sabato 5 giugno 2021

"1984" è diventato un anno feticcio. Meglio leggere "Millenovecentottantaquattro" (traduzione di Tommaso Pincio)

 


Questa è la copia che mi ha regalato Tommaso Pincio della sua nuova traduzione di “Millenovecentottantaquattro” che già dal titolo in lettere segnala una sua specifica, coraggiosa ma giusta fedeltà all’originale. (era " Nineteen Eighty-Four", London, Secker & Warburg, 1949)
Cosa fa di questo libro un oggetto speciale? In fondo è una copia, riprodotta tecnicamente come tutte le altre da Sellerio. C’è un segno della sua specificità? Una traccia ? Per me c’è un’aura, in questo libro, ma è solo mia, è stata caricata di splendore dal gesto generoso dello scrittore qui traduttore.

 La riproducibilità è tecnica e per estensione diremmo anche “tecnologica” (la stampa di Gutenberg è l’inizio dei media moderni). Al tempo stesso, un oggetto riproducibile può essere anche iconico, feticcio, la merce lo è.  Lo è anche il concetto legato ala merce.  Lo è anche il termine “1984” e “orwelliano”, concetti feticcio e lo è il libro nella sua “aura” culturale come simbolo (feticcio) di libertà di pensiero.

Ho insistito su copia a stampa, perché il dettaglio tipografico, tecnico, di esecuzione a stampa, è  essenziale per uno dei passaggi chiave del libro, che Pincio segnala ricordando,  nell’introduzione di questa sua traduzione 2020, per Sellerio,  che nella prima edizione inglese del 1949 a pag. 296 quasi alla fine, c’è la scena in cui Winston Smith, dopo essere stato interrogato (dal funzionario, furbissimo e intelligentissimo,  O'Brien ) e sottoposto a un pressing psicologico estremo, schiacciato dal potere , scoperto nei suoi propositi di ribellarsi, perduto l’amore, con un tradimento reciproco, Smith è ritornato da solo alla mensa e qui , scrive Pincio “comincia a vagare coi pensieri e senza rendersene conto, scrive con la punta del dito nella polvere che vela il tavolo 2+2=5”. (qui siamo a pag. 406 della stampa Sellerio)


Era – quel risultato illogico - quanto aveva insinuato il suo inquisitore. Era quella  la verità che veniva tuttavia formalmente proposta, non imposta a Smith. E  Smith, poi, per conto suo, è “giunto a credere nel profondo che il risultato corretto sia davvero cinque” e dunque “Smith è vinto. Il sistema gli è entrato nella testa” scrive ancora Pincio.  Questo è ancora oggi un punto essenziale del rapporto col potere: se io penso una cosa, lo penso autonomamente o mi hanno persuaso? O indotto? O plagiato? Ci torneremo.


Prima seguiamo le disavventure di quel dettaglio tipografico e tecnologica. Dopo la prima del 1959, nelle ristampe mandate in libreria dal 1950, scrive Pincio,  “il cinque saltò e da allora per trentasette anni, l’operazione di è presentata così: 2+2=     lasciando un vuoto tipografico, così alla fine l’operazione resta sospesa, Winston nel profondo non riesce a pensare come il Grande Fratello voleva”.



 Era un refuso tipografico, redazionale della Secker & Warburg, errore umano o forse tecnico. Nessuno se ne accorse. L’autore era morto. Restò tutto così. Per trentasette anni. Cosa ci dice questo dettaglio editoriale?

Avanzo la mia interpretazione: L’inesattezza della tecnica, in qualche modo condizionò l’interpretazione in questi decenni,  rilanciava una speranza, che l’autore invece aveva cancellato dal suo testo “originale”. Grazie a quell’errore della tecnica si era interpretato il libro di Orwell con un filo sottile di possibilità positiva.
La filologia ha restituito, ahimé,  la negatività originale.

Certo potremmo dire: la tecnica, la tecnologia non è così perfetta e totalizzante, c'è un errore, una "una maglia rotta nella rete che ci stringe" direbbe Montale,  per questo libro, che ci parla anche della supremazia di costrizione del Potere attuato proprio con il controllo tecnologico degli onnipresenti schermi, con cui piega l’uomo.

 Si può sperare se non nell’uomo, almeno nel bug? Winston Smith era senza speranza, ma il tipografo l’ha reintrodotta? In fondo pensando al dominio che dopo l’anno 2000 c’è stato nei sistemi informatici, con lo sviluppo della Apple soprattutto, con l’IPhone, con l’uso degli algoritmi, con l’arrivo di Facebook e altri social, con il dominio del tracciamento con Google, forse potevamo sperare ( o dovremmo farlo retroattivamente) nel famoso millennium 2k bug? Cosa sarebbe successo se tutti i computer fossero andati in tilt? Il mondo si sarebbe fermato? forse esattamente come ora con l’epidemia, ma in quel caso col “virus” digitale, perché incapaci tutti di lavorare se non per quello che si poteva fare “ a mano”?  (e saremmo tornati anziché allo smart work, all’ hand-work?). Non so se  esista un romanzo retro-distopico del tipo “If history”, ma sarebbe interessante immaginare cosa sarebbe successo se alle 23.59.59  del 31 dicembre del 1999 ecc. Anzi, forse oggi sappiamo come sarebbe più o meno ( Il virus digitale avrebbe bloccato con una ‘pandemia’ di collasso algoritmico il mondo). 


In fondo le tre cose sono intrecciate quando si parla di questo libro nella biografia stessa di Orwell, al secolo Eric Arthur Blair: la sua esperienza con gli stalinisti in Spagna, l’esasperazione del suo lavoro di recensore, la sua vita privata, la sua visione da socialista e democratico ma contro il totalitarismo e le accuse che gli rivolsero da vivo da sinistra, tutto concorre. ( Il cambio di nome da Blair a Orwell mi fa pensare che oggi diremmo "blairiano" tutto ciò che è "orwelliano", povero Tony Blair. O forse non povero, né innocente.

BACK TO THE FUTURE: il vero 1984

Nel 1984, quando io ho 20 anni esatti e tutti quelli come me, figli dei sixties, ne hanno circa 20, al potere in Gran Bretagna c’era Margaret Thatcher, poi arrivò appunto Blair, ma nel 1990 e avrebbe rappresentato dopo dodici anni la liberazione, da quella destra liberista. Tuttavia, fu anche l’avvio di un consumismo molto lib-lab, un avvio di economia globale, e Blair insieme a Bill Clinton, rappresentò uno degli alfieri  di una politica liberal-progressista che spinse innanzitutto i consumi, con l’ingresso (il caso vuole proprio nel dicembre del 1999) della Cina nel WTO, aprendo la strada alla globalizzazione. Fu l’avvio di un cambio di geografia produttiva che abbassò i prezzi e spinse i consumi, conseguentemente anche lo sviluppo della rete internet dando di fatto avvio alla società che oggi, ci controlla senza controllarci col solo sapiente uso automatico dei programmi di algoritmi e avvolge il fruitore, il cittadino, il consumatore, in una rete di tracce che lo aiutano o lo obbligano (a seconda di come lo si voglia interpretare) a definire le sue scelte.

In quegli anni 90 si sviluppò  la società dello spettacolo e insieme la società del desiderio espansivo, in cui l’affermazione di sé per i propri obiettivi di crescita personale  (ma anche di affermazione dei propri diritti) si concretizzava con le medesime dinamiche di scelta con cui ci si aggirava in un immenso supermercato. Tutto si riferiva ad un ego-centrismo, individualista, dedito al piacere liberato, quindi in un certo senso non censurato,  non “frugale” e severo,  libertario ma consumista. Un consumismo intriso della libertà di desiderare.

Ma esiste davvero una libertà di desiderare? O qualcuno ci induce a desiderare (ad esempio di avere o fare una cosa)? La libertà di poter andare al supermercato a qualsiasi ora perché nel frattempo si fa sesso, si beve con gli amici, si lavora a un progetto quindici ore, ci fa più o meno consumisti?

A voler assumere un punto di vista radicale, magari ai teorici del NoLogo, formati ad esempio attorno al libro con questo titolo, il best seller (consumismo editoriale?) di Naomi Klein, ( uscito nel gennaio 2000, e dunque non lo avremmo potuto distribuire, bloccando le catene automatizzate di delivery,  se avessimo avuto il “bug del millennio” alla mezzanotte del 31/12/1999) direbbero che , detta in modo generale, le parole  “blairiano” e “orwelliano” in fondo si equivalgono.  Il progressismo globalista dei lib-lab verrebbe visto (non senza ragioni) come concausa dell’avvio a un godimento di massa progressista, attraverso la tecnologia, con lo sviluppo della rete in quella fine anni 90, a cui molti pure nel circuito antagonista credevano (Bey le TAZ, Caronia, Bifo, Luther Blissett ecc.)

Erano invece i prodromi della gabbia invisibile ben costruita, democratica  (all’epoca fu proprio un super esponente  democratico come il vicepresidente  Al Gore il primo a credere che il Web sarebbe stato orizzontale, capace di contenere l’alternativa al potere della TV e delle Major dell’informazione).

Oggi sappiamo che è un totalitarismo senza Grade Fratello, ma peer-to-peer. Un altro mondo sembrava possibile al movimento Noglobal a Seattle 1999, a Genova 2001, a Occupy Wall Street. Oggi le istanze tornano simili nel movimento capeggiato da Greta Tunberg, il Fridays for Future.  Ma l’impressione è che oggi non ci sia alternativa al sistema mondiale delle merci, al consumismo e dobbiamo ridurre le emissioni, certo, ridurre la plastica, ma non viene messo in discussione il sistema di vita che ha nella fruizione di beni una delle chiavi della nostra felicità quotidiana.

There is no alternative. Lo diceva la Thatcher nel 1984, quando io compravo in via del Pellegrino a Roma, una copia usata dell’Oscar Mondadori intitolata “1984”. Tra restaurazione (Reagan come il Grande Fratello) e innovazione.  

Nel gennaio  1984, la Apple aveva lanciato il suo spot al Superbowl XIX, che fu vinto dalla squadra californiana dei “49ers” di San Francisco, che prendono il nome dall'ondata di cercatori d'oro che invase  l'area di San Francisco nel 1849 (la corsa all’ora è la spinta propulsiva del consumismo che non si esaurisce).

Lo spot fece epoca, fu trasmesso una sola volta (dunque non ebbe “copie” in quella forma, non divenne parte del processo di persuasione delle campagne spot in TV (anche se circolò la sua piccola sintesi).

 Era diretto da Ridley Scott che aveva girato due anni prima, nel 1982,  “Blade Runner” (film tratto da un romanzo di Philip Dick). Lo spot promuoveva il nuovo Macintosh, ed era un omaggio ad Orwell mentre eravamo in piena era Reagan, un ex attore di Hollywood diventato Presidente degli USA in piana affermazione della democrazia elettronica televisiva.

Nello spot, gli schermi tenevano inchiodati e schiavi gli uomini e le donne, che hanno una sorta di mimi pc o mini tv  come collare. Era il riferimento al “personal computer” della IBM, l’azienda concorrente, accusata da Steve Jobs di essere strumento di fruizione più o meno passiva, come un TV o una catena di montaggio digitale, rispetto alla creatività libera che avrebbe espresso secondo lui il Mac. Anni dopo, nel 1997, sarebbe uscito l’altro spot epocale, con lo slogan “Think Different” che riproponeva in chiave commerciale il pensiero dei movimenti alternativi del 68 e del 77 : “Here’s to the crazy ones. The misfits. The rebels.”

Da lì a poco “the rebels” ovvero i manifestanti no-global avrebbero occupato in nome di un pensiero differente e alternativo (“un altro mondo è possibile”)  le strade di Seattle nel 1999.  Il mercato mondiale è tuttavia la piattaforma di delivery globale con la quale Apple (come altri prodotti simili e in generale tutti i prodotti) produce e distribuisce i suoi prodotti per “pensare differente” (oltre all’ex ribelle Steve Jobs, fu Clinton ad aprire alla Cina paese in cui vengono prodotti gli IPhone)

Il romanzo di George Orwell se visto in questa prospettiva (soprattutto pensando al sistema-Cina)  fungeva da continua  “archeologia del futuro” dal 1949 ad oggi. Cosa è successo nel frattempo? Date voi la risposta.  Fate voi. Sapete voi il risultato, perché il Grande Fratello siete voi, o meglio siete voi “il Fratello Maggiore”. Certo è che il filo di speranza che ci regalava l’errore tecnologica del 2+2=       si è forse spezzato o diventato invisibile.

“BIG BROTHER”  COME SI TRADUCE?

Torniamo alla traduzione di Pincio e anche questo elemento è significativo: l’appellativo “Big Brother” in questa versione Sellerio diventa “Fratello Maggiore” come sceglie di tradurlo correttamente Pincio (con quella sfumatura di confidenzialità familiare che ha il “big” colloquiale tra familiari o amici – tanto che come osserva Pincio sarebbe ancora più correttamente “fratellone” (così come tra amici molti mi chiamano “Marione). Era anche la familiarità popolare dell’appellativo di “batjuska”, “piccolo padre” con cui i russi chiamavano lo Zar, ma soprattutto – ed è questo probabilmente il riferimento del “fratellone” orwelliano – chiamavano Stalin).

Se continuassi a fare di  “Millenovecentottantaquattro una rilettura archeologica “personale” cercherei di ricollocare mentalmente, psichicamente e forse inconsciamente, noi stessi  nella posizione di speranza per il futuro che potevamo ancora avere in quell’anno 1984,  avendo vent’anni, ma venendo dopo la stagione di conflitto e cambiamento degli anni 70, in Italia ancor più che altrove, spenta a suon di bombe. Su quel sentimento di sopravvivenza postumo, calò nei nostri cuori e cervelli a diciotto/diciannove anni  per l’appunto quel “Balde Runner” , ovvero il film di Scott tratto da “Il cacciatore di Androidi” (come fu tradotto in italiano  “Do Androids Dream of Electric Sheep?” ) romanzo di Philip Dick del 1968 in cui si immaginava un modo futuro del 1992. Ma in cui alla fine tutta quell’epica fantascientifica, di ribellione al sistema, si chiudeva col monologo malinconico dell’androide Roy Batty,  che è il cuore del film (tra tutte le azioni dei vari androidi, l’Androide malinconico, empatico, che salva la vita a Deckard è la prova della loro umanità, rispetto alla crudeltà efficientista e paranoica dello Stato poliziesco degli umani)


( Solo incidentalmente, sottolineo qui come il sistema concorrente a IOS di Apple installato nella maggioranza degli smartphone del mondo, è stato chiamato Android

Più del libro, fece epoca il film. Ma dieci anni erano pochi (Dick indicava il 1992) e  Scott spostò in avanti l’asticella-futuro del film , collocando la vicenda di Blade Runner-film al 2019.

(Il 2019. Già tantissimo tempo fa, visto oggi,  visto dall’oggi della pandemia)

Il film era dunque già da sempre ancorato a una sorta di gioco col futuro ma pure a una predizione di nostalgia futura, la nostalgia che avremmo comunque provato del futuro stesso, del “futurare” se così posso definirlo,  dell’immaginare il domani, essendo cresciuti ad una continua epica dell’avvenire (lo spazio, il comunismo, il progresso, la tecnologia ecc.). Una nostalgia di non aver avuto il futuro come speravamo, sebbene da ventenni un futuro ci attendesse, ma era già-da-sempre bruciato, perché in realtà eravamo già socio-geneticamente una generazione nata (biologicamente) in anni di grandi aspettative.

Orwell, morto nel 1950 non lo avrebbe visto il futuro, neppure quello degli anni 60  e chissà come lo avrebbe giudicato. Per noi si era interrotto col biennio 1978-1980. Era iniziata un’altra epoca. La morte ritualizzata dai media di Alfredino Rampi nel 1981 fece secondo me da spartiacque immaginario. Lo spot Apple invece reintroduceva speranza per il futuro-1984 (comprate il Mac ecco il principio-speranza)

Scott l’artista di Blade Runner di nostalgia del futuro, si mette al servizio commerciale di Apple per lo spot che crea il “brand” Macintosh che spezzerà le catene “orwelliane” della TV di Reagan. La libertà non è una reale rivoluzione, o liberazione dal sistema, ma il suo desiderio di liberarsi che non arriva mai, ma genera continuamente feticci di liberazione nella nuova merce desiderata. Un feticcio il film, un feticcio la Rete, un feticcio il telefonino Apple, ecc. È il segno che il Capitalismo ha trovato una chiave psichica per garantirsi la sua sopravvivenza: quella di generare la propria conservazione grazie a un continuo abbattimento da parte diversi e sempre nuovi  neo-capitalismi futuri, nel senso di nuove forme dello stesso capitalismo, basati su nuovi desideri, nuovi prodotti e nuovi brand di essi. Un capitalismo camaleontico.

 È l’avverarsi dell’ Aufhebung, ma in senso Hegeliano e non marxiano, di un processo dialettico, in cui un concetto è al tempo stesso conservato e modificato attraverso l'interazione dialettica con un altro concetto che lo “toglie”- come è la traduzione esatta tedesca -  lo cancella, lo annulla, ri-generandolo in quello stesso momento dell’annullamento. Questo per ché al momento il Capitalismo è principalmente la soddisfazione dei desideri (o il desiderio in cerca di soddisfazione) indipendentemente dalla forma politica che ha assunto la nazione con cui esso prospera e dunque il capitalismo risulta essere ciò che Hegel chiamava das absolute Wissen (il "sapere assoluto") ciò che nella Storia non muta mai, tutto il resto è soggetto a dialettica.

 È così che Il Capitalismo è il Fratello Maggiore che non ha bisogno di avere nessun dittatore reale che impersoni il Fratello Maggiore. L’equazione Hai un desiderio+ compra iphone = felicità è il 2+2=5 del Capitalismo che non ci impone, ma propone ma è il nostro desiderio a muoverci.

Orwell, ci informa Pincio nella prefazione, aveva una visione negativa della storia e “riteneva che nessuno fosse padrone dei propri pensieri perché nessun individuo è un’entità autonoma” e se non c’è libertà sociale, non c’è neanche una libertà interiore che sia più vasta. La libertà è la fuoriuscita dai propri spazi di pensiero attraverso il linguaggio, ma sempre collocati in un agire sociale.

Siamo liberi di non consumare? Forse. Ma siamo liberi di non desiderare? Possiamo desiderare di non-desiderare? Se il desiderio è la mia essenza più intima (a meno di non pensare che sia il Male come avviene in alcune religioni particolarmente repressive) se desidero un oggetto sto dando vita al mio meccanismo di libertà esprimendo ciò che sono in ciò che voglio. Anche se non sono schiavo del mio desiderio, anche se non sono persuaso occultamente, io lo desidero con razionalità? Beh,  è un consumismo responsabile, ma sarà pur sempre un consumismo. Il movimento Fridays for future propone questo: consumo sostenibile, ma certo non il “non-consumo”. “there is no alternative”. Questo desiderio vince su tutto, non solo in Occidente, ma anche in Russia, Cina Regni Sauditi, paesi poveri in Africa, in Sudamerica.

Possedere l’oggetto, il feticcio è l’essenza, non il sistema con cui poi si usa o si produce. Il  Capitalismo si è installato nel principio del Piacere, è diventato quel principio, uscendo dalla logica materiale del bisogno strumentale. Della necessità e anche dell’imposizione.

La sconfitta del Comunismo  – o meglio il suo aborto, i suo essere mai-nato in tutto il mondo tranne nei blocchi dell’Est e a Cuba e  solo con il rigido controllo di polizia di quei regimi – sta nel fatto che Marx ebbe sì,  la felice intuizione di capire che la merce si presentava come un feticcio (“Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto”, ne “Il Capitale”, cap. I)  ma poi di pensare che questa fosse una fantasmagoria o un plus valore rispetto alla sua essenza, al suo essere materiale dell’oggetto, che andava misurata in termini di valore reale, una fantasmagoria che andasse svelata e controllata, per rivelare materialisticamente la verità della merce rispetto alla produzione capitalista e allo sfruttamento del lavoro e l’uso del capitale su cui si doveva  basare il “discorso politico” comunista che avrebbe liberato e svelato la verità al proletariato.

Il proletariato in realtà non desiderava che feticci del proprio riscatto, non la coscienza e la condivisione del capitale, ma la soddisfazione di desideri individuali o al massimo per la propria famiglia.  È questo che accade nel secondo 900: si capisce che  il “carattere di feticcio” non è un accessorio secondario, una spalmata di aura su un oggetto materiale, ma è l’essenza stessa della merce, il cui uso materiale e funzionale semmai è l’accessorio. È questo il principio base del Capitalismo, la bolla o il cielo stellato da cui non usciamo. Non compriamo il tavolo per il suo valore d’uso ma per quello simbolico. L’economia di mercato è simbolica, la merce si scambia con la psiche. 

Quel che pensavamo potesse ucciderci, il proiettile, ora è penetrato nel nostro cervello e genera amore. Per the Big Brother.
(Il fatto che sia diventato un "reality show" con questo ossimoro è abbastanza ovvio, non ci soffermeremo su questo pensadoppio del sistema della società dello spettacolo).

  Naturalmente poi anche dentro questo sistema, le scelte non sono in realtà così apparentemente infinite, esse sono controllate o indotte. Lo sono state nella prima fase del Capitalismo del dopo-guerra (dalle critiche di Adorno a quelle Packard sulla capacità di persuasione forzata martellante, a volte occulta, attraverso un controllo centralizzato della comunicazione e del linguaggio sociale) ma oggi, la maggioranze non si pone nessun problema di alternativa la sistema delle multinazionali e del WTO, una minoranza invece lo fa, davanti a Birre della multinazionale Heineken e con un telefonico della multinazionale Apple manda post indignati sulla piattaforma della multinazionale Facebook, non senza aver controllato le fonti di una citazione del contadino amazzone ribelle eroe anti-global con una ricerca sulla piattaforma della multinazionale Google o su quella di YouTube

“Millenovecentottantaquattro” intuisce questa adesione amorevole e tra tante cose, soprattutto  un punto essenziale: è la lingua il luogo cui misuriamo la nostra libertà. Che è sociale, perché parliamo, ci esprimiamo con altri: “è quasi impossibile pensare senza parlare” dice Winston Smith ma il primo con cui parliamo è ogni singolo mestesso. Il Fratello Maggiore aveva u compito che va ben otre la adesione d’amore di Winston Smith al sistema del Fratello Maggiore stesso. Infatti, il romanzo  contiene un’ “Appendice” che di fatto è la coda verso il futuro di “Millenovecentottantaquattro”. L’appendice spiega cosa sia il Parlanuovo, la voce narrante è ora più esterna e quasi fredda nello spiegare  che è la lingua ufficiale dell’Oceania, ma che ancora nel 1984 era usata, ad esempio sui giornali, ma di fatto ancora pochi la sapevano come fosse una lingua madre. Il progetto era una totale sostituzione dell’Inglese Standard con il Parlanuovo nel 2050.
Orwell lancia lontanissima la sua profezia. 101 anni dopo la data di pubblicazione, 1 anno dopo la data di ambientazione di Blade Runner Sequel . Come funzionerà il Parlanuovo? riducendo “lo spettro semantico di un termine” spiega Pincio che servirà  a “ridurre le associazioni mentali che quel termine può suggerire e dunque la possibilità di spaziare col pensiero”.

 2050

È curioso, il 2050, anno dell’adozione totale e univoca del Parlanuovo è – nella nostra storia reale (reale?) la stessa data-termine per ridurre a Zero le emissioni di CO2 che si sono date le Nazioni Unite (organizzazione mondiale che è composta da nazioni che sono – come le immaginate da Orwell ur-nazioni Oceania, Eurasia e EstAsia – continuamente alleate e al tempo stesso in conflitto, tra loro)

In ogni caso, oggi 2021, i “traduttori” sono ancora al lavoro. Quelli dell'Oceania e i nostri.

Se il ParlaNuovo si sta annidando nel linguaggio, magari  col “globish” – o sarà il Cinesing? – il lavoro di  Tommaso Picio come traduttore letterario, ma anche come scrittore, in quanto esponente della controparola è ancora attivo. Controparola era il termine con cui Paul Celan chiamava la lingua della poesia nel suo tedesco che agiva come un contropelo, come un portare la vita dentro la morte, come un arricchimento, di una lingua dentro la lingua, la stessa in cui è scritta e che apparteneva ai Nazisti i carnefici dei suoi genitori, pur tuttavia quella era la linguamadre. Se come dice il personaggio Syme, ad un certo punto a Winston “ “il Parlanuovo è l’unica lingua al mondo il cui vocabolario rimpicciolisce di anno in anno”. L’impoverimento della lingua, la disabitudine alla lettura, la grande mole di scrittura dal punto di vista quantitativo, ma forse la riduzione dello spettro semantico, sono questioni all’ordine del giorno per le istituzioni scolastiche di tutto il mondo. L’introduzione di una lingua-emoji non fa che rafforzare gli allarmi. La partita è ancora aperta. Ai traduttori del Parlanuovo è stato dato tempo fino al 2050. Anche a noi, con i traduttori e gli che invece ampliano e amplificano le risonanze delle lingue.

Sempre certo alla luce della visione negativa che fu di Orwell e che forse sposo, per cui come accaduto per la “traduzione” che ne fece (intesa come sintesi, nella brevità dell’omaggio di uno spot) Ridley Scott, possiamo immaginare che Apple sia come Sellerio, o chi altri la ritraduca adesso, e stia complessivamente ri-generando due cose: un libro scritto nel 1948 per lanciare la denuncia di tutti i totalitarismi (anche quelli in cui il mio Super-Io è il dittatore che è in Me) e al tempo stesso un brand letterario-culturale, un titolo-feticcio, un luogo comune concettuale, deprivandolo di senso, perché puntando sul brand “1984” (anche perché  di fatto lo si compra all’interno di questo medesimo meccanismo feticistico del capitalismo per 15 euro – il paradosso è che molte case editrici occidentali stampano in Cina per abbattere costi e rendere più “democratica” la cultura)

Ecco che di fatto anche questa mia singola copia donata con affetto dal suo traduttore e come tale provvista per me di una specificità unica, non sfugge pure al suo status di libro-pensadoppio. Lo è anche nella materia dell’oggetto, un libro anti-sistema che nell’acquisto del bene-libro al prezzo di 15 euro, non fa altro che ripetere quella scelta unica e totalitaria che è il commercio di beni per fantasma di appartenenza, uno dei cuori nuovi del neo- Capitalismo

 – a cui tuttavia Tommaso Pincio si è sottratto e ha sottratto me dall'acquisto



, donandomi una copia, in un potlatch.

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 Ho letto ”Ho paura torero”, romanzo del 2001 di Pedro Lemebel (tradotto nel 2011 da Giuseppe Mainolfi e edito da Marcos y Marcos) per curio...