mercoledì 22 maggio 2019

RACHEL CUSK "Resoconto" ( e bilancio di un modo di narrare) -



 “Resoconto” (Einaudi 2018) è un libro di forme narrative composite. Romanzo, se lo vediamo nel suo scheletro ,la Narratrice, Faye, racconta di sé, scrittrice che in viaggio, diretta ad Atene dove deve tenere un corso di scrittura, incontra persone, come tutti, in aereo, poi in città, parla con loro della vita, dice di sé, della sua esperienza, separata , due figli, ma dice poco, soprattutto interagisce con empatia e riflessioni, nelle pieghe dei racconti degli altri.
infatti è anche, soprattutto un libro di racconti – o resoconti – se guardiamo alla costellazione di storie che si raccolgono attorno al suo centro vuoto. 

I racconti però avvengono tutti ovviamente da incontri, dunque in presenza e in forma di dialogo o confessione e il libro si snoda tra una voce interiore e la polifonia di compresenze, reagenti, in una trasformazione reciproca.

Ho l’impressione che Rachel Cusk ci stia avvertendo di qualcosa, di una neo-civiltà della Conversazione che stiamo attraversando.

Chissà se possiamo paragonare La “società dei social” del XXI secolo alla “Civiltà  della conversazione” del XVIII secolo, (1) Oggi l’uso collettivo dei social, crea un neo salotto-agorà, tra cameretta e piazza . Un pullulare rizomatico di singole vite, ognuna con la sua storia, ognuna ansiosa di dirla, raccontarla, esporla.  I social sono anche un caos di propaganda e populismo fatto di leader e di “seguaci”,  ma principalmente sono il territorio-bolla di una  nostra tribù parallela e temporanea, il coro-non-io di ciò che una volta definivamo solo come “un soggetto” e invece oggi si definisce sì a partire da un “self” ma diramato nelle varie e diverse interazioni con N-altri. Anima collettiva, la bolla contiene la definizione di ciò che siamo nelle rifrazioni della infinita conversazione che intratteniamo via smartphone   con gli altri, fatta di esposizione di sé ma anche di ascolto dell’altro.
“Resoconto”  è un libro chiave per questa dinamica, anche se è anti-social alla lettera, la dimensione di scambio digitale è praticamente assente. LA vita di Faye si immerge in  quel mormorio continuo  che è la nostra  vita, immersa in una molteplicità di comunicazioni ed esperienze. . La rivoluzione della “chiacchiera” come l’aveva definita con disprezzo Heidegger (2) ma che forze è solo figlia de “faccio cose vedo gente” la casualità dell’incontro del nomadismo anni 70. Autocoscienza, confessione. IN “Resoconto” si passa dal vicino di posto in aereo, che poi ritornerà più volte,  agli studenti del corso, all’amico collega universitario Ryan, all’amico greco Paniotis,  e alla femminista e scrittrice glamour Angelika, alla poetessa lesbica greca,  fino all’ultima donna Anne, anche essa in crisi che arriverà a sostituirla nell’appartamento  a Atene – e lanciando la narrazione con un transito vero il successivo e appena pubblicato “Transiti” secondo di una trilogia

  LA narratrice , più che raccontare, ascolta e riporta. La sua identità è cancellata o solo presente a frammenti ma è la reazione al fenomeno che le accade , il cuore del libro: tutte le persone che lei incontra sento che in qualche modo il bisogno di raccontare di sé. Abolito il narratore, che si fa a suo modo collettivo - senza essere “multiplo” come Wu Ming.  Faye (Cusk) non vuole scrivere, ma  lascia dispiegarsi le vite degli altri, le lascia allo stadio embrionale dell’oralità, di scampoli di incontri e pezzi di dialogo .
Conversazione, ascolto, ma anche percezione distratta. Una narrativa che interagisce innanzitutto con la digressione di una coscienza incapace di strutturarsi – e pure ha bisogno poi di punti fermi.
Da qui le Sentenze. “Resoconto” è un libro in cui c’è una assertività piuttosto frequente. Come capita, per tirare le fila, nelle conversazioni,  come incisi di riflessione della narratrice  – il libro è pieno di frasi di forte denotazione psicologica. Sono tentativi di puntellare l’incertezza, la possibilità di conoscere – gli altri, il mondo, ciò che ci aspetta nel futuro o al ritorno del viaggio. La conoscenza del mondo è tutta sul doppio filo tra incontri,  memoria delle esperienze fallite, incanto e disincanto, ferite, puntellate da didascalie e avvertimenti. Frasi lapidarie. (infatti nella versione kindle, ci sono le tracce di quanto e dove i lettori hanno sottolineato queste frasi. E’ un libro da stralciare , postandone le frasi su Twitter o fb, per l’appunto, restituendole ad altre conversazioni, all’infinito. Fa da oracolo di Delfi, forse un po’ troppo).
Cusk fa in modo che la narratrice – ma c’è molto a quanto pare del sé reale di Rachel -  raccolga le storie, componendo frammenti di fughe salvate e mancati labirinti di esperienze, o forse un unico enorme labirinto che appunto L'intreccio delle nostre storie  quotidiane. Come insegna FB, pensiamo tutti che gli altri vogliano ascoltare. uniamo il narcisismo al voyeurismo.  Si rivolgono a qualcuno non sono mai storie narcisistiche , ma sono bisogno di contatto. Attivano il resoconto all'altro,  è il volto dell'altro, direbbe Levinas, che produce e  genera linguaggio, l’essere o  le narrazioni.

Così è anche la struttura narrativa del libro, che cresce apparente casuale e senza che accada granché. LA scrittura si fa prendere dalle forme, dai ritmi, dalla sintassi della narrazione altrui, una letteratura diciamo al negativo, un guscio per tanti paguri,  una scrittrice che scompare, che rinuncia alla  letteratura,  per  un appiattimento verso storie quotidiane, lingua cristallina, oralità.
Le storie, il valore delle storie. Sono giorni in cui si parla di Games of Thrones. C’è divisione tra i fan sul finale, gli spettatori protestano con gli autori e avrebbero voluto scrivere la storia in modo diverso, ognuno dice come l’avrebbe fatta evolvere lui, milioni di sceneggiatori.
Una delle tesi più affascinanti è che il finale non sia altro che l’inno alle storie, cosa che ciclicamente torna – l’eredità che ci lascia GOT è che sono le storie a tramandarsi da queste dipenderà il cambio della Stria. In questi anni di esplosione di serie tv a maggior ragione – la forza della storia, per alcuni solo la trama, come elemento fondante della narrativa. Qui trama non c’è, ci sono varie trame, non c’è uno stile forte e alto.

Si è  esaurito il percorso del 900,  la letteratura europea, schiacciata anche da quella mondiale che non ha vissuto quel percorso che ha fatto dell’Europa di inizio 900 un grande laboratorio artistico di alto livello. Oggi non c’è più ragione per continuare con quell’”alto stile”, o di ricerca - o avanguardista o sperimentale o espressionista ecc. Era portato agli estremi con le avanguardie e la ricerca di scarto da tutte le norme di linguaggio, uno sperimentare fortemente legato al corpo a corpo con la lingua (3) i segni le figure. Oggi la scena è mondiale, le narrazioni arrivano da tradizioni altre, che ascoltiamo: cinesi, arabe, indigene, africane. Fuori  dal ristretto cerchio eurocentrico occidentale, tra Idealismo Ideologia e poi lo smontaggio post Marx/Nietzsche/Freud,  c’è un intero mondo che non ci si riconosce. Ho l’impressione che anche per Cusk, tutto questo 900 non conti nulla.
Cusk, come la stragrande maggioranza degli scrittori di qualità di oggi,   è una scrittrice post novecentesca, come oggi i politici sono tutti post-ideologici. “Resoconto” è  un campo aperto. “Outline (è il titolo originale)  non ha più, appunto, uno “schema” da tracciare , ma  soltanto “tracce” ignote e enigmatiche  da inseguire. I personaggi di “Resoconto” alla  fine raccontano l’immutabile di uomini e donne:  vicende sentimentali,  familiari personali, amorose, sessuali. La narratrice ogni tanto ripensa a sé, ma il più delle volte è assorbita e passiva.
Molte tra le persone-personaggi che ci avvicendano, hanno a che fare con la scrittura. Questo aspetto metanarrativo l'ho trovato un po' fastidioso,  o con comunque debole, anche se necessario, per un  libro che a suo modo sta cercando la strada su cui rifondare una narrazione. Non a caso va a farlo simbolicamente nella terra di Omero e delle tragedie, ci sono un po’ troppe penelopi e cassandre, poeta donne lesbiche, Atene, ecc. un po’ ingenuo questo disseminare esotismo delle radici della letteratura occidentale. La Grecia, che è anche la parte più fragile nell’Europa di questi anni, ma nel libro non c’è traccia - sono tutti in un olimpo privilegiato di super benestanti, acculturati.
Vedono il mare, l’antico, alzano gli occhi al Partenone, ma non la crisi economica per le strade di Atene. non ne faccio del moralismo, ma insomma, non è che mi appassioni questa astrazione.
 in Cusk agisce la narrazione dell’Europa incerta e fragile, ma anche la tradizione della cultura politica e letteraria del femminismo, che ha preso su di sé la condizione di precarietà e margine, del  “non avere una stanza tutta per sé” per trovare un diverso spirito fondativo. La narratrice è lontana da casa, la cambierà ancora (in Transiti) mi sembra si voglia collocare in un nomadismo fluttuante, come la sua scrittura e la sua attenzione.

 Ed  è questa la cosa interessante, che il romanzo sembra abbia  bisogno di far ripartire la narrativa dalla base,  da questo mix di autobiografia e ascolto. E’ stato salutato come una delle novità “dopo  la  quale il romanzo non sarà più la stessa cosa” ( si, ho letto anche  questa definizione,  forse  una  fascetta, ma  mi pare un po' esagerata).
E’  interessante magari proprio quello che è (per me) il suo limite, almeno per un lettore come me,  formato invece dentro Il Novecento di Woolf – cito solo questo nome perché è insieme uno dei vertici della scrittura del 900 e un modello alto diretto per l’anglo-canadese Cusk – oppure ,cresciuto con la poesia,che sia di Celan o del surrealismo o le avanguardie, come del resto le avanguardie il loro stravolgere le forme, da Cezanne e dal  cubismo in poi,  lo smontaggio prima e il dissolvimento poi , della figura. Invece Cusk si attesta fuori da tutto ciò, nel campo della lingua comune, rifuggendo espressionismo, lavoro su sintassi e lessico. Cusk ha una lingua pulita e cristallina. Vista però pensando a quella liea del 900 che dicevo, la trovo  piatta.

Perché lo fa? La risposta – l’unica che mi do – è che forse c’è la volontà di cercare  un’altra cosa. una dimensione diversa dell’oggetto letterario. La risposta sta nella forma stessa dialogica, conversativa adottata che struttura l’organizzazione narrativa – sfere in tensione magnetica di incontri - , perché il libro ha nella conversazione la sua “forma” e il suo cuore simbolico. Perché rivela la necessità di un’attenzione verso gli altri, è una lingua del dialogo, non è lirica, non  è espressionista, né crea mondi di linguaggi uniformandoli ad un “io/non io” soggettivo.  E’ una lingua del noi, dell’esteriorità, del mondano, è la chiacchiera, fregandosene di Heidegger.

 La forma del dialogo, dell’interrelazione aperta, è una qualità etica che si fa stilistica (etica e forma estetica, da sempre sono una il risvolto dell’altra)  che si fa presa di posizione stilistica mi sembra di aver intuito dalle recensioni lette, potrebbe essere un elemento che la accomuna all'altro autrice di cui si parla molto che Sally Rooney (“Parlare tra amicii” e “Gente normale” sono i suoi titoli e mi immagino un medesimo campo d’azione minimal ) Devo dire però che al netto di una traduzione limpida di Anna Nadotti, come sottolinea chi ha letto anche l’originale, trovo in ogni caso molto più nutriente e denso lo stile di altri scrittori, penso anche agli italiani, di oggi,   nettamente superiori.
  Come in poesia si assiste anche nella narrativa, a una sorta di appiattimento dello stile,  ad una forma della semplicità ad una semplicità che vorrebbe farsi forma. Al netto del pressing editoriale comune a tutto l’occidente - per avere una lingua mediana adatta al pubblico medio -  c’è una scelta, c’è un sentire,  una necessità che è per l’appunto sia stilistica  che  etica , cercando una rifondazione della cognizione. Tutto forse nasce proprio dal fatto di vivere in una posterità, densa di saperi e informazioni, news e fake news,  ma in fondo di non-appartenenza a nessuno di questi mondi e flussi di dati.
Meglio le storie. Meglio l’umano.
Collego questa scelta minimal – in parte è un neo minimalismo che mi ricorda l’organizzazione diegetica di Carver -  a un’ esigenza dell'essenziale umano che fa somigliare questa narrativa -  in particolare questo libro - alll'umano come lo descrivevano  i Kanak della Nuova Caledonia, quando un prete colonizzatore nel XIX secolo, quando egli chiese agli indigeni di dire che cos'era di disegnare meglio che cos'era un essere umano uno di loro disegnò un centro vuoto e tante linee che si dipana vano in maniera centrifuga. Tutte quelle linee disegnano la fetazione di relazioni con gli altri.
Anche la  fisica molecolare ci avverte, con gli ultimi studi che non esiste un centro, né un tempo, un  subatomico essenziale e fondante  della materia che si sposta, ma la materia è una sospesa interrelazione di energie  in uno spazio, tensione di energia tra elementi che di per sé dovrebbe essere divisa in qualcosa di molto più piccolo dei quark , elementi che sono invisibili, la loro esistenza è data dai calcoll algoritmici no invisibili anche al microscopio atomico, ma l’universo , la materia esiste solo per questo: un’energia di continua trasformazione e interrelazione energetica. Penso di aver capito Rovelli così. E penso che una narrativa come quella  di Cusk ne sia una sorta di involontaria specchio.

Così la narrativa sembrava far ripartire non da un centro del soggetto, negativo O positivo che sia (4) ma dai resoconti degli altri. Mi fa un effetto un po' crepuscolare. C’è una disillusione nel resocontare malinconicamente la catena di fallimenti e sostituzioni che ogni vita ha in serbo, come gli amori i mariti ma anche le opportunità, la consapevolezza che c’è stata una perdita e tutto sommato il pericolo e la precarietà sono dietro l’angolo. Ma  se devo dire la verità, sarò pure un nostalgico del 900, ma aspetto qualcosa di più esplosivo, di meno  consolatorio.

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1 LA definizione e il titolo è del volume di  Benedetta Craveri , Adelphi, in cui si racconta di un’ aristocrazia che aveva speso le sue ultime energie pre-rivoluzione,  per definire una perfezione dell'animo umano, del comportamento umano, plasmando con le parole intrecciate nei salotti, in un mix di mondanità gossip e analisi psicologica,  l’etica di relazione e l’identità profonda degli esseri umani. Mondanità e arte, intellettuali e cortigiane,  ne furono il laboratorio. Si definivano relazioni, ma si stava formando una coscienza collettiva, che sarebbe sopravvissuta a barricate e ghigliottine,   dopo il 1789.

2 “La comunicazione non è il trasferimento di esperienze vissute, di opinioni o di desideri, dall’interno di un soggetto all’interno di un altro. […] Parlando, l’Esserci si esprime; non perché sia dapprima incapsulato in un “dentro” contrapposto a un fuori, ma perché esso, in quanto essere-nel-mondo, comprendendo, è già “fuori”(….) 

La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante. La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere.” (citazioni da M. Heidegger,  Essere e tempo, LA nuova Italia)

3   con le l'elaborazione di una scrittura che fosse il lato estremo ed esterno di una riflessione a volte ideologico filosofica proprio su come il linguaggio possa influenzare comporre e scomporre la realtà. Esprimerla col suo volto inedito.
Archetipo di questa posizione,  l’anonima realtà di un uomo gettato nel tempo nuovo del secolo, narrato da Joyce scrisse l’Ulisse, inventando il suo flusso di coscienza e altri stili, che potessero dar conto della trasformazione psichica, ebbene qui questo piano non c’è più.

4   forse  perché appunto Beckett è un centro fortissimo anche se negativa è la negazione del soggetto che produce tantissimo partendo da sé continuando a partire da sé E appunto la teologia negativa del soggetto di cui ha parlato Giorgio Caproni nelle sue ultimi libri comunque dando la possibilità al poeta di poter in qualche modo far dire l' Io qui probabilmente vuoto .

1 commento:

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