“Resoconto” (Einaudi
2018) è un libro di forme narrative composite. Romanzo, se lo vediamo nel suo
scheletro ,la Narratrice, Faye, racconta di sé, scrittrice che in viaggio,
diretta ad Atene dove deve tenere un corso di scrittura, incontra persone, come
tutti, in aereo, poi in città, parla con loro della vita, dice di sé, della sua
esperienza, separata , due figli, ma dice poco, soprattutto interagisce con
empatia e riflessioni, nelle pieghe dei racconti degli altri.
infatti è anche, soprattutto un libro di racconti – o resoconti – se guardiamo alla costellazione di storie che si raccolgono attorno al suo centro vuoto.
infatti è anche, soprattutto un libro di racconti – o resoconti – se guardiamo alla costellazione di storie che si raccolgono attorno al suo centro vuoto.
I
racconti però avvengono tutti ovviamente da incontri, dunque in presenza e in forma di dialogo o confessione e
il libro si snoda tra una voce interiore e la polifonia di compresenze,
reagenti, in una trasformazione reciproca.
Ho l’impressione che Rachel Cusk ci stia avvertendo di
qualcosa, di una neo-civiltà della Conversazione che stiamo attraversando.
Chissà se possiamo paragonare La “società dei social” del XXI secolo alla “Civiltà della conversazione” del XVIII secolo, (1) Oggi l’uso collettivo dei social, crea un neo salotto-agorà, tra cameretta e piazza . Un pullulare rizomatico di singole vite, ognuna con la sua storia, ognuna ansiosa di dirla, raccontarla, esporla. I social sono anche un caos di propaganda e populismo fatto di leader e di “seguaci”, ma principalmente sono il territorio-bolla di una nostra tribù parallela e temporanea, il coro-non-io di ciò che una volta definivamo solo come “un soggetto” e invece oggi si definisce sì a partire da un “self” ma diramato nelle varie e diverse interazioni con N-altri. Anima collettiva, la bolla contiene la definizione di ciò che siamo nelle rifrazioni della infinita conversazione che intratteniamo via smartphone con gli altri, fatta di esposizione di sé ma anche di ascolto dell’altro.
Chissà se possiamo paragonare La “società dei social” del XXI secolo alla “Civiltà della conversazione” del XVIII secolo, (1) Oggi l’uso collettivo dei social, crea un neo salotto-agorà, tra cameretta e piazza . Un pullulare rizomatico di singole vite, ognuna con la sua storia, ognuna ansiosa di dirla, raccontarla, esporla. I social sono anche un caos di propaganda e populismo fatto di leader e di “seguaci”, ma principalmente sono il territorio-bolla di una nostra tribù parallela e temporanea, il coro-non-io di ciò che una volta definivamo solo come “un soggetto” e invece oggi si definisce sì a partire da un “self” ma diramato nelle varie e diverse interazioni con N-altri. Anima collettiva, la bolla contiene la definizione di ciò che siamo nelle rifrazioni della infinita conversazione che intratteniamo via smartphone con gli altri, fatta di esposizione di sé ma anche di ascolto dell’altro.
“Resoconto” è un
libro chiave per questa dinamica, anche se è anti-social alla lettera, la
dimensione di scambio digitale è praticamente assente. LA vita di Faye si
immerge in quel mormorio continuo che è la nostra vita, immersa in una molteplicità di
comunicazioni ed esperienze. . La rivoluzione della “chiacchiera” come l’aveva
definita con disprezzo Heidegger (2) ma che forze è solo figlia de “faccio cose
vedo gente” la casualità dell’incontro del nomadismo anni 70. Autocoscienza,
confessione. IN “Resoconto” si passa dal vicino di posto in aereo, che poi
ritornerà più volte, agli studenti del
corso, all’amico collega universitario Ryan, all’amico greco Paniotis, e alla femminista e scrittrice glamour
Angelika, alla poetessa lesbica greca, fino all’ultima donna Anne, anche essa in
crisi che arriverà a sostituirla nell’appartamento a Atene – e lanciando la narrazione con un
transito vero il successivo e appena pubblicato “Transiti” secondo di una
trilogia
LA narratrice , più
che raccontare, ascolta e riporta. La sua identità è cancellata o solo presente
a frammenti ma è la reazione al fenomeno che le accade , il cuore del libro:
tutte le persone che lei incontra sento che in qualche modo il bisogno di
raccontare di sé. Abolito il narratore, che si fa a suo modo collettivo - senza
essere “multiplo” come Wu Ming. Faye
(Cusk) non vuole scrivere, ma lascia
dispiegarsi le vite degli altri, le lascia allo stadio embrionale dell’oralità,
di scampoli di incontri e pezzi di dialogo .
Conversazione, ascolto, ma anche percezione distratta. Una
narrativa che interagisce innanzitutto con la digressione di una coscienza
incapace di strutturarsi – e pure ha bisogno poi di punti fermi.
Da qui le Sentenze. “Resoconto” è un libro in cui c’è una
assertività piuttosto frequente. Come capita, per tirare le fila, nelle
conversazioni, come incisi di
riflessione della narratrice – il libro
è pieno di frasi di forte denotazione psicologica. Sono tentativi di puntellare
l’incertezza, la possibilità di conoscere – gli altri, il mondo, ciò che ci
aspetta nel futuro o al ritorno del viaggio. La conoscenza del mondo è tutta
sul doppio filo tra incontri, memoria
delle esperienze fallite, incanto e disincanto, ferite, puntellate da
didascalie e avvertimenti. Frasi lapidarie. (infatti nella versione kindle, ci
sono le tracce di quanto e dove i lettori hanno sottolineato queste frasi. E’
un libro da stralciare , postandone le frasi su Twitter o fb, per l’appunto,
restituendole ad altre conversazioni, all’infinito. Fa da oracolo di Delfi,
forse un po’ troppo).
Cusk fa in modo che la narratrice – ma c’è molto a quanto
pare del sé reale di Rachel - raccolga
le storie, componendo frammenti di fughe salvate e mancati labirinti di
esperienze, o forse un unico enorme labirinto che appunto L'intreccio delle
nostre storie quotidiane. Come insegna
FB, pensiamo tutti che gli altri vogliano ascoltare. uniamo il narcisismo al voyeurismo.
Si rivolgono a qualcuno non sono mai
storie narcisistiche , ma sono bisogno di contatto. Attivano il resoconto
all'altro, è il volto dell'altro,
direbbe Levinas, che produce e genera
linguaggio, l’essere o le narrazioni.
Così è anche la struttura narrativa del libro, che cresce
apparente casuale e senza che accada granché. LA scrittura si fa prendere dalle
forme, dai ritmi, dalla sintassi della narrazione altrui, una letteratura
diciamo al negativo, un guscio per tanti paguri, una scrittrice che scompare, che rinuncia alla
letteratura, per un
appiattimento verso storie quotidiane, lingua cristallina, oralità.
Le storie, il valore delle storie. Sono giorni in cui si
parla di Games of Thrones. C’è divisione tra i fan sul finale, gli spettatori
protestano con gli autori e avrebbero voluto scrivere la storia in modo
diverso, ognuno dice come l’avrebbe fatta evolvere lui, milioni di
sceneggiatori.
Una delle tesi più affascinanti è che il finale non sia
altro che l’inno alle storie, cosa che ciclicamente torna – l’eredità che ci
lascia GOT è che sono le storie a tramandarsi da queste dipenderà il cambio
della Stria. In questi anni di esplosione di serie tv a maggior ragione – la
forza della storia, per alcuni solo la trama, come elemento fondante della
narrativa. Qui trama non c’è, ci sono varie trame, non c’è uno stile forte e
alto.
Si è esaurito il
percorso del 900, la letteratura
europea, schiacciata anche da quella mondiale che non ha vissuto quel percorso
che ha fatto dell’Europa di inizio 900 un grande laboratorio artistico di alto
livello. Oggi non c’è più ragione per continuare con quell’”alto stile”, o di
ricerca - o avanguardista o sperimentale o espressionista ecc. Era portato agli
estremi con le avanguardie e la ricerca di scarto da tutte le norme di
linguaggio, uno sperimentare fortemente legato al corpo a corpo con la lingua (3) i segni le figure. Oggi la scena è
mondiale, le narrazioni arrivano da tradizioni altre, che ascoltiamo: cinesi,
arabe, indigene, africane. Fuori dal
ristretto cerchio eurocentrico occidentale, tra Idealismo Ideologia e poi lo
smontaggio post Marx/Nietzsche/Freud,
c’è un intero mondo che non ci si riconosce. Ho l’impressione che anche
per Cusk, tutto questo 900 non conti nulla.
Cusk, come la stragrande maggioranza degli scrittori di
qualità di oggi, è una scrittrice post
novecentesca, come oggi i politici sono tutti post-ideologici. “Resoconto”
è un campo aperto. “Outline (è il titolo
originale) non ha più, appunto, uno
“schema” da tracciare , ma soltanto
“tracce” ignote e enigmatiche da
inseguire. I personaggi di “Resoconto” alla
fine raccontano l’immutabile di uomini e donne: vicende sentimentali, familiari personali, amorose, sessuali. La
narratrice ogni tanto ripensa a sé, ma il più delle volte è assorbita e
passiva.
Molte tra le persone-personaggi che ci avvicendano, hanno a
che fare con la scrittura. Questo aspetto metanarrativo l'ho trovato un po'
fastidioso, o con comunque debole, anche
se necessario, per un libro che a suo
modo sta cercando la strada su cui rifondare una narrazione. Non a caso va a
farlo simbolicamente nella terra di Omero e delle tragedie, ci sono un po’
troppe penelopi e cassandre, poeta donne lesbiche, Atene, ecc. un po’ ingenuo
questo disseminare esotismo delle radici della letteratura occidentale. La
Grecia, che è anche la parte più fragile nell’Europa di questi anni, ma nel
libro non c’è traccia - sono tutti in un olimpo privilegiato di super benestanti,
acculturati.
Vedono il mare, l’antico, alzano gli occhi al Partenone, ma non la crisi economica per le strade di Atene. non ne faccio del moralismo, ma insomma, non è che mi appassioni questa astrazione.
Vedono il mare, l’antico, alzano gli occhi al Partenone, ma non la crisi economica per le strade di Atene. non ne faccio del moralismo, ma insomma, non è che mi appassioni questa astrazione.
in Cusk agisce la
narrazione dell’Europa incerta e fragile, ma anche la tradizione della cultura
politica e letteraria del femminismo, che ha preso su di sé la condizione di
precarietà e margine, del “non avere una
stanza tutta per sé” per trovare un diverso spirito fondativo. La narratrice è
lontana da casa, la cambierà ancora (in Transiti) mi sembra si voglia collocare
in un nomadismo fluttuante, come la sua scrittura e la sua attenzione.
Ed è questa la cosa interessante, che il romanzo
sembra abbia bisogno di far ripartire la
narrativa dalla base, da questo mix di
autobiografia e ascolto. E’ stato salutato come una delle novità “dopo la
quale il romanzo non sarà più la stessa cosa” ( si, ho letto anche questa definizione, forse
una fascetta, ma mi pare un po' esagerata).
E’ interessante magari
proprio quello che è (per me) il suo limite, almeno per un lettore come me, formato invece dentro Il Novecento di Woolf –
cito solo questo nome perché è insieme uno dei vertici della scrittura del 900
e un modello alto diretto per l’anglo-canadese Cusk – oppure ,cresciuto con la
poesia,che sia di Celan o del surrealismo o le avanguardie, come del resto le avanguardie
il loro stravolgere le forme, da Cezanne e dal cubismo in poi, lo smontaggio prima e il dissolvimento poi ,
della figura. Invece Cusk si attesta fuori da tutto ciò, nel campo della lingua
comune, rifuggendo espressionismo, lavoro su sintassi e lessico. Cusk ha una
lingua pulita e cristallina. Vista però pensando a quella liea del 900 che
dicevo, la trovo piatta.
Perché lo fa? La risposta – l’unica che mi do – è che forse c’è
la volontà di cercare un’altra cosa. una
dimensione diversa dell’oggetto letterario. La risposta sta nella forma stessa
dialogica, conversativa adottata che struttura l’organizzazione narrativa –
sfere in tensione magnetica di incontri - , perché il libro ha nella
conversazione la sua “forma” e il suo cuore simbolico. Perché rivela la
necessità di un’attenzione verso gli altri, è una lingua del dialogo, non è
lirica, non è espressionista, né crea
mondi di linguaggi uniformandoli ad un “io/non io” soggettivo. E’ una lingua del noi, dell’esteriorità, del
mondano, è la chiacchiera, fregandosene di Heidegger.
La forma del dialogo,
dell’interrelazione aperta, è una qualità etica che si fa stilistica (etica e
forma estetica, da sempre sono una il risvolto dell’altra) che si fa presa di posizione stilistica mi
sembra di aver intuito dalle recensioni lette, potrebbe essere un elemento che
la accomuna all'altro autrice di cui si parla molto che Sally Rooney (“Parlare
tra amicii” e “Gente normale” sono i suoi titoli e mi immagino un medesimo
campo d’azione minimal ) Devo dire però che al netto di una traduzione limpida di
Anna Nadotti, come sottolinea chi ha letto anche l’originale, trovo in ogni
caso molto più nutriente e denso lo stile di altri scrittori, penso anche agli
italiani, di oggi, nettamente
superiori.
Come in poesia si
assiste anche nella narrativa, a una sorta di appiattimento dello stile, ad una forma della semplicità ad una
semplicità che vorrebbe farsi forma. Al netto del pressing editoriale comune a
tutto l’occidente - per avere una lingua mediana adatta al pubblico medio - c’è una scelta, c’è un sentire, una necessità che è per l’appunto sia
stilistica che etica , cercando una rifondazione della
cognizione. Tutto forse nasce proprio dal fatto di vivere in una posterità,
densa di saperi e informazioni, news e fake news, ma in fondo di non-appartenenza a nessuno di questi
mondi e flussi di dati.
Meglio le storie. Meglio l’umano.
Collego questa scelta minimal – in parte è un neo
minimalismo che mi ricorda l’organizzazione diegetica di Carver - a un’ esigenza dell'essenziale umano che fa
somigliare questa narrativa - in
particolare questo libro - alll'umano come lo descrivevano i Kanak della Nuova Caledonia, quando un
prete colonizzatore nel XIX secolo, quando egli chiese agli indigeni di dire
che cos'era di disegnare meglio che cos'era un essere umano uno di loro disegnò
un centro vuoto e tante linee che si dipana vano in maniera centrifuga. Tutte
quelle linee disegnano la fetazione di relazioni con gli altri.
Anche la fisica
molecolare ci avverte, con gli ultimi studi che non esiste un centro, né un
tempo, un subatomico essenziale e
fondante della materia che si sposta, ma
la materia è una sospesa interrelazione di energie in uno spazio, tensione di energia tra
elementi che di per sé dovrebbe essere divisa in qualcosa di molto più piccolo
dei quark , elementi che sono invisibili, la loro esistenza è data dai calcoll algoritmici
no invisibili anche al microscopio atomico, ma l’universo , la materia esiste
solo per questo: un’energia di continua trasformazione e interrelazione
energetica. Penso di aver capito Rovelli così. E penso che una narrativa come
quella di Cusk ne sia una sorta di
involontaria specchio.
Così la narrativa sembrava far ripartire non da un centro
del soggetto, negativo O positivo che sia (4) ma dai resoconti degli altri. Mi
fa un effetto un po' crepuscolare. C’è una disillusione nel resocontare
malinconicamente la catena di fallimenti e sostituzioni che ogni vita ha in serbo,
come gli amori i mariti ma anche le opportunità, la consapevolezza che c’è
stata una perdita e tutto sommato il pericolo e la precarietà sono dietro
l’angolo. Ma se devo dire la verità,
sarò pure un nostalgico del 900, ma aspetto qualcosa di più esplosivo, di
meno consolatorio.
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1 LA definizione e il titolo è del volume di Benedetta Craveri , Adelphi, in cui si
racconta di un’ aristocrazia che aveva speso le sue ultime energie
pre-rivoluzione, per definire una
perfezione dell'animo umano, del comportamento umano, plasmando con le parole
intrecciate nei salotti, in un mix di mondanità gossip e analisi psicologica, l’etica di relazione e l’identità profonda
degli esseri umani. Mondanità e arte, intellettuali e cortigiane, ne furono il laboratorio. Si definivano
relazioni, ma si stava formando una coscienza collettiva, che sarebbe
sopravvissuta a barricate e ghigliottine,
dopo il 1789.
2 “La comunicazione non è il trasferimento di esperienze
vissute, di opinioni o di desideri, dall’interno di un soggetto all’interno di
un altro. […] Parlando, l’Esserci si esprime; non perché sia dapprima
incapsulato in un “dentro” contrapposto a un fuori, ma perché esso, in quanto
essere-nel-mondo, comprendendo, è già “fuori”(….)
La totale infondatezza della chiacchiera non è un
impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante. La
chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione
preliminare della cosa da comprendere.” (citazioni da M. Heidegger, Essere e tempo, LA nuova Italia)
3 con le
l'elaborazione di una scrittura che fosse il lato estremo ed esterno di una
riflessione a volte ideologico filosofica proprio su come il linguaggio possa influenzare
comporre e scomporre la realtà. Esprimerla col suo volto inedito.
Archetipo di questa posizione, l’anonima realtà di un uomo gettato nel tempo
nuovo del secolo, narrato da Joyce scrisse l’Ulisse, inventando il suo flusso di
coscienza e altri stili, che potessero dar conto della trasformazione psichica,
ebbene qui questo piano non c’è più.
4 forse perché appunto Beckett è un centro fortissimo
anche se negativa è la negazione del soggetto che produce tantissimo partendo
da sé continuando a partire da sé E appunto la teologia negativa del soggetto
di cui ha parlato Giorgio Caproni nelle sue ultimi libri comunque dando la
possibilità al poeta di poter in qualche modo far dire l' Io qui probabilmente
vuoto .