrebbe dire – come il gatto di Schrodinger – che anche la figlia di Lui è al tempo stesso sia morta che viva in un altro dei molti mondi paralleli.
A Pisano interessa più il lato della fantascienza, dunque più il lato narrativo
e psicologico della questione umana, in cui inventare storie può servire a
medicare un dolore, inventando possibilità fantastiche di altri finali. Ed è
quello che il personaggio “Lui” fa, perché
infatti si è convinto che la figlia sia
viva. In realtà, sollecitato da “Lei” emerge – ma in modo non molto chiaro
nella scrittura drammaturgica a dire il vero – è che questo incontro con l’alieno apra
possibilità reali e non solo fantastico-psicologiche, di modificare la realtà, non
solo di farlo nel “racconto che cura” . Sembra di stare in quella zona
concettuale del film A.I. (di Spielberg/Kubrick) verso la fine, quando compaiono
i Mecha creature evolute dalla robotizzazione stessa, che ritornano sul pianeta
distrutto tra migliaia di anni e come esseri-non umani, ma pura intelligenza, sono interessati
a scoprire nel bambino-non-umano arcaico, le tracce di un’umanità che in lui ancora erano
presenti, immesse dagli scienziati che le avevano create, tra queste proprio i
ricordi e le emozioni che “provava” ( Come è noto di recente un ingegnere di
Google ha sostenuto, lanciando un allarme per il quale la Alphabet lo ha
licenziato, che l’intelligenza artificiale a cui stava lavorando era diventata “un
soggetto” autonomo).
A mio avviso forse
la scienza e le sue ipotesi su ciò che sia reale, sulla sua struttura, su come
il tempo e lo spazio cambino i paradigmi meritava più spazio, rispetto alla
fantascienza tutto sommato potrebbe essere un’estensione dell’umanesimo. Anche
questo però rimanda ancora a un punto controverso e in studio da parte dei ricercatori.
Provo a sintetizzarlo. Ciò che ci fa sentire di essere “noi stessi”, anche prima
di dire o razionalizzare un “io sono” è il punto ancora misterioso per la
stessa ricerca scientifica.
E’ quello a cui si aggancia il finale della pièce di Pisano, che sembra assumere
come necessaria la fragilità, la debolezza di inventare storie, attaccarsi ai
ricordi, o reinventare la propria storia per curare le ferite del passato, che
forse perdona anche l’ingenuità dei compilatori del Voyager, in quello spirito della
curiosità, del contatto e della relazione – e dunque del linguaggio, ma non
tanto del linguaggio in sé, quello è attitudine di forme viventi animali e
vegetali, ma il linguaggio (è la conclusione del paleo-linguisti, dei neuro-antropologi)
come capacità di inventare l’invisibile,
capace di creare i miti e raccontarli all’altro. L’Antropocene è la storia di
una presunzione dell’uomo quella di essere superiore e poter dominare la natura.
Oggi la scienza, la biologia evoluzionista riduce di molto la rilevanza della
specie umana nella parabola di tutta la storia del pianeta. L’intero ciclo della
vita sul pianeta dura infatti da 3,7 miliardi di anni, di fronte ai quali i 100
mila anni di vita dal Sapiens, ma anche i milioni da quando eravamo pesce, sono davvero poca cosa e così come è iniziata
la specie umana potrà dissolversi o mutare in altro (i Mecha?) e non solo per
l’inquinamento globale ma per una evoluzione naturale di tutto il sistema delle
forma di vita. Certo, rispetto alla capacità di usare il linguaggio per un’astrazione
– come del resto fa la fabula ma anche la matematica che aiuta a scoprire il
reale della materia - resta quel “qualcosa”
che sanno fare solo gli umani. C’è chi considera anche questo “qualcosa” (ora
sto davvero sintetizzando al massimo) una delle tante necessità evolutive e non
estrae da dominio della natura neppure questa capacità di astrazione intelligente.
Altri invece, anche tra gli scienziati, tendono a considerarla un segno di
eccezione, riaprendo a ipotesi anche metafisiche per l’umanoide. La discussione
è aperta.
Come si vede Non è facile mettere tutto dentro un testo, lo stesso sarà stato
per Pisano in quello teatrale che deve
sottostare a durate, comprensione di un pubblico per quanto interessato, magari
non uso a letture scientifiche – e fa bene il giovane teatro italiano ad
introdurre tematiche legate alla vita sul pianeta, al clima nei suoi testi. Dunque
il difetto di “Carbonio” può essere quello di eccesso di buone idee, non di
mancanza. Lo spettacolo in ogni caso fila, si segue, risalta anche per un uso
di scenografie appropriato e soprattutto è tenuto in tensione dalla bravura dei
due interpreti. ,