“Sei tornato. Non eri
mai davvero morto” inizia così il pometto “le notti bianche, una delle sezioni
di questa raccolta di poesie di Tommaso Giartosio
“Come sarei felice”(Einaudi)
il cui sottotitolo “Storia con padre” già allude
al suo carattere narrativo, di confronto, ma come in un abbraccio, con la figura
dell’Altro-Padre. Un doppio ritratto di sé narciso, inevitabilmente narciso (
questo siamo, chiunqe di noi riflette su sé, specchiandosi in sé o in una pagina di libro,
letta o scritta).
Giartosio è uno scrittore originale, i suoi libri singolari,
colti e preziosi ( sempre a cavallo tra autobiografia saggio e letteratura
“Doppio ritratto”, per l’appunto - e non a caso Fazi aveva posto in copertina
il Narciso di Caravaggio oppure “ la O di Roma” per Laterza) e negli anni ha alternato a questi, molti
e significativi studi sulla letteratura e cultura omosessuale, una questione a
cui Giartosio si è dedicato anche con sua personale militanza, cosa che traspare
anche in un libro di poesie come questo, in cui a un certo punto la realtà
biografica entra con un segno non grammaticale, letterale.
Anche Narciso si riaffaccia sulla soglia in questo libro in cui “ la Storia” quella generale della società tutta,
nell’elaborazione di un lutto per la morte del padre, include proprio la sua
figura, la include potremmo dire alla lettera e oltre la lettera.
Se la mitologia psicoanalitica misura la
distanza e spesso la nostra esperienza pure la vive irriducibile, qui il padre
compare, dentro l’ambivalenza di quel “
con” del sottotitolo. La bellezza
mortale nella leggenda di Narciso – che in Giartosio si colora di una delicata
ironia alludendo al fatto, pare “ che il suo viso/ nella fonte riflesso/ fosse
brutto lo stesso// questo pare l’abbia ucciso” –
viene posta a specchio della bellezza del caro
defunto, del padre, di cui vediamo la sua allegria giovane e spavalda in un
piccolo ritratto
(una piccola foto nel
libro a marcare una “tessera” di verità dentro una scrittura che si misura
sempre con la possibilità che tutto sia mitopoiesi, finzione, invenzione) . la
foto sigillo di verità per la sentenza dei due versi centrali di una poesia
posta nella prima parte: “Penso, tutto ciò che non si rivedrà mai/ abita gli
specchi”.
Per questo la storia dell’io che scrive non può che tenere
dentro, includere il padre, fuori dall’ambivalenza invisibile della scrittura,
con la sua foto e la sua bellezza, il padre solo il padre, il suo corpo- padre.
Solo questo osso di vero rende possibile il confronto e la
distanza, lo sdoppiamento, la necessaria separazione di narciso da sé, e dunque
rendere non mortale la sua bellezza, la bellezza in cui Narciso-figlio se si
riflette muore, per il suo non essere.
Il padre è l’altro, ma
io posso essere egualmente io, se l’altro è diverso ma è con me, dentro una
storia in cui anche il conflitto e la differenza ci tiene assieme. Lo spazio
delle dinamiche dell’inconscio non è tutto interiore al soggetto, ma è nello
spazio che separa ma tiene in un medesimo campo di tensione, il mio volto e il
tuo.
L’amore sembra sempre essere il tentativo di pace tra due che
si fanno per natura la guerra. La ricomposizione procede nei frammenti di
esistenza delle poesie recuperando le memorie nell’atto del “formarsi del
ricordo/prima e dopo la realtà” come se il confronto dell’oggi, riposizionando
la coscienza un “allora ora” con la pratica della memoria. LA rielaborazione
memoriale, l’elaborazione, dovrebbe emancipare ma al tempo stesso ribaltare I
poteri, mantenendo un doppio legame nell’età finalmente adulta (“Padre ti ho
concepito come tutti/ I figli” e nell’enjambement Giartosio lascia sospesa
l’ambivalenza di questa affermazione seguita subito da un sintagma adulto, ma
detto tipicamente dai bambini (“sono grande adesso”).
Il bilancio del
consuntivo tra errori e sbagli reciproci trascrive nei testi questo esercizio
di collocazione spazio-temporale dentro una Storia. Le poesie si fanno
tentativi di mappatura di un’esistenza ereditata nella trasmissione della morte
del padre che lascia in eredità la sua storia al figlio, inevitabilmente – e in
modo ingombrante, sempre, anche quando non voluta o non condivisa- ma non la
sua identità, seppure tenga in sé la sua immagine. E’ tutta dentro questo
triangolo la vicenda, ma pure il modello dell’amore. Se il figlio elaborando il
lutto genera, concepisce, suo padre, dall’altra si appropria di questa storia
tradendola, e la tempo stesso portandola avanti dentro quella rottura di un
patto che forse andava ben oltre l’amore singolare di un padre e di un figlio.
Qui il nodo lessicale, biografico, quindi poetico, si
trasposta ancora una volta nella storia più generale con uno slittamento
interessante che ci porta anche alle scelte biografiche e pubbliche di
Giartosio.
“figlio di una
scrittrice” anche così viene definito questo padre dall’ io-che-scrive, padre
che a tavola ingaggia col figlio lotte nel nome di qualcosa ovvero un
duello sui nomi, sui lemmi, duello di
erudizione verbale che finiva arbitrato dalla Treccani. Ed è lì che nel suo
turno di sfida il figlio scende, coi lemmi della poesia tra I lemmi nel
ricordo, termini che il padre nelle sfide della disquisizione egli “abbaiava”.
Questi ricordi sono le scende di una divisione, lancinante, lacerante tra
questo alto ufficiale di marina e il figlio che sta compiendo il suo percorso
di identità, rivelando in sé la sua omosessualità “scendevo in quella patria di
voci, verso I miei termini che tu abbaiavi sfidandomi a penetrarli” (c’è tutta
forse anche troppo sovrabbondante tra patria, lingua madre e penetrazione, una inevitabile
rifrazione nelle parole usate) e quali erano quei termini dilanianti?
Ovviamente “ ‘invertito, ‘sodomita’ e ‘ pederasta’ ”. Ora però che la morte ha
sigillato il conflitto l’io scrive “mi alzo ogni mattina con la paura di non
avere figli tuoi padre unico come un figlio, schiattato come tutti i padri” È
l’impossibile tradizione, traduzione di padre in figlio, di geni in geni lo
snodo.
Qui dobbiamo portare nell’analisi del testo una vicenda
biografica – del resto autorizzata criticamente dalla posizione di una
tessera-reale della foto del padre, dentro il testo letterario, alla maniera
del maestro implicito di Giartosio che mi sembra sia GW Sebald ( e spero che
l’autore non storcerà il naso, per l'incursione biografica, nel nome della nostra conoscenza trentennale).
Tommaso – racconto ciò che è già noto, e si trova in rete, anche per la cronaca di una battaglia civile di cui s’è fatto portatore a
partire dalla propria esperienza personale - è padre di due bambini con (il termine “con”
che ritorna indica che è una paternità anche con) suo marito Gianfranco Goretti
(sposato già dal 1998 negli Stati Uniti e ora finalmente anche riconosciuto in Italia
e con esso, appunto, la paternità dei due figli a entrambi i genitori) .
I figli avuti
grazie alla “gestazione per altri”, in questo caso un’infermiera canadese che i piccoli (ora di 13 e 10 anni) conoscono e a cui vogliono bene, secondo quanto
raccontato in interviste da Giartosio, che è stato ed è ancora militante e
responsabile comunicazione per l’Associazione delle Famiglie arcobaleno.
Di questa vicenda storica, sociale e biografica, ci sono rifrazioni naturalmente nel libro, e ne aumentano lo spettro di sentimenti, che
approfondiscono la portata e danno certo il segno di un conflitto tra
concezioni della famiglia e della sessualità, che però nel nodo di affettività
private, la poesia mette in luce quale travaglio emotivo, di concezione
identitaria sia aver fatto una scelta di rottura.
Ecco che però al padre “schiattato” (il termine è germanico,
Sclatha, vuol dire stirpe, nella morte si sancisce la discendenza, nella morte
l’albero della genealogia fruttifica) si contrappone il fatto che - scrive il poeta - provo per questa sua
schiatta “amore” e che – chiosa - “per me
si eredita”.
La ricomposizione è dunque dopo il conflitto, e con la
morte. E’ pur sempre nell’apparato
genitale, biologico che si compie la filiazione ulteriore del padre attraverso il figlio e oltre, che rinnova la sua
schiatta, seppure per diverse scelte laterali di concepimenti. Oggi
geneticamente qiuel padre militare e distante ufficialmente e biologicamente ha anche lui ha un nipote, seppur non nato da
atto erotico genitale, e tuttavi da geni e in quel nuovo nato avrà continuazione. (ho rirato dentro l'elemento biografico, ma come per i romanzi , anche in poesia vale la profezioa del filosofo americano Emerson, siamo arrivati a quel punto in cui nel futuro, scrisse un secolo e mezzo fa, ci sarà solo letteratura autobiografica, memorialistica, personale).
La letteratura serve però a moltiplicare i significati a costrure un diorama di senso e dsentro quello si mantengono anche non detti, non tutto si appiattisce al discorso: "tutti I miei segreti morti con te/non sono mai esistiti. Sapevi/
tenerli. Non li sapevi” ma in questo gioco ambivalente una certezza che “solo
questi segreti/ si tramandano/ tra le righe di un testamento” ma che proprio
per questo figlio-poeta-figlio eredita ma dicendo “non ti tradirò mai
abbastanza”.
Telemaco qui, contrarimente al mito, aspetta Ulisse per ucciderlo, e diventare re nel
suo nome. La biografia di un padre ufficiale di marina trasporta la proiezione
di un ripensamento nel cuore del mito omerico. Come si diventa eredi giusti?
Uccidendo, come Edipo, che conosce il conflitto con il padre beneficamente
traumatico? O restando fermo all’immagine giovane di sé e del padre,
interrompendo la differenza tra le generazioni – e di conseguenza il flusso
storico di eredità.
La storia ha bisogno di procedere, Giartosio individua un
percorso di riesumazione dopo la morte, di riconciliazione con il fantasma che
deve passare per una guerra con la persona reale. È un Telemaco diverso da
quello di Recalcati, un Telemaco che si traveste da Edipo prima, sarà poi il
lutto a rendere vivo il loro rapporto. Se il Telemaco usato da Recalcati per spigare l'assenza di conflitto col padre tipico della nostra epoca, è un Telemaco conservatore, politicamente, che in nome della sua identità e nel nome del padre, lo aspetta per ristabilitre la legge nel regno, il personaggio-poeta-figlio di
Giartosio separa amore dalla legge, nel volto del padre si, nel nome del padre
no.
E vuole un’altra legge, una diversa legge della paternità,
innanzitutto.
Qui – come abbiamo detto sopra – mito e storia continuano a
dialogare. La paternità è uno specchio da infrangere e poi un ritratto da
ridipingere, a memoria. Questo in sintesi, il passaggio duplice che la
soggettività definita dal “romanzo familiare” contenuto in “Come sarei felice”.
Al padre l’Io si rivolge: “ah quanto mutato da prima della tua morte io
sono” e poi constatando “è stupefacente il mondo/ che si è ricomposto senza di
te”. Giartosio eredita una linea di pietas verso questa figura di pare
“disperso” che in poesia ricorda anche quella di Maurizio Cucchi, quella figura non
predominante, sfuggente, debole, traditrice delle aspettative eppure amata, sconfitta
e demitizzata (”non eri davvero/ tu
quello che comandava le navi”) . Tuttavia proprio in questa essenza/assenza, che viene prima della sua divisa da
padre, “la primavera della tua preistoria” è il luogo in cui figlio e padre possono ricomporsi . E addirittura il figlio si fa “portavoce del
silenzio” del padre e nel sogno la fusione arriva alla ricomposizione anche erotica,
che sublima tutte le seduzioni, i desideri, la volontà di generare un figlio
dal padre, e viceversa (“papà t’avessi incontrato in treno/ e accompagnato ai
gabinetti (..) “ in un approccio erotico
che avrebbe azzerato le ipocrisie ( “le balle che ci siamo detti”) in una fusione tra il ragazzo adeso il di allora, bello, che era il padre e
il poeta che scrive ora che ha l’età che avrebbe avuto il padre “quella di
quando mi hai fatto” dice il figlio-poeta. UN incontro e un intrigo erotico che
naturalmente non genera, non può generare. E’ questo limite invalicabile
dell’amore omoerotico, della non fecondazione, ora passato per aggiramento culturale
e tecnologico, ed è il nodo cruciale del libro. In ogni caso è quella
impossibilità che fa da misura di tutto il resto, che però è possibile. L’amore
innanzitutto. Ma anche la genitorialità.
. EDIPO Può generare con il corpo di sua madre, Elettra con quello del padre.
In questo caso il confronto erotico sostituisce il conflitto di Edipo, ma non
può generare, quindi resta sospeso dissonante – se non che è quell’Eros a poter generare simbolicamente: “sarebbe stato tutto stupendo, pur non sapendo/ chi in quel momento
stesse venendo/ e chi venisse al mondo” questa complicità è chiesta anche nel
poemetto “le stelline”(“pur disapprovando/ dovresti tacere”) diventa il cuore di un testo-cerniera nel libro.
In “Le stelline” Giartosio modula in pieno anche il cuore
stilistico della sua scelta di poesia narrativa scendendo in “ipogei” biografici
del padre morto, in versi liberi ma sempre su quel filo di una rivelazione che
nasce dal clinamen del linguaggio, fino ad arrivare in sequenze lessicali
analogiche, come a inanellare nell’omofonia un punto di rottura rispetto al
sottinteso segreto, la paura dell’io narrate, l’omofobia. Il lapsus come forma
di coming out, del resto.
Oltre al verso libro, ma misurato, alle ampie strofe che lo iscrivono nella linea della poesia narrativa, il libro è pieno di una trama lessicale di fitti rimandi sonori simbolici, come anche a misurare una storia del lapsus o deone di analogia. Ed èqeusta la caratteristica saliente a livello formale del libro, ma non lo è per pura casuallità o gioco.
La scelta dei versi in questa raffinata
penetrazione delle pieghe riposte dell’animo paterno entro la sua storia è
perché “non sta scritto da nessuna parte/ il senso della nostra morte, tranne
che in poesia” ma se poi la sequenza dei versi si fa emersione di umanità, al
tempo stesso è il rischio di perderlo: “quando il padre sarà stato analizzato/
e spiegato cosa resta del figlio?”. Così
il racconto più si dispiega più resta inspiegabile e senza un lemma che lo
inchiodi questo rapporto a due, che è sempre un doppio ritratto, mai ritratto
di un doppio.
Partendo da un fermo immagine di un video porno in cui due uomini
fanno sesso, da un attimo di ilarità e gioco, non previsto nel canovaccio di
quella finzione-vera di quel sesso
esposto commerciale per consumo cinematografico, con quel momento di gioco tra
I due che diventa “metafora estrosa” per spiegare come anche in un rapporto improntato
alla finzione e forse all’ipocrisia tra un padre alto ufficiale, militare e
borghese e un figlio fuori dai suoi schemi mentali e culturali, sia esistita
poi la scintilla, la stellina, il
dettaglio rivelatore di una verità dell’amore, perché l’amore è “beneficio di
innocenza" che si dà all’altro che si ama anche quando si “disapprova” il suo
comportamento.
Così il poemetto è una resa dei conti amorosa e biografia
sommaria di un padre distante e vicinissimo, puro e al tempo stesso uomo d’ordine
e “ufficiocasachiesa”, e come le parole nel loro cielo sonoro fanno sovrapporre significati in
antitesi, così Giartosio crea anche un interessante stratificazione di piani immaginativi
e memoriali e reali. Così ecco l’analogia tra una stellina nera tatuata sulla
natica del porno attore, in un video che l’io-poeta guarda, e che fa scattare
il piano del ricordo (anche in modo ironico, irriverente) e si sovrappone alla
“stellina” o stelletta di ufficiale, la “prima confitta al petto” giovane del
padre, inizio di una carriera di uomo d’ordine, ma con dentro al cuore forse un
caos che ora lo rende dopo morto più vicino, nella distanza siderale che hanno
sempre I padri.
La storia tutta quella sociale , è una costellazione borghese di "stelle e strisce/
e di Plaris, l’Autosole, le star/ il brodo Star, il cristo superstar” ma per un
padre che amava anche un altro ordine, che baluginava nel “luccichio dei giochi di parole/le fusa di un
antico endecasillabo/ (non rattoppato come il mio riciclo/ creativo costellato
di decenza”).
E’ su questa scelta di
caos come diverso ordine che la poesia analizza un altro senso nella relazione
di finzione padre-figlio, finzione sociale che tuttavia sottende amore, come I sottintesi
di parole, I non detti, il silenzio e il
poeta-figlio ammette “non so dire/ meglio del tuo silenzio/ per moti anni a
venire, ciò che avvenne” anche se poi “trovami un poeta che sciolga/ ogni filo
del legame tra I suoi/ genitori”. Il verso però serve a dire che oltre le
stelle c’era “anche luna, cruna,
lacuna/il meato in te celato; / era vano varco, venia ventata” insomma l’accesso
dentro la piega, senza necessità di spiegarla, esattamente come fanno versi, le
costruzioni fonosintattiche, le catene
fono-simboliche di associazioni.
E segreti, come l’ultimo post mortem, scoperto dai figli, grugando, che rivela
appunto come questo padre dell’autorità e dell’ordine “mortale” sia invece poi
passato per un suo passaggio segreto ad un “caos celestiale” attraverso forse
una decostruzione di quell’ordine, in cui l’ambiguità dell’eros – nella
rivelazione della foto trovata dopo la morte nel suo portafoglio di una “ragazzetta
sudamericana” - si rivela ancora una volta portatrice di bene e di amore.
Le sezioni che seguono si nutrono di quella distanza. Ma
nell’elaborazione I “viaggi immaginari” (titolo della terza sezione) diventano
la misura della morte del padre che diventa “fatto della vita”. E a partire da
questa oggettività “la distanza accelera/ finché gli intervalli formano la vera
storia” e negli intervalli ci sono viaggi, dislocazioni interiori derivata
dalla lettura e dalla scrittura. Una ridefinizione della propria posizione nel
mondo, un desiderio di fuga. Un desiderio tout court.
non a caso, l’ultima sezione viene annunciata ancora dal
tema del desiderio (“dall’amato dipende/ la soddisfazione dei desideri/ ma dal
padre il desiderio”). E così già dal titolo (“Trovare” che come dalla spia in ex
ergo che cita Arnault Daniel, va intesa nel senso poetico provenzale della lirica
amorosa) esplicitando ancora una vota la relazione erotica nel doppio maschile,
trasferendo il confronto immaginario con la figura del padre amato sulla figura
dell’amato-compagno. E’ tuttavia una tradizione che ha poca e nulla lingua o
codice, quella della “poesia / d’amore d’un uomo a un uomo” (il vero esperto in questo campo è Gartosio stesso) nell’ombra de “l’affascinante/
adolescenziale bugia dei pronomi/ di seconda persona” e di tutti gli altri
accorgimento per confondere le acque – precedente
più noto, quello di Shakespeare , aiutato dall’inglese dove non c’è la
declinazione femminile o maschile dei pronomi, degli aggettivi ecc.).
E’ una sfida seducente per un poeta
questo nascondersi, dissimulare (“sedotto dai tranelli meticolosi” della lingua
per “assecondare l’indistinto del desiderio”. Il destino e forse l’origine
dell’amore è un lutto, è la mancanza è il perdersi. È qui che il poeta chiude
un cerchio metaforico, nella circolarità della mancanza come dogma del
desiderio, specialmente nella poesia che al centro ha il sentimento dell’amore:
“prevedo, vedi, di perderti. E di accoglierti/ insieme, nel profondo di me,
come /quello che non si perde”. E
neppure la morte “normale” del padre lla fine oggetto di discorsi ripetitivi,
tanto da essere “un dolore infarinato di noia”, è più fondamentale, il cerchio
si chiude di fronte la rispecchiamento ultimo, della morte con la morte. “oggi
il dolore non c’entra con lui. / E’ solo paura per la propria morte” questa
nostra morte “così fragile. Di cui dobbiamo prenderci cura” – per trasmetterla
“pura ai nostri figli/come l’abbiamo avuta/ dai nostri genitori”. E il cerchio
della vita, difronte alla morte trasmessa, può ricominciare.