lunedì 12 agosto 2024
IL SOLE SPLENDE SUL NIENTE DI NUOVO. CASCANDO CON BECKETT. Appunti per il prossimo libro 2
martedì 6 agosto 2024
ELEGIA CAFONA. Perché sento affinità con "Hillybilly Elegy" di J.D. Vace e perché rileggere in modo diverso Pasolini e Iovine o Carlo Levi.(Appunti per il prossimo libro 1 )
Quando ero quindicenne nel XX secolo, sentivo e risentivo il disco live di Crosby Stills Nash & Young “4 way street” che conteneva una lunga ballad accattivante intitolata “Ohio” ma non ne sapevo il significato. Pensavo fosse all’epoca la solita canzone on the road e invece era una ballata politica: su scontri con morti durante manifestazioni contro il Vietnam alla Kent State University.
Dell’ Ohio non sapevo nulla, se no che fosse uno stato interno degli Usa, più o meno immaginario tra Western e on the road. E’ l’America profonda delle maggioranze silenziose che da qualche anno non stanno più zitte.
Quella dell’assalto a Capitol Hill. Nel 2020 la sfida in Ohio tra Trump e Biden è finita 18 a 0 (zero) per Trump
All’università del Kent gli studenti di oggi protestano contro Israele. I risultati elettorali ci dicono l’orientamento e l’antropologia sociale della maggioranza. A votare Trump lo stesso identikit di tutte le destre occidentali: prevalentemente maschi adulti, over 40, poco istruiti. IN parte poveri, in parte poveri, ma più consistente la percentuale di chi guadagna oltre 50 mila dollari. Insomma, operai e piccola impresa da lavoro. Un proletariato-imprenditore di sé stesso, del lavoro manuale o della piccola ditta. Ne sappiamo qualcosa anche noi.
Ho iniziato mentre volavo per New York (che non è “America” è una bolla a sé) due libri che hanno l’Ohio come scenario: “Elegia Americana” di J. D. Vance, In Italia pubblicato da Garzanti per settimane in testa alle classifiche nel 2016 e “Demon Copperhead”, romanzo di Barbara Kingsolver (ha vinto il Pulitzer 2023) pubblicato da Neri Pozza. E mi stanno piacendo e in qualche modo raccontano una storia in cui mi identifico.
In entrambi i romanzi ci sono storie di gente “degli Appalachi” e storie di ragazzini con madri single, abbastanza incasinate, e radici in quel mondo del midwest .
Kingsolver racconta la storia di un ragazzino Demon (che si chiama in realtà Damon ma finisce per essere chiamato Demon) che nasce da una ragazza appena diciottenne con problemi e che genera queto figlio destinato a non avere un padre e a seguire le peripezie di una famiglia allargata quanto disarmonica e soprattutto i cambiamenti di umore (e di partner) della madre. E’ una storia di non-padri ma contemporaneamente di radicamento al clan familiare e in qualche modo è lo stesso filo conduttore di “Elegia americana” . Sono a metà dei due libri.
Avevo visto l’omonimo film di Ron Howard, nel 2020 quando J.D. Vance non era ancora passato alla politica e non c’erano notizie particolari su di lui. L’ho rivisto pochi giorni fa.
Devo confessare che mi è piaciuto e l’ho in qualche modo sentito mio.
Certo, il fatto che oggi l’autore sia diventato nel frattempo il vice di Trump non depone a favore dell’autore, ma leggendo il libro capisco anche la sua parabola politica oltre che psicologica.
Oggi colpisce che l’autore di quel libro che almeno in Europa nessuno si era
filato più di tanto – se non come autore del libro da cui il famoso regista trasse
il film - sia l’affilato ed energico vice
del Tycoon, ma resta un libro significativo e in qualche modo per me condivisibile.
Il titolo italiano del libro e del film sono
clamorosamente fuorvianti, meglio sarebbe stato infatti tradurre “Elegia burina” o – con una citazione
“colta” riferita a Ignazio Silone – meglio ancora “Elegia cafona”. Infatti “Hillbilly”
è un termine per indicare i bianchi poveri (di origine irlandese per lo più) contadini
di arre depresse del Midwest, un’area oltre che povera , impoverita in modo
pessimo negli ultimi decenni, in un’area che comprende Virginia, il West Virginia, il Kentucky, la
Pennsylvania e l’Ohio, appunto lo stato che cantavo senza saperne nulla.
La chiamano Rust Belt, cintura di ruggine: più che il foliage bellissimo d’autunno,
sono gli scarti del ferro (l’acciaieria Armco di Middletown, che ha subito un declino dopo
gli anni d’oro) e i relitti e le rovine del “fu florido” polo industriale che fino agli anni Cinquanta era
il cuore dell’economia di quell’area. Oggi molte industrie hanno chiuso, depressione,
disoccupazione, dipendenze da alcol e droga hanno stravolto il paesaggio umano
e urbano.
C’era anche un altro romanzo intitolato proprio “Ohio” di
Stephen Markley (Einaudi) nel 2018
divenne un caso: anche qui, romanzo sui
millennial dell’America profonda. Ma sono molti i nomi di scrittori che hanno
raccontato la provincia americana, però alla fine a New York come Milano e Roma
non viene capita davvero.
Da noi poi, non abbiamo nemmeno capito (né visto arrivare) diverse ondate di
Hillybilly nostrani. Nemmeno dopo aver letto Iovine, Silone e soprattutto Carlo
Levi (se si rilegge oggi bene “Cristo si è fermato a Eboli” c’è già in nuce l’Italia
profonda che voterà dopo decenni Berlusconi. (raccontati meglio da Pennacchi,
Canale Mussolini). Dagli anni ’50 di Togliatti, del Pci di Di Vittorio, stare
dalla parte dei “contadini” era più un imperativo categorico ideologico, che
uno sguardo vero sulle caratteristiche i valori reali di quelle masse di persone
alal vigilia del boom economico.
Quel mondo contadino era sì povero, sfruttato, umiliato e offeso, ma era pure individualista,
egosita, arretrato e di destra, attaccato al guadagno e alla roba ( l’aveva già
raccontato “Libertà” di Giovanni Verga , più ancora che i Malavoglia).
Veniamo a “Hillibilly elegy” di J.D. Vance. Devo di re che
in qualche modo mi identifico molto in questa storia di evoluzione sociale, di
famiglie che si sono inurbate in città, Vance ha l’età che potrebbe avere anche
un mio figlio, se l’avessi fatto all’età in cui i mei hanno generato me.
Capisco quella storia, che ha riguardato anche molti come me, comune a quella
di tutto il dopoguerra occidentale: finita la seconda guerra mondiale, la pace
si è prolungata come mai prima di allora, il benessere ha spinto masse di
contadini a inurbarsi, la società industriale degli anni ’60 prometteva
felicità, benessere istruzione per i figli. Una vita migliore.
Spesso si dice “la destra sollecita la pancia”, va detto che quelle masse di ex
contadini, pur votando in Italia PCI e in Usa (come il nonno di Vance) sempre
Democratici ragionava egualmente con la pancia, prima di tutto. Poi ci fu l’arricchimento
e lì si è rivelata un’identità sociale che non è stata capita. Basta leggere
Operai di Gad Lerner, per capire come i metalmeccanici del sud italia
specialmente somiglino ai contadini divenuti operai della Armco, come siano
molto più simili ai Veneti della piccola impresa che alla “classe operaia” più
idealizzata che capita (anche “Vogliamo tutto” di Balestrini in fondo anticippava
nel 1971 qualcosa di simile)
Quel che racconta Vnce è però qualcosa che è accaduto anche in Francia e in
Italia. Una società di lavoro indebolita e fiaccata da crisi ripetute – dal 2001
in poi - e dal mutamento globale dell’economia.
Da quella storia di speranza esce una generazione che quella
speranza vissuta come una certezza, l’aveva vista dissolversi.
Una generazione arrivata a 60 anni e spezzata, frustrata, e
poi nel tempo – e complici anche i social che innescano isolazionismo-relazione
distorcente - incattivita, arrabbiata.
Perché in fondo (si può dire che si sbagliano ma non si può far finta che non
provino quel sentimento) si è sentita tradita, con una sinistra che – tra letteratura
e politica – si dedicava più alle minoranze e alle eccezioni che non alla
normalità.
un vizio in Italia ben raffigurato da Pasolini: ha in fondo fatto l’epopea di
una banda di ladruncoli, ha eletto a eroi delinquentelli, ma in quelle stesse
condizioni di povertà c’erano milioni di persone – come mio padre e mia madre – che veniva da quel contesto di migrazione
interna italiana e che hanno lavorato duramente e onestamente. Erano come il personaggio
Antonio Ricci di “Ladri di Biciclette” di De Sica, che ne fece un ‘epopea poi
accusato di essere melodrammatico. Poi arrivò Pasolini e fece diventare eroi
quelli che fregavano le bicilette agli Antonio Ricci.
(Sto estremizzando ma la mia chiave di lettura al fine è questa, l’ho capito
solo ora, con il tempo e l’età e ho cambiato idea su PPP. E nel mio libro,
quello che scrivo da anni, c’è una scena che è una riscrittura da un altro
punto di vista di una famosa scena di Ragazzi di vita, dalla parte di chi era
silenzioso e nei film di Pasolini solo comparsa.
Quella massa di persone, i contadini inurbati gli Hillybilly
d’Italia, ha cresciuto la mia generazione di baby boomer sulla promessa di sogni
e promesse che negli ultimi anni sono venuti meno, hanno rallentato economia e
sviluppo. La delusione si è trasformata per molti in rabbia e paura, che la
sinistra intellettuale bolla come paranoie, come “percezione sbagliata” mentre
è reale, perché reale il vissuto quotidiano, quello rasoterra di chi vive nei contesti che altri
interpretano da lontano. Contesti con caratteristiche che non entrano nelle rilevazioni
statistiche analizzate in contesti protetti (i giornali, prima, il coté
intellettuale e artistico le bolle social, di cui pure oggi faccio parte
sociologicamente e professionalmente)
Lì non si capisce il mondo della provincia, della suburra, della campagna “wanna
be” metropoli o delle periferi.
L’unico che in Italia aveva capito megli certi contesti era Tommaso Labranca. La sorpesa dei milioni di
voti per Berlusconi prima, dei voti per la Lega a Mirafiori negli anni ’90, il
ripetersi del fenomeno ora con Meloni e FdI non ha sradicato quel difetto di
sguardo, ideologico e valoriale di una certa parte della sinistra intellettuale
soprattutto (sono gli eredi di chi sbeffeggiava Berlinguer )
C’è sempre questa idea cattocomunista che i poveri siano buoni
e di sinistra “per natura” mentre invece sono esattamente come tutti, variegati
e in certi casi, come adesso in America o in Europa, esplicitamente e
volontariamente di destra, individualisti, conservatori, che puntano all’arricchimento
in qualche caso anche avidi di ricchezza.
L’aveva capito già Dostoevskij quando ne “l’adolescente” fa dire al suo giovane
protagonista di quel romanzo dickensiano ““la mia idea è diventare un
Rothschild, diventare ricco come Rothschild; non semplicemente un ricco, ma
proprio come Rothschild”. Sembra un proclama da trapper di periferia di oggi. Che
sia bisnipote di questa stirpe di contadini caponi inurbati o che sia figlio 2G
di mitranti recenti, la sostanza è simile.
L’unico ad aver raccontata con aderenza il sosstrato
psico-antropologico italiano è stato Vitaliano Trevisan e prima di lui Vincenzo
Cerami in “Un borghese piccolo piccolo”.
Una classe media ex popolana, proletaria
e contadina. Altri esempi non romani: “Cartongesso” di Francesco Maino o “La
buona e brava gente della nazione” di Romolo Bugaro e “Gli sguardi cattivi
della gente “ d iClaudio Piersanti.
Vado a memoria ce ne sono di libri che ci avrebbero consentito una lettura di
quel fermento esploso poi con Berlusconi, la Lega e oggi Fratelli d’Italia ma
anche il M5S populista di Grillo.
Ci siamo abbandonati a “Suburra” e “Romanzo
Criminale” di De Cataldo, un po’ pasolinianamente, traviati da film-serie, come
fossero storie di “crime” senza
riflettere sull’aspetto sociale che esprimeva. Come anche con Gomorra di
Saviano (pessimo servizio la serie tv).
Forse già il “Branco” di Andrea Carraro negli anni ’90 rivelava una suburra non
idealizzabile, ma anche Niccolò Ammaniti
di “Come dio comanda” – e prima ancora “ Grande Raccordo Marco Lodoli con i
suoi personaggi invisibili e non certo inquadrabili in ideologie e “classi” (si
ragiona ancora come se esistesse una “classe” in certi ambienti)
L’ideologia cattocomunista si sposa con il sapore
cinematografaro post-pasoliniano, Troppo
romano poi. Forse sempre per restare a Roma, meglio di tutti allora sono
rappresentativi i personaggi che animano il bar de “Lo stradone” di Pecoraro.
Oggi alora il proposito è leggere con attenzione Davide Coppo “Dalla
parte sbagliata” - magari trovo spunti
come già in Andrea Tarabbia “il
continente bianco” (o il Parise de “l’odore
del sangue” a cui è ispirato).
Anche ritornando indietro ad altre letterature, come quella britannica, anceh Ken
Loach ormai come in Old Oak fa un ritratto spietato de “fu proletariato”. LA
coscienza di classe era un miraggio.
Ora poi si inseriscono anche altre complicazioni, ovvero culture e religioni,
valori diversi. )l’aveva anche qui anticipato Kurehishi ai tempi di Mio figlio
è un fanatico.
Non è sempre “colpa dell’esclusione sociale” . Sta nascendo un processo
identitario di ritorno alle radici che accomuna in modo singolare parte di chi
vuole respingere i migranti ma Anche parte dei migranti stessi.
Quell’ideologia che oggi si divide tra
una estesa adesione al nazionalismo vagamente o radicato anche nell’adesione religiosa (come
pure fanno molti di seconda e terza generazione in Francia vedi le analisi di
molti sociologi dop ogli scontri di due anni fa) oppure sposano la Ideologia
totale del consumo, del Cash che puoi fare in modi ritenuti facili, che non
contemplano sacrifici, lavoro, emancipazione.
Ma questa è una parte complessa, tuttavia ciò che mi sembra il tratto comune è
proprio la spinta identitaria. Lo è per i tanti francesi che votano a destra o
che sono scesi in piazza con i Gilet Gialli. Lo è anche per quelli osteggiati,
ma non è solo una “reazione” è un tratto convinto e radicato. Basti leggere i libri di Eribon o Louis in
Francia (anche li una vasta provincia depressa, ex operaia, delusa, arrabbiata,
una classe media senza carta né territorio, ormai, già raccontata da Houellebecq
che pure con Sttomissione ci aveva visto
lungo )
C’è un vasto continente della rabbia, un “eurasia” trans
globale che mette assieme rabbie in apparenza diverse, ma tutte con una matrice
che sta nel libro di Vance: il tradimento dei sogni di felicità, la promessa di
una “promise land” . Bianchi con radici locali e “migranti-discendenti” di 2G
che rigettano le promesse, che non credono a regole, percorsi, che hanno solo
voglia di “riprendersi il dovuto” magari con espropri proletari come hanno
fatto in questi giorni i bianchi razzisti e negli anni passati i nordafricani a
Parigi : assaltando negozi di cellulari o di sneaker.
LA rivoluzione è fatta per quello, non per diritti, come del
resto le lotte della generazione dei miei genitori : per la pancia, per stare
bene, per avere più roba. I diritti, certo ma non sono il primo pensiero e
infatti sinistre europee e democratici usa che le hanno cavalcate non hanno ricevuto
consensi dall’elettorato tradizionale, ma non tanto per “delusione” quanto
perché quel vasto strato popolare ex contadino poi inurbato, come dimostra il
libro di Vance si è ripreso un’identità – come stanno facendo per altri aspetti
parte delle giovani generazioni di 2G in Francia che spesso protestano con bandiere
algerine e marocchine e vagheggiano un “ritorno” messianico alla terra dei
nonni).
Non era una “resa” alla destra per delusione, ma la rabbia è stato il motore di
una riscoperta di radici mai estinte con un’identità conservatrice che oggi
riemerge. Vasti strati popolari che sono sempre stati “di destra” per dirla con
una formula veloce.
Che vuole riavere quello che le è stato sottratto. E a quei
maschi allevati nella promessa di essere l’asse portante di una tradizione
familiare è riemerda la voglia di riprendersi quel sogno “ di tradizione” come
mostra bene il libro di Vsnce. Nonostante sia una famiglia di persone che
sarebbe meglio evitare, è lo spirto del clan della tribù che prevale è l’identità.
Il nazionalismo della propria “nation” (fine del sogno Lennon-BAmbataa-Marley
di “una sola nazione”. Oggi prevalgono le mille nazioni-clan. Bianchi,
africani, islamici che siano.
Li classifichiamo – quelli bianchi visto che sono partito dall’Ohio – come tossici,
privilegiati, violenti, o vittimisti, incel perché in prevalenza maschi. Ce ne
sono certo, ma la massa erano figli di chi si è fatto il culo e non ha avuto
ciò che meritava – magari proprio a causa di crisi globali dell’economia (e
alla fine i veri no global sono i trumpiani oggi) e negli Usa erano anche
bianchi orfani, poveri, con fratelli morti nelle guerre, o morti per farmaci oppiacei,
proletari intrusi, mal mesi, cafoni, appunto. Figli di cafoni che hanno
affollato anche molti romanzi nostrani, ma che abbiamo sempre letto male, interpretato
male. Ideologicamente.
Erano vittime, erano i “penultimi” e quando hanno visto le sinistre dedicarsi
solo agli “ultimi” hanno ripreso la loro identità, non quella che gli avevano
appioppato gli intellettuali di sinistra facendone un ‘ “elegia positiva” ma
sempre però esaltando i marginali. Nessuno faceva più “l’elegia dei cafoni” normali,
dei burini, dei semplici.
Ora con una certa dose di rabbia, la
rivendicano. E’ tempo in effetti di riscrivere elegie diverse.
SINNO (E LATTANZI O D'ADAMO): CORPI ESTRANEI ANTILETTERARI, QUINDI LETTERARI?
Allora, lunga riflessione : il libro di Neige Sinno, “Triste tigre” ha avuto notevoli riconoscimenti letterari in Francia, è stato tradotto...
-
Ne “Il Linguaggio e la morte” Giorgio Agamben rileva che nella tradizione della filosofia occidentale l’uomo appare come il mortale e...
-
La letteratura funziona come l’amore o come le radiazioni nucleari. C’è una energia invisibile e potente e a volte mortale. Dopo aver ...
-
1. La questione “Roma”: Mi sembra che il titolo sia azzeccato, perché qui la città è la coprotagonista e al tempo stesso “archite...