“Notturno di donna con ospiti” è un noir del grandissimo e
troppo presto scomparso Annibale Ruccello, storia di una donna semplice, casalinga, madre travolta dai
suoi fantasmi. E’ un testo costruito nascondendo il nero dentro la tavolozza di
colori vivaci e un po’ acidi della commedia
mediterranea (forse prima e meglio di Almodovar) in cui è la maternità col suo deflagrare
erotico e dispotico tocca nel testo di Ruccello tutte le tonalità. Ma è
soprattutto Giuliana De Sio a
restituirlo come verità attraverso una finzione suprema, la sua capacità
attoriale, che va a sfidare e a riprodurre con estrema autenticità quello
strato di finzione e ipocrisia, sentimentalismo e sceneggiata, artificio che
costituiscono spesso la “verità” della
vita di certi strati popolari (napoletani sopra tutti, e in modo unico).
Insomma Ruccello e DE Sio scavano dentro le pieghe del
barocco biologico napoletano, nelle uallere dell’anima materna, sia quella
della Mutter fallica e repressiva che ha alle spalle sia quella nera e bambina
che è Adriana. De Sio fa teatro
attraverso un testo e la sua arte scenica, dunque elementi di finzione, ma
arriva ad un nucleo di autenticità
Delbono cerca di superare tutte le finzioni, punto a
all’autentico vero, e mette in scena una liturgia di cartapesta. Casualmente è
uno spettacolo che nasce a partire da un impulso legato alla madre dell’autore.Il
"Il vangelo" - che aspira all' apocrifo ma autentico - di Pippo Delbono non
prevede incertezze e cedimenti. E’ verità: ai margini c’è il bene, i marginali
sono santi, anzi nuove divinità e a loro
il culto. E’ un’orazione sacra e una
celebrazione della marginalità come paradiso in terra di un Cristo che si fa
uomo, donna, transex, omosessuale, migrante, malato psichico. non è un caso che
si apre con 11 sedie, manca Giuda - nessuno tradisce, nessuno mette in
discussione il Cristo-Del Bono. Lo spettacolo è un inno, una messa celebrata
dalla parte degli ultimi. Per una singolare coincidenza, che diventa emblema di
un’epoca e di una cultura non a caso sotto il segno di Pasolini, il cattolicesimo
della madre e il desiderio di vicinanza agli ultimi ma in modo laico, fanno si
che il figlio (al quale la madre che
fino in punto di morte ha tentato di redimerlo ) chiedeva “ma perché non
fai uno spettacolo sul Vangelo?”
Ora che la madre è morta, questo spettacolo a lei dedicato dal figlio che non
crede nel figlio di Dio, diventa in realtà la cosa più vicina al suo desiderio –
dellA l madre e potremmo ANCHE GIOCARE
CON Lacan e dire : che il figlio vuole essere (oggetto del) desiderio della madre. Cmnq stare vicino agli ultimi o
è patrimonio comune ai cattolici come ai marxisti compresi gli “eretici” ed è
stato gioco facile per Pippo accontentare la mammina.
Del Bono figlio lo è,
eretico, ma figlio, e vicino agli
ultimi, sinceramente, pur senza
appartenere ai rituali da sepolcri imbiancati della religione tradizionale. Il
problema è che anche Del Bono, richiamando con impeto di sincerità tutto un
repertorio della rappresentazione gioiosa dell’marginalità finisce per creare un
rigurgito di artificiosità, dunque l’effetto contrario. Creando uno spettacolo
in cui supera il limite dell’ambivalenza per approdare decisamente nel
territorio del “brutto”. Brutto spettacolo, noioso, irritante. Una liturgia che
pur partendo da intenzioni estremamente sincere produce un effetto retorico insopportabile-
Ill regista-demiurgo in platea, attraverso la sua voce Urla e declama, si agita, danzicchia, un po’
goffamente – ma che vuoi che sia? È il trionfo del corpo-deforme – e sculetta –
ma vuoi essere omofobico? – e reclama laicamente felicità al mondo, dìssipa
energie d’ amore e quella verità dell’autentico che sola rende liberi, a volte con le parole
attribuite a Cristo nei vangeli ufficiali, altre con quelle di un campione
della fede come Sant’Agostino, altre ancora con i versi dedicati agli ultimi e
ai reietti dal Pasolini della “Profezia”: “Essi sempre umili/essi sempre
deboli/essi sempre timidi/ essi sempre infimi/essi sempre sudditi…”. E scorrono
via tutti i frammenti di questa liturgia
durata 50 anni: ecco Prevert, Pasolini, i cantanti dei vicoli napoletani
versione Almodovar che cantano Alan Sorrenti, i Led Zeppelin, Pavese, Jesus
Christ Superstar.. tutto quello che è stato il repertorio della libertà,
dell’autenticità, vero e finisce per diventare una sorta di ritornello trash in
cui vengono evocate a favore del pubblico abbonato di sinistra tutte le sue
liturgie di rappresentazione della libertà compiaciuta che però finiscono per
congelarle in una artificiosità trash. Del Bono nonostante decenni di teatro,
festival e cinema, continua a mettere il suo corpo afflitto – dal dolore per la
perdita della l madre a quello empatizzato dagli “ultimi” . non si nega il
lavoro concreto umano che fa Delbono, con diseredati e «barboni» in attività
culturali, alleviando le sofferenze di attori mentalmente disabili attraverso
il beneficio terapeutico del teatro . Tutto questo però poi diventano 40 euro
di biglietto per illudersi seduti in poltrona di poter assaporare l’autenticità.
L’effetto vorrebbe essere quello della verità di Pasolini,
il risultato - come era già in Pasolini a dire il vero - è quello del cartonato
artificiale di Fellini e come il grande regista romagnolo sapeva bene tutta
quella falsità esibita veniva resa ambivalente se condita con le comparse con
le “facce vere” che tuttavia erano il circo dei Freaks - lo stesso vale per Del
Bono, che è assolutamente sincero nel voler portare sul palco la “verità della
rappresentazione” di Bobo, e degli altri disabili o malati psichici che
utilizza, ma alla l fine continua nel tramandare un’idea del “povero storpio”
da compatire con pietà. questo tentativo
ormai pluridecennale è diventato inautentico, è diventato lo sfruttamento della
biologia come sigillo di verità.
Anche nel non voler accusare Del bono di
furbesco sfruttamento del minorato, e riconosciamogli intento sincero e gioioso: tuttavia ma non c’è nulla di più artificiale nel
provare a rappresentare la gioia diretta. Ci è cascato anche Pasolini con
Ninetto Davoli - e al limite strappando Totò alla sua maschera di pupazzo
comico - ma cadendo in una sorta di pantomima artificiale - non tanto La terra vista
dalla luna quanto alla “sequenza del fiore di carta” l’episodio di “Amore e
rabbia” in cui il Riccetto vaga per la città con il fiore e la sua innocenza e
non si accorge delle brutture del mondo. Ecco anche Del Bono sembra una sorta
di Riccetto, elogia canta e si fa corpo vivo di un’innocenza portando con sé la verità in corpore vili di Bobo e
degli altri ( Gianluca Ballarè, Nelson Lariccia, Pepe
Robledo, tra i suooi totem di carne)
Nato come si diceva come un omaggio alla richiesta della madre, in realtà è
anche un testo in ci si intuisce che si sia finalmente “liberato della Madre” la madre fallica che lo
reprimeva, fino a transitare oltre il suo corpo: Bobo, portato per mano, sempre più anziano e
bambino assieme sembra ora finalmente ciò che è sempre stato: il figlio di Pippo,
madre di un anziano Padre destrutturato e impotente.
Del Bono diventa anche capocomico di questa compagnia di Freaks della libertà,
fino alla prova vivente, all’esposizione vera
del “migrante vero” – con il
piccolo artificio “plateale” di
collocarlo a bordo platea, come a dire “non è teatro” è fuori dal palco – che racconta
sua storia vera di odissea verso l’italia - ma lo fa “doppiato” e del migrante in scena
esibisce solo il suo corpo amuleto, il suo corpo che taumaturgicamente
garantisce verità all’operazione “Vangelo” come fosse un Lazzaro, il miracolo che si compie: la
rappresentazione è IDENTICA alla verità. E’ la stesa cosa - e tuttavia è un
reality, ancora una volta, non una realtà, ma la sua più falsata cartolina. Non
è Cristo, ma sono le processioni turistiche nelle vie di Gerusalemme, sentite
come “vere” – ma la Gerusalemme antica è in realtà una ricostruzione fatta nel
700.
PS mi sia consentita
una nota finale: questa celebrazioneautoassolvente di fronte alla migliore
borghesia milanese, intrisa di poiticamente corretto, di cultura della libertà
a zampa di elefante, con mega citazioni anni 70, è fatta ormai da “ vecchi”
all’indomani della morte del genitore - esperienza sicuramente comune a tutti 50-60enni presenti in sala, coi loro
capelli lunghi ma grigi. E così diventa tristemente patetico il tentativo di
far reagire la platea con le braccia sollevate a ballare la ritmica funky di
Jesus Christ Superstar perché quella platea è fatta di ex-giovani degli anni
70, ormai vecchi che sano che tutta questa messa che celebra la “libertà” messa
in scena da Del Bono non è altro che un tentativo disperato, e ultimo di
auspicare un “liberazione”dal pensiero della morte. Tutta questa vitalità anni
70 diventa un arrancato dondolìo di braccia anchilosate dall’artrosi di un
pubblico “super-corretto” e consapevole che va in cerca di questa innologia
giovanilista per illudersi di rimuovere
e liberarsi” si ma dalla morte imminente - non è un caso (si pedoni se finisco
così) andando in bagno ala fine dell’interminabile, estenuante ora e quaranta
minuti dello spettacolo senza interruzioni, anche il bagno dei maschi fosse
affollato di teste grigie alle prese con una prostata incontenibile più quanto lo fu la celebrata gioia vissuta in gioventù.