Questa è la copia che mi ha regalato Tommaso Pincio della
sua nuova traduzione di “Millenovecentottantaquattro” che già dal titolo in
lettere segnala una sua specifica, coraggiosa ma giusta fedeltà all’originale.
(era " Nineteen Eighty-Four", London, Secker & Warburg, 1949)
Cosa fa di questo libro un oggetto speciale? In fondo è una copia, riprodotta
tecnicamente come tutte le altre da Sellerio. C’è un segno della sua
specificità? Una traccia ? Per me c’è un’aura, in questo libro, ma è solo mia,
è stata caricata di splendore dal gesto generoso dello scrittore qui
traduttore.
La riproducibilità è tecnica e per estensione diremmo anche “tecnologica”
(la stampa di Gutenberg è l’inizio dei media moderni). Al tempo stesso, un
oggetto riproducibile può essere anche iconico, feticcio, la merce lo è. Lo è anche il concetto legato ala merce. Lo è anche il termine “1984”
e “orwelliano”, concetti feticcio e lo è il libro nella sua “aura”
culturale come simbolo (feticcio) di libertà di pensiero.
Ho insistito su
copia a stampa, perché il dettaglio tipografico, tecnico, di esecuzione a stampa, è essenziale
per uno dei passaggi chiave del libro, che Pincio segnala ricordando, nell’introduzione di questa sua traduzione 2020, per Sellerio, che nella prima edizione inglese del 1949 a
pag. 296 quasi alla fine, c’è la scena in cui Winston Smith, dopo essere stato
interrogato (dal funzionario, furbissimo e intelligentissimo, O'Brien ) e sottoposto a un pressing psicologico estremo, schiacciato dal
potere , scoperto nei suoi propositi di ribellarsi, perduto l’amore, con un
tradimento reciproco, Smith è ritornato da solo alla mensa e qui , scrive Pincio “comincia
a vagare coi pensieri e senza rendersene conto, scrive con la punta del dito
nella polvere che vela il tavolo 2+2=5”. (qui siamo a pag. 406 della stampa Sellerio)
Era – quel risultato illogico - quanto aveva insinuato il suo inquisitore. Era
quella la verità che veniva tuttavia
formalmente proposta, non imposta a Smith. E Smith, poi, per conto suo, è “giunto a credere
nel profondo che il risultato corretto sia davvero cinque” e dunque “Smith è
vinto. Il sistema gli è entrato nella testa” scrive ancora Pincio. Questo è ancora oggi un punto essenziale del
rapporto col potere: se io penso una cosa, lo penso autonomamente o mi hanno
persuaso? O indotto? O plagiato? Ci torneremo.
Prima seguiamo le disavventure di quel dettaglio tipografico
e tecnologica. Dopo la prima del 1959, nelle ristampe mandate in libreria dal
1950, scrive Pincio,
“il cinque saltò e
da allora per trentasette anni, l’operazione di è presentata così: 2+2=
lasciando un vuoto tipografico, così
alla fine l’operazione resta sospesa, Winston nel profondo non riesce a pensare
come il Grande Fratello voleva”.
Era un refuso tipografico, redazionale della Secker
& Warburg, errore umano o forse tecnico. Nessuno se ne accorse. L’autore
era morto. Restò tutto così. Per trentasette anni. Cosa ci dice questo
dettaglio editoriale?
Avanzo la mia interpretazione: L’inesattezza della tecnica, in qualche modo condizionò
l’interpretazione in questi decenni, rilanciava una speranza, che l’autore invece aveva
cancellato dal suo testo “originale”. Grazie a quell’errore della tecnica si
era interpretato il libro di Orwell con un filo sottile di possibilità
positiva.
La filologia ha restituito, ahimé, la negatività originale.
Certo potremmo dire: la tecnica, la tecnologia non è così perfetta e totalizzante, c'è un errore, una "una maglia rotta nella rete che ci stringe" direbbe Montale, per
questo libro, che ci parla anche della supremazia di costrizione del Potere attuato proprio
con il controllo tecnologico degli onnipresenti schermi, con cui piega l’uomo.
Si può sperare se non
nell’uomo, almeno nel bug? Winston Smith era senza speranza, ma il tipografo
l’ha reintrodotta? In fondo pensando al dominio che dopo l’anno 2000 c’è stato
nei sistemi informatici, con lo sviluppo della Apple soprattutto, con l’IPhone,
con l’uso degli algoritmi, con l’arrivo di Facebook e altri social, con il
dominio del tracciamento con Google, forse potevamo sperare ( o dovremmo farlo retroattivamente)
nel famoso millennium 2k bug? Cosa sarebbe successo se tutti i computer fossero andati in tilt?
Il mondo si sarebbe fermato? forse esattamente come ora con l’epidemia, ma in quel
caso col “virus” digitale, perché incapaci tutti di lavorare se non per quello che si
poteva fare “ a mano”? (e saremmo tornati
anziché allo smart work, all’ hand-work?). Non so se esista un romanzo retro-distopico del tipo
“If history”, ma sarebbe interessante immaginare cosa sarebbe successo se alle
23.59.59 del 31 dicembre del 1999 ecc.
Anzi, forse oggi sappiamo come sarebbe più o meno ( Il virus digitale avrebbe bloccato con una ‘pandemia’
di collasso algoritmico il mondo).
In fondo le tre cose sono intrecciate quando si parla di
questo libro nella biografia stessa di Orwell, al secolo Eric Arthur Blair: la
sua esperienza con gli stalinisti in Spagna, l’esasperazione del suo lavoro di
recensore, la sua vita privata, la sua visione da socialista e democratico ma
contro il totalitarismo e le accuse che gli rivolsero da vivo da sinistra,
tutto concorre. ( Il cambio di nome da Blair a Orwell mi fa pensare che oggi diremmo "blairiano" tutto ciò che è "orwelliano", povero Tony Blair. O forse non
povero, né innocente.
BACK TO THE FUTURE: il vero 1984
Nel 1984, quando io ho 20 anni esatti e tutti quelli come
me, figli dei sixties, ne hanno circa 20, al potere in Gran Bretagna c’era Margaret
Thatcher, poi arrivò appunto Blair, ma nel 1990 e avrebbe rappresentato dopo
dodici anni la liberazione, da quella destra liberista. Tuttavia, fu anche
l’avvio di un consumismo molto lib-lab, un avvio di economia globale, e Blair insieme
a Bill Clinton, rappresentò uno degli alfieri
di una politica liberal-progressista che spinse innanzitutto i consumi,
con l’ingresso (il caso vuole proprio nel dicembre del 1999) della Cina nel WTO,
aprendo la strada alla globalizzazione. Fu l’avvio di un cambio di geografia
produttiva che abbassò i prezzi e spinse i consumi, conseguentemente anche lo
sviluppo della rete internet dando di fatto avvio alla società che oggi, ci controlla
senza controllarci col solo sapiente uso automatico dei programmi di
algoritmi e avvolge il fruitore, il cittadino, il consumatore, in una rete di
tracce che lo aiutano o lo obbligano (a seconda di come lo si voglia
interpretare) a definire le sue scelte.
In quegli anni 90 si sviluppò la società dello spettacolo e insieme la
società del desiderio espansivo, in cui l’affermazione di sé per i propri
obiettivi di crescita personale (ma anche
di affermazione dei propri diritti) si concretizzava con le medesime dinamiche
di scelta con cui ci si aggirava in un immenso supermercato. Tutto si riferiva
ad un ego-centrismo, individualista, dedito al piacere liberato, quindi in un
certo senso non censurato, non “frugale”
e severo, libertario ma consumista. Un
consumismo intriso della libertà di desiderare.
Ma esiste davvero una libertà di desiderare? O qualcuno ci
induce a desiderare (ad esempio di avere o fare una cosa)? La libertà di poter
andare al supermercato a qualsiasi ora perché nel frattempo si fa sesso, si beve
con gli amici, si lavora a un progetto quindici ore, ci fa più o meno
consumisti?
A voler assumere un punto di vista radicale, magari ai
teorici del NoLogo, formati ad esempio attorno al libro con questo titolo, il
best seller (consumismo editoriale?) di Naomi Klein, ( uscito nel gennaio 2000,
e dunque non lo avremmo potuto distribuire, bloccando le catene automatizzate
di delivery, se avessimo avuto il “bug
del millennio” alla mezzanotte del 31/12/1999) direbbero che , detta in modo generale,
le parole “blairiano” e “orwelliano” in
fondo si equivalgono. Il progressismo
globalista dei lib-lab verrebbe visto (non senza ragioni) come concausa dell’avvio
a un godimento di massa progressista, attraverso la tecnologia, con lo sviluppo
della rete in quella fine anni 90, a cui molti pure nel circuito antagonista
credevano (Bey le TAZ, Caronia, Bifo, Luther Blissett ecc.)
Erano invece i prodromi della gabbia invisibile ben
costruita, democratica (all’epoca fu
proprio un super esponente democratico
come il vicepresidente Al Gore il primo
a credere che il Web sarebbe stato orizzontale, capace di contenere
l’alternativa al potere della TV e delle Major dell’informazione).
Oggi sappiamo che è un totalitarismo senza Grade Fratello,
ma peer-to-peer. Un altro mondo sembrava possibile al movimento Noglobal a
Seattle 1999, a Genova 2001, a Occupy Wall Street. Oggi le istanze tornano simili
nel movimento capeggiato da Greta Tunberg, il Fridays for Future. Ma l’impressione è che oggi non ci sia
alternativa al sistema mondiale delle merci, al consumismo e dobbiamo ridurre
le emissioni, certo, ridurre la plastica, ma non viene messo in discussione il
sistema di vita che ha nella fruizione di beni una delle chiavi della nostra
felicità quotidiana.
There is no alternative. Lo diceva la Thatcher nel 1984, quando
io compravo in via del Pellegrino a Roma, una copia usata dell’Oscar Mondadori
intitolata “1984”. Tra restaurazione (Reagan come il Grande Fratello) e
innovazione.
Nel gennaio 1984, la
Apple aveva lanciato il suo spot al Superbowl XIX, che fu vinto dalla squadra
californiana dei “49ers” di San Francisco, che prendono il nome dall'ondata di
cercatori d'oro che invase l'area di San
Francisco nel 1849 (la corsa all’ora è la spinta propulsiva del consumismo che non
si esaurisce).
Lo spot fece epoca, fu trasmesso una sola volta (dunque non
ebbe “copie” in quella forma, non divenne parte del processo di persuasione delle
campagne spot in TV (anche se circolò la sua piccola sintesi).
Era diretto da Ridley
Scott che aveva girato due anni prima, nel 1982, “Blade Runner” (film tratto da un romanzo di Philip
Dick). Lo spot promuoveva il nuovo Macintosh, ed era un omaggio ad Orwell mentre
eravamo in piena era Reagan, un ex attore di Hollywood diventato Presidente degli
USA in piana affermazione della democrazia elettronica televisiva.
Nello spot, gli schermi tenevano inchiodati e schiavi gli
uomini e le donne, che hanno una sorta di mimi pc o mini tv come collare. Era il riferimento al “personal
computer” della IBM, l’azienda concorrente, accusata da Steve Jobs di essere
strumento di fruizione più o meno passiva, come un TV o una catena di montaggio
digitale, rispetto alla creatività libera che avrebbe espresso secondo lui il
Mac. Anni dopo, nel 1997, sarebbe uscito l’altro spot epocale, con lo slogan “Think
Different” che riproponeva in chiave commerciale il pensiero dei movimenti
alternativi del 68 e del 77 : “Here’s to the crazy ones. The misfits. The
rebels.”
Da lì a poco “the rebels” ovvero i manifestanti no-global avrebbero occupato in
nome di un pensiero differente e alternativo (“un altro mondo è possibile”) le strade di Seattle nel 1999. Il mercato mondiale è tuttavia la piattaforma di
delivery globale con la quale Apple (come altri prodotti simili e in generale
tutti i prodotti) produce e distribuisce i suoi prodotti per “pensare
differente” (oltre all’ex ribelle Steve Jobs, fu Clinton ad aprire alla Cina
paese in cui vengono prodotti gli IPhone)
Il romanzo di George Orwell se visto in questa prospettiva (soprattutto
pensando al sistema-Cina) fungeva da
continua “archeologia del futuro” dal
1949 ad oggi. Cosa è successo nel frattempo? Date voi la risposta. Fate voi. Sapete voi il risultato, perché il
Grande Fratello siete voi, o meglio siete voi “il Fratello Maggiore”. Certo è
che il filo di speranza che ci regalava l’errore tecnologica del 2+2= si è forse spezzato o diventato
invisibile.
“BIG BROTHER” COME SI
TRADUCE?
Torniamo alla traduzione di Pincio e anche questo elemento è
significativo: l’appellativo “Big Brother” in questa versione Sellerio diventa
“Fratello Maggiore” come sceglie di tradurlo correttamente Pincio (con quella
sfumatura di confidenzialità familiare che ha il “big” colloquiale tra
familiari o amici – tanto che come osserva Pincio sarebbe ancora più correttamente
“fratellone” (così come tra amici molti mi chiamano “Marione). Era anche la
familiarità popolare dell’appellativo di “batjuska”, “piccolo padre” con cui i
russi chiamavano lo Zar, ma soprattutto – ed è questo probabilmente il
riferimento del “fratellone” orwelliano – chiamavano Stalin).
Se continuassi a fare di “Millenovecentottantaquattro una rilettura
archeologica “personale” cercherei di ricollocare mentalmente,
psichicamente e forse inconsciamente, noi stessi nella posizione di speranza per il futuro
che potevamo ancora avere in quell’anno 1984, avendo vent’anni, ma venendo dopo la stagione di
conflitto e cambiamento degli anni 70, in Italia ancor più che altrove, spenta a
suon di bombe. Su quel sentimento di sopravvivenza postumo, calò nei nostri
cuori e cervelli a diciotto/diciannove anni per l’appunto quel “Balde Runner” , ovvero il film
di Scott tratto da “Il cacciatore di Androidi” (come fu tradotto in
italiano “Do Androids Dream of Electric
Sheep?” ) romanzo di Philip Dick del 1968 in cui si immaginava un modo futuro
del 1992. Ma in cui alla fine tutta quell’epica fantascientifica, di ribellione
al sistema, si chiudeva col monologo malinconico dell’androide Roy Batty, che è il cuore del film (tra tutte le azioni
dei vari androidi, l’Androide malinconico, empatico, che salva la vita a
Deckard è la prova della loro umanità, rispetto alla crudeltà efficientista e
paranoica dello Stato poliziesco degli umani)
( Solo incidentalmente, sottolineo qui come il sistema concorrente a IOS di
Apple installato nella maggioranza degli smartphone del mondo, è stato chiamato
Android
Più del libro, fece epoca il film. Ma dieci anni erano pochi
(Dick indicava il 1992) e Scott spostò in
avanti l’asticella-futuro del film , collocando la vicenda di Blade Runner-film
al 2019.
(Il 2019. Già tantissimo tempo fa, visto oggi, visto dall’oggi della pandemia)
Il film era dunque già da sempre ancorato a una sorta di
gioco col futuro ma pure a una predizione di nostalgia futura, la nostalgia che
avremmo comunque provato del futuro stesso, del “futurare” se così posso
definirlo, dell’immaginare il domani,
essendo cresciuti ad una continua epica dell’avvenire (lo spazio, il comunismo,
il progresso, la tecnologia ecc.). Una nostalgia di non aver avuto il futuro
come speravamo, sebbene da ventenni un futuro ci attendesse, ma era
già-da-sempre bruciato, perché in realtà eravamo già socio-geneticamente una
generazione nata (biologicamente) in anni di grandi aspettative.
Orwell, morto nel 1950 non lo avrebbe visto il futuro,
neppure quello degli anni 60 e chissà
come lo avrebbe giudicato. Per noi si era interrotto col biennio 1978-1980. Era
iniziata un’altra epoca. La morte ritualizzata dai media di Alfredino Rampi nel
1981 fece secondo me da spartiacque immaginario. Lo spot Apple invece reintroduceva
speranza per il futuro-1984 (comprate il Mac ecco il principio-speranza)
Scott l’artista di Blade Runner di nostalgia del futuro, si
mette al servizio commerciale di Apple per lo spot che crea il “brand” Macintosh
che spezzerà le catene “orwelliane” della TV di Reagan. La libertà non è una
reale rivoluzione, o liberazione dal sistema, ma il suo desiderio di liberarsi
che non arriva mai, ma genera continuamente feticci di liberazione nella nuova
merce desiderata. Un feticcio il film, un feticcio la Rete, un feticcio il
telefonino Apple, ecc. È il segno che il Capitalismo ha trovato una chiave
psichica per garantirsi la sua sopravvivenza: quella di generare la propria
conservazione grazie a un continuo abbattimento da parte diversi e sempre nuovi
neo-capitalismi futuri, nel senso
di nuove forme dello stesso capitalismo, basati su nuovi desideri, nuovi
prodotti e nuovi brand di essi. Un capitalismo camaleontico.
È l’avverarsi dell’
Aufhebung, ma in senso Hegeliano e non marxiano, di un processo dialettico, in
cui un concetto è al tempo stesso conservato e modificato attraverso
l'interazione dialettica con un altro concetto che lo “toglie”- come è la
traduzione esatta tedesca - lo cancella,
lo annulla, ri-generandolo in quello stesso momento dell’annullamento. Questo
per ché al momento il Capitalismo è principalmente la soddisfazione dei
desideri (o il desiderio in cerca di soddisfazione) indipendentemente dalla
forma politica che ha assunto la nazione con cui esso prospera e dunque il
capitalismo risulta essere ciò che Hegel chiamava das absolute Wissen
(il "sapere assoluto") ciò che nella Storia non muta mai, tutto il
resto è soggetto a dialettica.
È così che Il
Capitalismo è il Fratello Maggiore che non ha bisogno di avere nessun dittatore
reale che impersoni il Fratello Maggiore. L’equazione Hai un desiderio+ compra
iphone = felicità è il 2+2=5 del Capitalismo che non ci impone, ma
propone ma è il nostro desiderio a muoverci.
Orwell, ci informa Pincio nella prefazione, aveva una
visione negativa della storia e “riteneva che nessuno fosse padrone dei propri
pensieri perché nessun individuo è un’entità autonoma” e se non c’è libertà
sociale, non c’è neanche una libertà interiore che sia più vasta. La libertà è
la fuoriuscita dai propri spazi di pensiero attraverso il linguaggio, ma sempre
collocati in un agire sociale.
Siamo liberi di non consumare? Forse. Ma siamo liberi di non
desiderare? Possiamo desiderare di non-desiderare? Se il desiderio è la mia
essenza più intima (a meno di non pensare che sia il Male come avviene in
alcune religioni particolarmente repressive) se desidero un oggetto sto dando
vita al mio meccanismo di libertà esprimendo ciò che sono in ciò che voglio. Anche
se non sono schiavo del mio desiderio, anche se non sono persuaso occultamente,
io lo desidero con razionalità? Beh, è
un consumismo responsabile, ma sarà pur sempre un consumismo. Il movimento Fridays
for future propone questo: consumo sostenibile, ma certo non il “non-consumo”. “there
is no alternative”. Questo desiderio vince su tutto, non solo in Occidente,
ma anche in Russia, Cina Regni Sauditi, paesi poveri in Africa, in Sudamerica.
Possedere l’oggetto, il feticcio è l’essenza, non il sistema
con cui poi si usa o si produce. Il Capitalismo si è installato nel principio del
Piacere, è diventato quel principio, uscendo dalla logica materiale del bisogno
strumentale. Della necessità e anche dell’imposizione.
La sconfitta del Comunismo – o meglio il suo aborto, i suo essere
mai-nato in tutto il mondo tranne nei blocchi dell’Est e a Cuba e solo con il rigido controllo di polizia di
quei regimi – sta nel fatto che Marx ebbe sì, la felice intuizione di capire che la merce si
presentava come un feticcio (“Il carattere di feticcio della merce e il
suo segreto”, ne “Il Capitale”, cap. I) ma
poi di pensare che questa fosse una fantasmagoria o un plus valore rispetto alla
sua essenza, al suo essere materiale dell’oggetto, che andava misurata in
termini di valore reale, una fantasmagoria che andasse svelata e controllata, per
rivelare materialisticamente la verità della merce rispetto alla produzione
capitalista e allo sfruttamento del lavoro e l’uso del capitale su cui si
doveva basare il “discorso politico”
comunista che avrebbe liberato e svelato la verità al proletariato.
Il proletariato in realtà non desiderava che feticci del
proprio riscatto, non la coscienza e la condivisione del capitale, ma la
soddisfazione di desideri individuali o al massimo per la propria famiglia. È questo che accade nel secondo 900: si
capisce che il “carattere di feticcio”
non è un accessorio secondario, una spalmata di aura su un oggetto
materiale, ma è l’essenza stessa della merce, il cui uso materiale e funzionale
semmai è l’accessorio. È questo il principio base del Capitalismo, la bolla o
il cielo stellato da cui non usciamo. Non compriamo il tavolo per il suo valore
d’uso ma per quello simbolico. L’economia di mercato è simbolica, la merce si
scambia con la psiche.
Quel che pensavamo potesse ucciderci, il proiettile, ora
è penetrato nel nostro cervello e genera amore. Per the Big Brother.
(Il fatto che sia diventato un "reality show" con questo ossimoro è abbastanza ovvio, non ci soffermeremo su questo pensadoppio del sistema della società dello spettacolo).
Naturalmente poi anche dentro questo sistema,
le scelte non sono in realtà così apparentemente infinite, esse sono controllate
o indotte. Lo sono state nella prima fase del Capitalismo del dopo-guerra
(dalle critiche di Adorno a quelle Packard sulla capacità di persuasione
forzata martellante, a volte occulta, attraverso un controllo centralizzato
della comunicazione e del linguaggio sociale) ma oggi, la maggioranze non si
pone nessun problema di alternativa la sistema delle multinazionali e del WTO,
una minoranza invece lo fa, davanti a Birre della multinazionale Heineken e con
un telefonico della multinazionale Apple manda post indignati sulla piattaforma
della multinazionale Facebook, non senza aver controllato le fonti di una citazione
del contadino amazzone ribelle eroe anti-global con una ricerca sulla
piattaforma della multinazionale Google o su quella di YouTube
“Millenovecentottantaquattro” intuisce questa adesione
amorevole e tra tante cose, soprattutto un
punto essenziale: è la lingua il luogo cui misuriamo la nostra libertà. Che è
sociale, perché parliamo, ci esprimiamo con altri: “è quasi impossibile pensare
senza parlare” dice Winston Smith ma il primo con cui parliamo è ogni singolo mestesso.
Il Fratello Maggiore aveva u compito che va ben otre la adesione d’amore di Winston
Smith al sistema del Fratello Maggiore stesso. Infatti, il romanzo contiene un’ “Appendice” che di fatto è la
coda verso il futuro di “Millenovecentottantaquattro”. L’appendice spiega cosa sia
il Parlanuovo, la voce narrante è ora più esterna e quasi fredda nello spiegare
che è la lingua ufficiale dell’Oceania,
ma che ancora nel 1984 era usata, ad esempio sui giornali, ma di fatto ancora pochi
la sapevano come fosse una lingua madre. Il progetto era una totale sostituzione
dell’Inglese Standard con il Parlanuovo nel 2050.
Orwell lancia lontanissima la sua profezia. 101 anni dopo la data di
pubblicazione, 1 anno dopo la data di ambientazione di Blade Runner Sequel .
Come funzionerà il Parlanuovo? riducendo “lo spettro semantico di un termine”
spiega Pincio che servirà a “ridurre le
associazioni mentali che quel termine può suggerire e dunque la possibilità di
spaziare col pensiero”.
2050
È curioso, il 2050, anno dell’adozione totale e univoca del
Parlanuovo è – nella nostra storia reale (reale?) la stessa data-termine per
ridurre a Zero le emissioni di CO2 che si sono date le Nazioni Unite
(organizzazione mondiale che è composta da nazioni che sono – come le
immaginate da Orwell ur-nazioni Oceania, Eurasia e EstAsia – continuamente
alleate e al tempo stesso in conflitto, tra loro)
In ogni caso, oggi 2021, i “traduttori” sono ancora al
lavoro. Quelli dell'Oceania e i nostri.
Se il ParlaNuovo si sta annidando nel linguaggio, magari col “globish” – o sarà il Cinesing? – il lavoro
di Tommaso Picio come traduttore
letterario, ma anche come scrittore, in quanto esponente della controparola è
ancora attivo. Controparola era il termine con cui Paul Celan chiamava la lingua
della poesia nel suo tedesco che agiva come un contropelo, come un portare
la vita dentro la morte, come un arricchimento, di una lingua dentro la lingua,
la stessa in cui è scritta e che apparteneva ai Nazisti i carnefici dei suoi
genitori, pur tuttavia quella era la linguamadre. Se come dice il personaggio
Syme, ad un certo punto a Winston “ “il Parlanuovo è l’unica lingua al mondo il
cui vocabolario rimpicciolisce di anno in anno”. L’impoverimento della lingua,
la disabitudine alla lettura, la grande mole di scrittura dal punto di vista
quantitativo, ma forse la riduzione dello spettro semantico, sono questioni all’ordine
del giorno per le istituzioni scolastiche di tutto il mondo. L’introduzione di
una lingua-emoji non fa che rafforzare gli allarmi. La partita è ancora aperta.
Ai traduttori del Parlanuovo è stato dato tempo fino al 2050. Anche a noi, con
i traduttori e gli che invece ampliano e amplificano le risonanze delle lingue.
Sempre certo alla luce della visione negativa che fu di
Orwell e che forse sposo, per cui come accaduto per la “traduzione” che ne fece
(intesa come sintesi, nella brevità dell’omaggio di uno spot) Ridley Scott,
possiamo immaginare che Apple sia come Sellerio, o chi altri la ritraduca
adesso, e stia complessivamente ri-generando due cose: un libro scritto nel
1948 per lanciare la denuncia di tutti i totalitarismi (anche quelli in cui il
mio Super-Io è il dittatore che è in Me) e al tempo stesso un brand
letterario-culturale, un titolo-feticcio, un luogo comune concettuale,
deprivandolo di senso, perché puntando sul brand “1984” (anche perché di fatto lo si compra all’interno di questo
medesimo meccanismo feticistico del capitalismo per 15 euro – il paradosso è
che molte case editrici occidentali stampano in Cina per abbattere costi e
rendere più “democratica” la cultura)
Ecco che di fatto anche questa mia singola copia donata con
affetto dal suo traduttore e come tale provvista per me di una specificità
unica, non sfugge pure al suo status di libro-pensadoppio. Lo è anche nella
materia dell’oggetto, un libro anti-sistema che nell’acquisto del bene-libro al
prezzo di 15 euro, non fa altro che ripetere quella scelta unica e totalitaria
che è il commercio di beni per fantasma di appartenenza, uno dei cuori nuovi
del neo- Capitalismo
– a cui tuttavia
Tommaso Pincio si è sottratto e ha sottratto me dall'acquisto
, donandomi una copia, in un
potlatch.