domenica 23 ottobre 2022

DIARIO DI UNO SPETTATORE DI TEATRO (Note su ultimi spettacoli visti)

 Metto qui di seguito alcuni brevi accenni a spettacoli visti al Festival VIE di ERT Emilia Romagna Teatri, in vari luoghi,   Roma Europa festival e Short Theatre, questi ultimi due a Roma 


Al Festival Vie ( https://2022.viefestival.com/ ) di Emilia Romagna Teatro Fondazione una qualità di spettacoli tendenzialmente molto alta, alcuni saranno in tournée, ad iniziare da Il Ministero della solitudine del Lacasadargilla, una danza di parole in cui si compone la nostra disconnessa e iperconnessa vita che è molto più solitaria e a rischio isolamento di quanto immaginiamo (ne ho scritto su Repubblica.it, https://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2022/10/13/news/ministero_della_solitudine-369805887/  per chi fosse abbonato) una vera e propria indagine sullo stato psichico di un’epoca fatta di singolarità che si misura con la dimensione globale e planetaria, molto oltre la comunità dei dintorni, di invito al narcisismo, di autorappresentazione digitale come prevalente istanza di socialità, con il risultato che fuori da quella bolla si aprono baratri, nevrosi, precipizi, tanto che addirittura i servizi sanitari e sociali degli stati se ne sono preoccupati, perché la solitudine diventa di massa (a Prato teatro Metastasio dal 3 al 6 novembre https://www.metastasio.it/it/eventi/cartellone/cartellone-22-23/il-ministero-della-solitudine.1086 )


Ancora Vie Festival, Ho visto “Il Capitale” di Kepler 452, che è molto più di uno spettacolo, è la presenza viva del mondo del lavoro che si racconta e si confronta con chi il teatro lo fa e lo vede, a suo modo è un resoconto e una resa dei conti, in cui domina come domanda non “che fare” di Lenin, ma il “come state” (come stiamo) davvero noi, che pensiamo di non essere sfruttati. Costruito come un diario del lavoro (dei teatranti e degli operai) lo mette in scena, ma ha dalal sua la forza della verità, l’attitudine etica, senza retorica, lo sguardo curioso, il corpo e le persone degli operai che sono testimonianza. Non ci sono ancora repliche ma speriamo di si, controllate su https://kepler452.it/

Lo spettacolo di punta è stato certamente “ Imagine” del regista polacco  Krystian Lupa, considerato un maestro del teatro europeo. Uno spettacolo-evento della durata di sei ore, malgrado alcune cadute di tono, anche fruibili, anche perché resa dei conti con sé stesso e con le utopie giovanili. Come per altri autori giovani negli anni 70 nei paesi del socialismo reale,  la malinconia assume forme sdoppiate: dopo la gioventù passata sotto un sistema totalitario a immaginare la libertà, dopo l’89 quel che si è trovato è stato un sistema-totale in cui certo la libertà aveva il prezzo del consumo e del modello capitalista senza più alternative. E’ forse questo che pesa sul personaggio chiave, alter ego dell’autore, ex guru di un gruppo hippie e sognatore (simile a quello fondato negli anni 70 dallo stesso Lupa ) che chiama i suoi ex amici ad una resa dei conti, a un “grande freddo filosofico” e di autocoscienza che approderà dopo labirintiche discussioni, a una exit-strategy di comunità dell’utopia tra  sesso libero e trip lisergici, il doppio fondo dell’individualismo. Si può ancora immaginare come nella canzone di Lennon, cuore messianico e nostalgico dello spettacolo,  un mondo senza frontiere, religioni, nazioni e che viva in pace? Nello spettacolo, ancora in lavorazione durante l’ultimo anno si è necessariamente innestata la guerra in Ucraina. Così, nel secondo atto gli stessi attori nei panni di profughi che attraversano un confine, riprendono il discorso da un’altra prospettiva. Lo spettacolo, va detto si gioca su registri diversi: iper verbale, visionario, sacrale, con il regista seduto dietro la regia, che interviene in voce con sue glosse, quasi a sottolineare uno sdoppiamento del protagonista, reso visibile dai due attori che lo incarnano, specie nella parte verso la fine, ormai una sorta di deserto evangelico/o scena azzerata, da finale di ogni partita possibile, in un crescendo visionario e allegorico, evocando dittature e disastro ambientale. Qua e là, le apparizioni in video di Lennon e dei Beatles sono delle vere e proprie coltellate emotive, il contrappeso all’interrogazione incessante, quasi Dostoevskiana, resa però viva e fluida dalla bravura degli attori, dalle invenzioni pittorico-fotografiche della scena e di alcune soluzioni tecniche. Per gli spettatori, immersi e dispersi in questo vasto vuoto che è il XXI secolo, sogno e realtà contano più del bene e del male. Uno spettacolo teso e tormentato, con alcune discontinuità inevitabili. Come nei grandi affreschi d’epoca.


Sempre Vie,  fascinoso, elegante, con originalità stilista è “Karnival” di Michela Lucenti e Balletto Civile. Opera potente, tra danza e teatro, forme di condensazione poli-artistiche (danza, letteratura, canzone) che portano in una dimensione che ha sapore di fantastico, dentro un luogo chiuso come un grande albergo, i cui corpi, soggetti indefinibili, colpe, desideri, pensieri non lineari, che costruiscono attorno a fallimenti, un “fanta-giallo” in cui il corpo non è il reato. Da vedere tra il 2 e il 14 dicembre  quattro date in scena a Udine, Modena, Torino, Cesena. https://www.teatro.it/spettacoli/karnival-michela-lucenti 


Vero gioiello di Vie Festival,  “Forma sonata” di Daniele Spanò che è un’opera (teatro-performance-installazione) che definirei perfetta, tesa e senza alcuna sbavatura nel mettere assieme canto antico, musica elettronica, movimenti sul palco della soprano Arianna Lanci, visual art digitale, reportage, recupero di arte classica. Dal Giorgione al turismo di massa a Venezia per l’acqua alta, la catastrofe climatica può essere fraintesa nel suo aspetto estetizzante, così come i capricci del meteo apparivano frutto di volontà divine in epoca  classica. Il filo conduttore è il passaggio dai fulmini del cielo alla natura imbrigliata, sfruttata spettacolarizzata, ma all’orizzonte una minaccia bel più terribile delle “tempeste” d’arte. (non ci sono date ancora https://www.danielespano.com/

altro spettacolo atteso,  Halepas della regista greca Argyro Chioti, che punta ad essere un’opera post-pop contemporanea, una  tragedia musicale dedicata a Yanoulis Halepas, scultore greco del XIX secolo, figura mistica, segnato dalla malattia mentale, che ha poi trovato riscatto. Uno spettacolo che tuttavia è deludente, nonostante la scenografia affascinante, gli attori molto bravi, ma nel complesso forse troppo verboso e al  tempo stesso poco lineare, le musiche di Jan Van Angelopoulos non mi hanno convinto, anzi molto più semplicemente non hanno coinvolto, appesantivano ulteriormente una drammaturgia già complessa.

  Da vedere sicuramente invece  Gli anni, di Marco D’Agostin, già strepitoso autore e interprete dell’assolo “Best regards”, qui solo in veste di autore coreografo, in un’opera tra Ernaux e Max Pezzali. D’Agostin  lascia il palco a quella che di fatto è la sua  coautrice, Marta Ciappina, qui come danzatrice che mescola le altissime doti performative, alle espressività di un interprete di una trama sottile tutta basata sui ricordi che la vedono inevitabilmente protagonista (come la danza può fare autofiction). Meno direttamente narrata, ma qui in un crescendo sofisticato di accumulazione di segni e figure del corpo, unitamente a flash di ricordi con evocazione di stralci sonori (che compaiono più nella lontananza evocativa, ma di fatto si balla sul frusciò del vinile) con Ciappina che lancia razzi di racconto e semina oggetti-indizi. Tutto poi da questa aleatorietà tesa, tenuta dalla forza di un neverending del moto,  si ricomporrà in un crescendo in cui la narrazione si farà non solo più esplicita, commovente e coinvolgente nel dialogo tra io-performer/noi spettatori, ma espliciterà anche come quelle figure di coreografia hanno inteso rappresentare un racconto. 5-6 Novembre a Reggio Emilia (ma vi suggerisco anche Best Regards qui date https://www.marcodagostin.it/agenda/

 

A Milano, Al Piccolo Teatro ho visto "hamlet" di Latella spettacolo potente, con una nuova traduzione, una regia con essenziali punti di forza e scenografia ad alto tasso simbolico, protagonista la bravissima Federica Rosellini, ne ho scritto qui su Huffington (https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/10/13/news/lhamlet_di_latella_piu_lotta_che_dubbio-10392073/
 è in scena fino al 31 ottobre al Piccolo, vi consiglio di vederlo se riuscite,  se altre date, da controllare  sulla pagina delle produzioni, non ce ne sono per ora https://www.piccoloteatro.org/it/pages/in-tournee

A Roma al Romaeuropa Festival ( https://romaeuropa.net/ ) ho visto invece l'altro atteso spettacolo dell'autunno dei festival,  Grief & Beauty di Milo Rau. Col suo metodo di scomposizione narrativa e drammaturgica, il pluripremiato e grande regista svizzero prosegue nella sua strada di realismo, sfidando “l’impossibile” della famosa definizione di Lacan di fronte all’Origine del mondo. Partendo da un apparente meta-teatralità (sono gli attori che in scena parlano sia del loro lavoro della loro esperienza, sia di come questa – con il dolore, i lutti, le separazioni, gli strappi della vita) di metta in relazione con la vicenda di Johanna, un’anziana donna che malata cronica ha scelto con lucidità la fine della su vita con l’Eutanasia. Non solo, Johanna, parte anche essa della comunità di persone che lavorano attorno al Teatro di Gent di cui Rau è direttore,  ha accettato di farsi riprendere proprio nel momento del passaggio dalla vita alla  morte, con intorno le persone care. Parallelamente, nei vari capitoli in cui è diviso lo spettacolo, gli stessi attori che hanno raccontato di sé, mettevano in scena le ultime ore di un uomo che si sottopone alla stessa procedura, per poi terminare con un capitolo in cui il tempo mostra le sue risorse non-lineari, una geometria del passato che guarda al futuro commovente.  Parte del progetto sulla rappresentabilità del reale, Grief & Beauty è più intimo, silenzioso, impalpabile, rispetto ad altri progetti, ma si confronta con il momento più solitario dell’esistenza umana, nella sfida nuova, ovvero rompere l’argine delle nostre monadi e condividerlo con fraternità. Non ci sono altre date italiane per ora. Sarà da Gennaio a Parigi, per chi parla francese e dovesse capitare lì https://www.ntgent.be/nl/programma?onTour=1&month=january-2023 )


Ho visto Au Bord, di Claudine Galea, un testo che parte da una riflessione/ossessione per una foto del 2004 con le  torture e gli abusi subiti dai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib. Una in particolare la foto della soldatessa che tiene al guinzaglio uno dei prigionieri. L’intenzione è sfidare l’indignazione per confessare quanto quella immagine possa in realtà essere molto più attraente di quel che crediamo. Solo che il risultato è un succedersi piuttosto monotono e scontato di pensieri sul fascino del carnefice, sul fascino che può esercitare su noi il male o anche la seduzione di un/una carnefice. Una riflessione che in Francia si fa dal surrealismo, da Artaud, da Bataille in poi fino a Baudrillard, il testo non dà nulla di nuovo – certo magari può parlare a pubblici che non hanno attraversato quegli autori. La regia di Valentino Villa alla fine preferisce una strada del Non-vedere (nel paradosso su uno spettacolo che vorrebbe anche toccare la criticità della spettacolarizzazione mediatica del male, del terrore) finendo per rifugiarsi solo in belle scene e mutazioni di luci, anche se un po' statiche, così come la scelta, anche motivata bene, alla sottrazione a "non-essere l’autrice" in una forma quasi estraniante, porta un' attrice con un bel percorso, molto premiata  e brava come Monica Piseddu ad un flusso recitativo che pesa per astrazione, e una certa monotonia.



Sempre a Romaeuropa, spettacolo OK BOOMER di Babilonia Teatri, su un testo di un autore che ha vinto il “Premio Tondelli 2021”, Nicolò Sordo. Tutto ruota attorno all’ossessione giovanile, adolescenziale,  per le scarpe sneakers costose della Nike, diventate simbolo oltre il brand. Protagonista un ragazzo, figlio di un padre separato, indigente, comunista e fieramente anticonsumista, a cui però il figlio riesce a strappare i 150 euro per le Jordan Air. Quando andrà il sabato pomeriggio al centro commerciale deciderà di rubarle anziché comprarle (perché così fanno tutti). Quello che emergerà, oltre questo conflitto padre-figlio sulle scarpe costose,  con un po’ di salti narrativi, qualche grottesca o comica deformazione, ma molto divertente, è una vicenda che si rivela a sorpresa, uno sfruttamento che sta non solo “dietro” la produzione delle scarpe,  lontano da noi, ma anche vicino, secondo l’invenzione di Sordo, perché si scopre per caso che nel  sottosuolo del centro commerciale ci sono immigrati rinchiusi e sfruttati.  La messa inscena dopo un primo monologo affidato allo stesso Nicolò Sordo come attore, vede tutti i personaggi  – il figlio, il padre, Veronica, i commessi, la vigilanza - impersonati in un dialogare fitto tra Sordo e l’altro attore in scena  Filippo Quezel, col risultato che la bravura dei due attori tiene, anche laddove il testo vira al già noto e qualche volta in ovvio. Obiettivo finale: il nostro feticismo dei beni, la vera roccaforte del Capitalismo del XXI secolo, che impedisce ogni salvezza e alternativa, come viene fuori alla fine dello spettacolo in cui si ride molto, ma con un buon feedback di retropensieri e paradossi che ci interrogano.  

 


A settembre avevo visto alcuni spettacoli al Short Festival a Roma, in particolare segnalo Manifesto Transpofagico di Renata Carvalho, un 'epopea di conoscenza del mondo dei "travestì" brasiliani e L’etang di Giselle Vienne, speccaolo su un tragio disperato bisogno di amore di un adolescente, che si trasforma in crudeltà o nichilismo - da una piece di Walser.
Due spettacoli belli, ne ho scritto qui, sono due spettacoli diversi, entrambi interessanti ne ho scritto qui su Minima & Moralia (https://www.minimaetmoralia.it/wp/teatro/short-theatre-la-performance-come-corpo-che-ispira-e-cospira/ )



Per vederli, Gisele Vienne solo in Francia per ora qui le date https://www.g-v.fr/en/agenda/ per Renata Cavalho non ho trovato nuove date,  rimando alla sua pagina artista https://www.facebook.com/renatacarvalhoteatro/


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 Ho letto ”Ho paura torero”, romanzo del 2001 di Pedro Lemebel (tradotto nel 2011 da Giuseppe Mainolfi e edito da Marcos y Marcos) per curio...