venerdì 7 maggio 2021

#laricercadeltempoperdutoin100giorni diario dei primi dieci


 Ecco alcune impressioni sulla Ri-lettura de "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust, nella traduzione di Giovanni Raboni.
Grazie alla challenge di Marco Giacosa, mi sono messo nell'impresa.
Spesso ci diciamo, ripensando ai libri letti in gioventù e a quelle emozioni provate (tema tra l'altro della prima parte del primo volume, "Combray") ci diciamo "prima di morire voglio rileggere X, Y e Z" intendendo  certi classici ecc.
Proust è tra questi, libro che in molti non hano letto o hanno abbandonato.

Una seconda lettura è una follia, ma "prima di morire" poiché il momento si avvicina, ho deciso di rileggerla. 
il "tempo che resta" è il contraltare del "tempo perduto" e di quello "ritrovato".

 
Letta da me per intero alla fine degli anni 90, in un'estate di scazzo e crisi - come spesso capita - quando uscì in versione Oscar Mondadori in 7 volumi, mi impressionò molto per come illuminava il mio recente passato e il mio commento più ripetuto su quell'esperienza fu che sapeva dire con precisione emozioni e stati d'animo a cui io non sapevo - da bravo maschio ottuso - dare parola.

L'ottusità resta, oggi spero di avere più saggezza, ma ho smesso di fare cazzate da un giorno, quindi non saprei. 

Di sicuro ho 57 anni, sono passati più di 20 da quando l'ho letta, più o meno nell'età che aveva Proust quando la iniziò scrivere  (circa il 1909, a 38 anni) e un'altra delle cose che mi dissi all'epoca era "meno male che non l'ho letta a 20 anni, non l'avrei capita".

Quel che capisco oggi è qualcosa in più, che va oltre la materia che narra. Diciamo che se a 37 anni la leggevo con la forte identificazione con i personaggi, rischiando di travisarla, oggi la guardo di più come un libro di filosofia, un saggio sugli archetipi, un'opera mondo indefinibile che ha tuttavia una visione della vita che sta dietro il mondo, il tempo e non ha nulla a che vedere con la nostalgia, né forse con la malinconia, forse una malinconia lucida e feroce.
Ecco il dirario:

ARDTP, PRIMO DIECI GIORNI, 6 MAGGIO

Allora sono arrivato all'incirca a pagina 370, EDIZIONE DEI mERIDIANI.

. Sono nel pieno dell'amore di Swann, alcune impressioni veloci.

INCIPIT,  Nonostante sia lentissima l'introduzione, la scena dell'attesa del bacio, quelle 50 è più pagine, è una specie di adagetto musicale – avete presente quello di Mahler strafamoso per l’uso che ne fa Visconti in Morte a Venezia (Visconti che doveva girare un film da Proust, chi meglio di lui? Ma scrisse solo la sceneggiatura poi non fece in tempo, ma forse si trascinò rimandando, perché sapeva della difficoltà)

L’adagio è un ricordo di un estremo passaggio dalla veglia al sonno segnato da una “mancanza” - imprinting che appunto la mancanza del bacio è che subito a pagina 7 della mia edizione dei Meridiani, il Narratore dice che  “ certe volte come Eva da una costola di Adamo, una donna nasceva nel mio sonno da una falsa positura della mia coscia”. Ecco questa connessione tra il passaggio dalla veglia al sonno con la creazione di fantasticherie e la sensualità dell’immaginazione (sessualità reale) è il  trittico entro cui sarà molta parte della ricerca del tempo perduto. Il sonno, dunque, è una conoscenza e il risveglio è la sensazione dell'esistere un essere primario.

Il mondo di Proust a questo livello è avvolto da quel secondo paesaggio che sono le fantasticherie, ed è una descrizione dell'infanzia questo che fa parte di ombre e tutto inizia con questo dittico o dicotomia che chi  ti lascia, ovvero tua madre, è colei che ti crea e in qualche modo ti abbandona, come fa da sempre e da subito,  nel momento stesso in cui tu nasci perché non sei nell'unità piena in cui sei stato concepito e in qualche modo sei stato creato di quella unità piena ed essa ti rimane un ombra (ha qualcosa di platonico e lacaniano insieme). L’unità inziale lascia dentro di noi un suono,  una frase,  tanto per dirla con un elemento che poi tornerà nella "Ricerca".

Il bacio è soltanto una illusione,  sempre più nevrotizzata. Proust è un grande narratore delle nevrosi e del nichilismo dell’irrecuperabilità (ci tornerò su questo punto) è un fenomenologo di certi sintomi psicologici, che Proust osserva nascere e descrive (pur essendo lui lettore precoce di Freud) come li avrebbe descritti un narratore che Freud non lo conosceva ancora, e che usava tutto un armamentario di psicologia ottocentesca, ma come copertura di una condizione ben più disperata.

Tra i fenomeni che racconta e che decostruisce è la gelosia, la stessa ossessione di Swann per Odette è una sorta di ossessione psicologica e narcisismo patologico, come viene chiamato oggi.

Altro elemento che descrive con finezza ma quasi seguendo l’evento per come nasce e come arriva a formarsi, è la lettura di libri. Un momento fondativo della formazione di un’anima, Proust parla di come arrivi a certi scrittori come Bergotte (probabilmente nome inventato per intendere Anatole France) o George Sand scrittori anche popolari o commerciali per certi aspetti, ma tutte le sue letture proprio come attività primaria generano quel tipo di sensazione,  che sarà poi una sempre ulteriore complessità a ricreare e quindi in qualche modo Bergotte/France e Proust sono speculari, fanno la stessa cosa, benché oggi  France sia considerato autore di stile classico e superficiale, anche melenso. Tuttavia, per un ragazzino neanche adolescente era una lettura fondamentale, come per noi Salgari, adeguata a quello stadio della vita -  a un certo punto Proust scrive che Bergotte  “ si configurava come una raccolta di epigrafi da mettere in testa alle mie lettere”  e non è quello che forse accade anche oggi con Proust (da coloro che lo leggono solo come campionario di decadenti stati d’animo o emozioni)  di cui vengono citate le frasi estrapolate ?

altro elemento bello di questa prima parte è tutto il racconto delle abitudini casalinghe, soprattutto il ritratto della prozia della nonna del nonno e anche delle due domestiche di casa Francois, o la sguattera che sono elemento di satira, mi fanno venire in mente questo così come anche il salotto dei Verdurin certe inclinazioni volgari di una signorina bella ma ignorante come Odette , Gozzano e al suo mondo di nonna speranza – Gozzano anticipa Proust scrivendo a inizio 900 sarebbe bello immaginare un amore tra Speranza e Swann.

 

 Sono molto belle anche le pagine sui Biancospini, perché di questo rapporto tra natura e sensualità sarà permeato, poi tutto almeno questo libro che parla di Swann

(ho riconosciuto credo nella decisione del padre di andare a fare la passeggiata o dalla parte di Swann o dalla parte di Guermantes, forse l’incipit de “Gita al faro” di Woolf (se domani farà bel tempo ecc...)

 molto bella e l'apparizione a un certo punto anche qui della ragazzina a pagina 121 questa ragazzina che compare nel bel mezzo di una visione della natura e la erotizza, collegando poi la componente erotica dell’Altro a una collocazione o appartenenza al paesaggio di collocazione in cui si troverà poi l'immagine della donna desidera. Di fatto Proust non fa che continuamente erotizzare il mondo, crea feticci, al tempo stesso li considera dentro una sua privata sacralità – benché sia un nichilista. Diciamo che è una sorta di animista intellettuale.

Swann collocherà Odette nel panorama, nel ‘paesaggio’ delle sue visioni artistiche, nel ricordo dei quadri di Botticelli e  soltanto in questa collocazione Odette  avrà la sua legittimazione come oggetto del desiderio. Lo stesso accade anche dopo quando parla appunto dei Biancospini e di nuovo del desiderio.

Ecco un passaggio:

"A volte, nell’esaltazione che mi proveniva dalla solitudine, se ne aggiungeva un’altra che non sapevo isolare nitidamente, causata dal desiderio di veder sorgere davanti a me una contadina ch’io potessi stringere tra le braccia”. 

Insomma, come la Venere che sorge dalle acque, ma a differenza di quella Botticelliani, silfide quasi astratta in una contemplazione intellettuale, qui il Narratore vuole veder sorgere dai boschi una più concreta e afferrabile contadinella. E se il desiderio è “esaltante” P. però precisa che la natura avrebbe poi dilatato ciò che il solo incanto della donna avrebbe configurato come troppo angusto.

 C’è quasi un’ intuizione lacaniana, quella di Proust del rapporto tra l’ immagine interiore (Eros) che si ritrova nel bello, nella natura, nell’arte, e il dato materiale e singolare dell'esperienza, tanto che arriva a evocare il desiderio di una “passante” (qui Proust ha ben presente Baudelaire)

questo elemento come di un’immagine archetipica che ci portiamo dentro (nel caso del Narratore non può essere che legato ad esempio alla madre in questo senso così ardentemente desiderata )  questo rapporto con l'immagine dentro di sé e di una figura genitoriale riemerge anche nelle pagine interessanti sul sadismo  quando Mademoiselle Vinteuil, figlia del musicista di provincia, oscuro docente di pianoforte, ma creatore della sonata in cui c’era la “ frase musicale” che diventerà fondamentale nell'amore di Swann,  il quale appunto ama Odette anche a partire da questa pulsione interiore che identifica nel bello, in immagini artistiche o riconoscendo nella frase musicale, l'origine segreta delle sue intonazioni e ritmi del “cuore”, le sensazioni amorose. In quella  scena, la figlia del maestro  Vinteuil consuma – ormai libera e morto il padre – il suo rapporto sessuale con la sua amica e amante davanti al “piccolo ritratto del padre” che doveva servire – scrive Proust –“ per qualche loro profanazione rituale” perché l’amica dice “lascialo lì, tanto non c’è più lui a levarci il fiato” fino poi a dire, afferrando il ritratto “sai cosa mi vien voglia di fargli a quel vecchio mostro?” e sussurra all’amica spuraci sopra.
. E qui c’è un passaggio molto bello, perché il Narratore dice che il signor Vinteuil se “avesse potuto  assistere a quella scena non avrebbe ancora perso la propria fede nel buon cuore della figlia” perché ne avrebbe visto sotto l’apparenza brutale del male, quello di una figlia che permette all’amica di sputare sopra il ritratto del padre morto da poco e “vissuto solo per lei” e conclude “alla fine non c’è che il sadismo  dare un fondamento nella vita all’estetica del melodramma”. Una frase profondissima.

Qui bisogna fare  una riflessione generale su Proust e ARDTP 

Proust appare nella vulgata come un autore lirico, dispiegato in un racconto di dolcezze nostalgiche, consolatorio addirittura, emozionale. Sono in realtà gli episodi della vita che Proust resoconta, ne fa fenomenologia, come Freud farà poi nei suoi libri, qui in modo narrativo, ovvio,  in apparenza riprendendo proprio la bellezza della scrittura a cui si era abbeverato da ragazzo, ma che in realtà diventa poi non solo una sperimentazione formale della scrittura stessa, in articolazione sintattica di complessità psichica, ma sottintende altro. Che cosa? che quello di Proust è un viaggio di conoscenza filosofico-esistenziale e insieme un’autoanalisi che cerca la comprensione nell’io-profondo che sta dietro tutti i nostri gesti, anche nelle mollezze della vita di provincia, anche nel “melodramma” degli amanti, che sia la mademoiselle Vinteuil o Swann.

Le esperienze psico-esistenziali, narrate nell’eleganza formale della frase, tendono alla riflessione sui rapporti intersoggettivi, alle radici psicologiche, all’infinita ripetizione – nel tempo “perduto” appunto” – di errori su errori, verso cui Proust ha una ironia leggera che nasconde una visione di ferocia e durezza: l’uomo è animale cieco ed egoista le “abitudini” psichiche e sociali che prue descrive così bene (Proust è stato formidabile giornalista mondano) soffocano il mondo proprio nello stereotipo, nella superficialità. Dietro l’elogio bonario, c’è il veleno della lucidità e per esempio ci abbandoniamo alle fluttuazioni emotiva di Swann, ma finiamo poi per odiarlo e odiare in noi tutti i comportamenti che ritroviamo così ben descritti, nell’amore, nei nostri rapporti d’amore. Viviamo in tradizioni estenuate, questo diceva P. ai suoi contemporanei, ma varrebbe ancora per questi tempi di trentennale neo-conservatorismo (guardatevi introno da Trump a bin Salman al nostro dominio ventennale di Berlusconi e Salvini). Il Linguaggio, il Ruolo il Denaro condannano l’autenticità a celarsi, a soffrire e a perdersi, nel tempo (“come lacrime nella pioggia” per celare il più proustiano dei monologhi di fantascienza). E possiamo solo dare una risposta singolare, nello scavo interiore, nel cortocircuito passato-futuro a cui ci portano le “intermittenze del cuore” ovvero la memoria proiettiva)

Ecco Proust fa una cosa, lui che è una lettura-mito: demitizza. Si sorride, ci si abbandona alle sue cronache familiari, amorose, mondane, ma poi prevale lo smascheramento dell’acido corrosivo che Proust  sa mettere dentro l’apparenza elegante del suo stile e del mondo che racconta. In questo Visconti è suo discepolo. Lo si scambia per decadente, in realtà Proust è un de-costruttore. La sua visione è nel disincanto, nel vedere il vuoto sotto – non a caso sarà amato da Beckett, che quel “vuoto” lo mostra invece cin modo grottesco e assurdo.

L’attesa di Godot è come il ritrovamento del tempo, impossibile se non in ciascuno di noi. Proust compie con noi il viaggio nel passato per ripercorrere i materiali di un’esperienza della vita, ce ne offre di esemplari e in qualche caso, anche “universali” in certe fulminanti pagine. Ma a dispetto della superficie Proust sa bene che conta ciò che ri-analizziamo, ri-semantizziamo ciò che è accaduto, in un nuovo discorso. Il tempo così non va ritrovato, va negato se inteso come ritrovamento di ciò che era. Il passato serve a uscire dal tempo a distruggere il suo mito, in cui costantemente la dimensione del vissuto sarà un corto circuito capace di sottrarci all’incessante consumo, all’abitudine, al dover essere. È infondo solo la concezione negativa, esistenzialista che Proust sottende e che esploderà negli autori francesi 40 anni dopo (Beckett – francese d’elezione – Camus ecc.) che ci aiuta a vivere nello spazio del nostro accadere, continuamente spogliato e rivestito dalla demitizzazione dei nostri miti interiori. Accade “l’evento” ma sottratto a leggi, architetture, senso, connessione di nessi prestabiliti. Storia, in fondo. La nostra storia e la Storia in cui siamo vissuti, per liberarci di essa. A questo tende il “ritrovamento” di Proust che demitizza ogni ritorno. E anche la stessa parola “ritrovare” perché sarà, semmai un trovare altro. Proust tende dove Beckett ha concluso: al deserto dei “Bei giorni” di Winnie al silenzio dietro la massa dei nastri registrati di Krapp.

 

 

Anche per giocare proprio alla demitizzazione di sé stesso come “Autore” Proust fa fare un gesto di innesto al Narratore nella parte finale della sezione Combray, col ricordo dei “due campanili di Martinville” riandando alla sensazione provata un giorno durante un viaggio sulla carrozza del dottore quando prova “impressioni” che – scrive il narratore – non potevano “restituire la perduta speranza di essere un giorno scrittore e poeta, dal momento che rimanevano per sempre  vincolata a un oggetto specifico e privo di valore intellettuale e non ricollegabile ad alcuna verità astratta” Per poi dire “Ma perlomeno mi davano un piacere immotivato, l’illusione di una fecondità”.

Ecco Proust gioca a riandare alla perduta speranza di essere ciò che poi effettivamente è diventato (tutta l'opera ARDTP viene riassunta in una frase "Marcel diventa scrittore" il finale è sul libro che scriverà - e che noi avremo appena letto,  descrivendo da un lato ironicamente quell’ardente desiderio, ingenuo nel cercare verità astratte, ma poi in qualche modo recuperandolo nel “piacere immotivato” primo segnale di una ricerca di libertà ulteriore che sarebbe arrivata proprio dalla demitizzazione di tutto, compreso il suo mito adolescenziale dello “scrittore”

– e come lo fa questo gioco? Poco dopo descrivendo la scena in cui si fa dare un pezzo di carta e una matita dal dottore per scrivere quelle sensazioni e no solo: portando quel pezzo di scrittura ingenua dentro il suo libro. Lo fa però con una finzione che solo anni dopo i filologi hanno scoperto: quella pagina di resoconto della visione del paesaggio che cambiava in movimento nello spaziotempo della corsa sulla pianura della carrozza, è stato effettivamente un pezzo scritto da Proust ma non da ragazzo, e nemmeno dal ragazzo-Narratore suo doppio, ma dal giornalista Marcel Proust nel 1907, poco prima di iniziare a scrivere la Recherche, a 36 anni)  per una rivista.

 

L'altro elemento interessante è l'intuizione in qualche modo di quello che stava nascendo con la società moderna,  e con la creazione di un gusto del pubblico di massa,  allargato olrte la borghesia ottocentesca, in realtà era una questione che si era già apposta dai tempi di Hugo e poi Balzac, che scrivevano anche per il pubblico che si stava allargando, formando, una piccola borghesia istruita, e dopo Flaubert e Baudelaire che invece con quel pubblico si scontrarono.

 Diciamo che 50 anni dopo, nei primi anni del secolo, negli anni della avanguardie, Proust fa una sua diversa esperienza di quella discontinuità accaduta con la frattura (c’era stata a guerra mondiale esperienza che rede l’ultimo libro della Ricerca il più bello secondo me) con più esattezza quasi di fenomenologia estetica di quello che è ancora oggi il dibattito aperto tra un arte liofilizzate semplificata per grande pubblico, ad esempio la poesia di Arminio rispetto alla poesia di Zanzotto e che pur sempre poesia viene considerata, ma la differenza è enorme.

Proust costruisce un personaggio ambivalente, con Charles Swann: è irritante quel suo essere al tempo stesso possessivo e sottomesso con Odette, ma è illuminante come un’autoanalisi per tante dinamiche amorose – una sua evoluzione si può leggere in un proustiano come Walter Siti, in “Autopsia dell’ossessione”.

La sua ambivalenza si vede ad esempio nel passaggio in cui finalmente scopre l’autore della famosa “frase” musicale che è una chiave di volta per tutto il libro. E’ questo il momento in cui Swann Ascolta dal pianista la frase della suonata di Vinteuil, avendo saputo proprio da lui in casa Verdurin, da pochi giorni, chi fosse l’autore, tanto cercato,  e il Narratore ci dice che Swann aveva iniziato a cercare informazioni su quella frase su quella sonata e sul suo autore sul periodo della sua vita in cui aveva un posto quella sonata su ciò che poteva aver significato per lui la “piccola frase” e scrive

“.. era questo soprattutto che avrebbe voluto sapere ma tutte quelle persone che dicevano di ammirare il musicista ( quando Swan aveva detto che la sua sonata era davvero bella Madame Verdurin aveva esclamato “lo  credo bene che sia bella ma non è ammissibile non conoscere la Sonata di Vinteuil non si ha il diritto di non conoscerla” e il pittore aveva aggiunto “ è proprio un meccanismo grandioso, non è se volete di quelle cose che ‘fanno cassetta’ e tutto esaurito, ma è un'emozione di primo ordine per un artista”)  quelle persone sembravano non si fossero mai poste tali domande, perché non seppero rispondere e addirittura a uno o due osservazioni particolari di Swann sulla sua frase preferita  “ è buffo non ci avevo mai badato, vi dirò che non mi piace molto cercare il pelo nell'uovo andare troppo per il sottile, non perdiamo il nostro tempo a spaccare il capello in quattro. Qui non è nello stile della casa”  rispose Madame Verdurin, che il dottor Gottard contemplava con ammirazione e con zelo studioso, mentre navigava in volta in quel mare di frasi fatte. Lui e Madame Gottard, peraltro, con quella specie di buon senso che è comune anche a certa gente del Popolo, si guardavano bene dall'esprimere giudizi o dal fingere ammirazione per una musica che si confessavano vicendevolmente una volta tornati a casa di non capire più di quanto capissero la pittura del signor Biche.

Poiché dell'incanto della Grazia delle forme della natura il pubblico non conosce che quel tanto che viene attinto dagli esempi più banali di un'arte lentamente assimilata, e poiché un artista originale comincia appunto dal rifiuto di tali esempi, i Gottard, emblema -in questo caso - del pubblico,  non trovavano nella Sonata di Vinteuil, né nei ritratti del pittore, ciò che rappresentava per loro l'armonia della musica e la bellezza di pittura. Avevano l'impressione che quando il pianista eseguiva la Sonata accozzasse sul piano delle note,  che in effetti non erano concatenate nelle forme in cui erano abituati,  e che il pittore gettasse dei colori a caso sulle sue tele. E  quando in queste ultime riuscivano a riconoscere una forma, la trovavano appesantita e volgare, cioè sprovvista dell'eleganza di quella scuola di pittura (attraverso il cui filtro vedevano persino di essere viventi per la strada) e priva di verità quasi che Biche vi che avesse ignorato come costruito una spalla e che le donne non hanno i capelli color Malva.

Tuttavia essendosi dispersi fedeli, il dottore, senti quell'occasione era propizia e mentre Madame Verdurin faceva un ultimo commento Alla Sonata di Vinteuil, come un nuotatore alle prime armi che si getta in acqua per imparare, ma sceglie un momento in cui non ci sia troppa gente a vederlo: - “allora è quello che si definisce un musicista di primo cartello!”, esclamò con brusca risoluzione.

Swann potesse soltanto appurare che la recente comparsa della sonata di Vinteuil aveva destato grande impressione in una scuola di tendenze assai avanzate,  ma che era del tutto ignota al grande pubblico.”

Ecco poi arriva -  subito dopo questa tirata contro il pressapochismo degli incolti, ma che sembra venire non solo da una conoscenza superiore delle arti, ma anche da una sensibilità umana più affinata – uno Swann crudele:

“Conosco bene un tale che si chiama Vinteuil,  disse Swann pensando al professore di Piano delle sorelle di mia nonna.

“ Forse è lui, esclamò Madame Verdurin . “Oh no, replico Swann ridendo, se l'aveste visto anche solo un paio di minuti, non vi potreste porre il problema”. “insomma porsi il problema è già risolverlo, disse il dottore. “Ma potrebbe essere un parente, rispose Swann, sarebbe piuttosto triste, ma in fin dei conti può darsi che un uomo di genio sia cugino di un vecchio scemo, se fosse così confesso che non c'è supplizio al quale non mi sottoporrei perché il vecchio scemo Mi presentasse all'autore della sonata a cominciare dal supplizio di frequentare il vecchio scemo che deve essere.”


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