lunedì 28 ottobre 2019

DURS GRUNBEIN A MILANO. Un discorso.


Il grande poeta tedesco Durs Grunbein (1962) è stato di recente a Milano dove ha ritirato una pergamena di rinoscimento del Comune (preludio a una laurea onoris causa che gli verrà conferita nel 2020) e ha tenuto un bel discorso, sulla speranza che, in un’epoca di opacità e assenza di punti di riferimento in questo spazio tempo così ampio da immobilizzarci, può arrivarci dalla memoria.questo spazio tempo così ampio da immobilizzarci, può arrivarci dalla memoria. (la memoria è un deitemi chiave della sua poetica insieme alle esperinze concrete, a ciò che las cienza ci dice dell'esperienza del nostro corpo, lo si ritrova anche nei saggi recenti "I bar di Atlantide" (Quodlibet)
Forse il “principio speranza” può essere attinto di nuovo, re-innestato in noi, non tanto dal passato in sé come una banale nostalgia (se fosse così sarebbe un erorre non era idillio quello) ma a tornando a quel momento di passato in cui - pur avendo reali e concrete difficoltà,  muri reali e duri, davanti ai nostri occhi, per la gran parte di noi figli, bambini negli anni 60, a est come ovest,  di operai, di classi di un ceto medio popolare senza una storia di istruzione in famiglia, vivevamo  quel tempo trascinati  da una tensione di fiducia nel futuro che oggi potrebbe fare da germinazione di una Utopia ridisegnata, re-immaginata.



Grunbein è partito nel suo discorso su memoria, storia e tempo, dalla città di Milano, legandola a questa “’ immaginazione del futuro” da ritrovare.
Ha raccontato che la città di Milano, meglio il suo mito, la sua generazione imprigionata oltre cortina, l’ha conosciuta viaggiando col cinema. “Teorema” di Pasolini e “La notte” di Antonioni, tra tutti. Nell’oscurità delle sale cinematografiche della Germania dell'est, dove il regime di solito opprimente nel controllo delle “vite degli altri”,  sbadatamente e per ignoranza, tollerava, sottovalutandolo, il cinema straniero che circolava.
 In quelle visioni i giovani dell’est avevano una finestra verso l'esterno e questo, dice Grunbein ,  vale per la dimensione spaziale e per quella temporale. “Vediamo più di quanto comprendiamo e  sviluppiamo una sensibilità per luoghi dove non siamo mai stati” ha detto il poeta tedesco,  e così Milano  è diventata per lui anche la Milano degli autori che ha letto e conosciuto, da Manzoni a Gadda, fino a Milo De Angelis (che certo è con lui oggi uno dei maggiori poeti europei)

I legami con le città possono essere immaginari, come i nomi i nomi di città che si intrecciano tra loro, quando in una specifica città troviamo nelle vie i nomi delle altre, oppure in tante  troviamo sempre il nome uguale di una via, di solito la principale e spesso nomata “via Roma” (e qui G. ha letto una sua poesia scritta a Roma, in Corso Trieste, con la memoria a Trieste, dove aveva trovato altre vie con città italiane ecc)
“La letteratura è il commercio spirituale tra i vivi e morti” ha detto ancora Grunbein , la letteratura trascende tutti confini quelli temporali come quelli spaziali “ in questo i contemporanei con la loro presenza fisica si danno sempre troppa importanza”
E’ stato un discorso in cui Grunbein ha elogiato la possibilità dunque di scardinare - come lo spazio, attraverso il viaggio-cinema-immaginario - anche  il tempo. L’arte deve e può rompere i suoi assi culturali come fa la fisica moderna, che anzi addirittura ha “abolito” il tempo come lo conosciamo noi (vedi Rovelli), riducendolo a mera convenzione.  Il tempo non esiste nella sua linearità, matematica, aritmetica che va dalle ore zero alle ore 24. Il tempo è una presenza simultanea di dimensioni spaziali, dove avviene una trasformazione della materia, questo è il tempo dunque anche se non è applicabile alla lettera. Nessuno vuole cancellare il passato o il futuro, ma è possibile che la speranza per il futuro, oggi, vada rintracciata nella memoria, nel passato, in altre parole nel momento in cui abbiamo iniziato a sperare.

Questo per Grunbein come per la mia generazione, era qualcosa che accadeva prima della caduta del muro, negli anni 70 e in quel momento e in quella dimensione senza tempo che l'utopia, essa stessa cosa senza tempo, può ritrovare il suo stesso discorso.
In qualche modo si può dire con Grunbein: “Ci sono alcune idee che noi idealisti speravamo non sarebbero mai venute meno” e  questo è vero.
Oggi ci dobbiamo misurare invece con una trasformazione una di queste idee: ad esempio la  democrazia e  libertà, che cedono il passo all’egoismo, ad un individualismo che non era quello che allettava i giovani della Germania dell’Est come Grunbein negli anni 80, la libertà di poter essere sé stessi, l’individualismo della libertà nelle società capitaliste, in cui - nella disuguaglianza - ciò che attirava era però un forte desiderio di poter dire “io sono mio” (lo dico volutamente calcando lo slogan femminista perché la rivoluzione alla fine degli anni 70 fu una rivoluzione culturale che ha segnato con molte contraddizioni anche un’ auto-riforma del capitalismo che si è fato “capitalismo dell’immaginario e del desiderio” disinnescando e inglobando quella rivoluzione molecolare dei Movimenti del 77)

LA libertà delle idee oggi si è trasformata nello spettacolo dell'economia e nello spettacolo delle idee. Quella libertà che gli insorti della Germania dell'est salutavano nell’89,  senza conoscerla immaginandola da lontano ( erano gli eredi delle illusioni del socialismo corrotto ) era qualcosa per cui valeva la pena di morire. Oggi, ha detto Grunbein, tutto è stato spazzato via e il credo del progresso e del progressismo di quel capitalismo che è andato in frantumi, più del  muro di Berlino- la libertà deve essere sempre la possibilità che si possa trasformare il mondo e che ci sia uno spazio per questo agire libero, quella è l'utopia di un “luogo ulteriore,  spazio interiore e mentale per poter concepire un mondo nuovo e uno spazio per poterlo generare. Questa possibilità spazio-temporale è venuta meno.

Non è un caso se oggi tutte le idee di tempo corrono nella direzione contraria, narrazioni di retrotopia o distopia che diventano predominanti, che è però un segno di crisi, ma nasconde la trappola di una regressione.
E allora importante poter andare a rintracciare il “principio speranza” nel luogo anch’esso ormai immaginario, del passato e andare a recuperarlo come se non fosse ancora vissuto.
E’ un lavoro sulla memoria e un lavoro sulla e il  tempo mostrato nella sua tensione di mutazione che aveva,  di metamorfosi continua. Non bisogna tornare al passato (anche se molto passato e memoria c’è nei discorsi e nelle poesie di Grunbein ma del passato è l'attenzione al futuro che ci interessa a ricordare. Rivivere una memoria identificativa empatica massima, quella tensione al futuro ridiventa nostro  presente perché appunto non essendoci più  un tempo lineare, la poesia o l’arte elaborano questa sintassi delle copresenze parallele, un ossimoro multipli dei tempi, in cui non conta appunto quella razionalità sequenziale di cui  nella normalità del discorso quotidiano dobbiamo per forza tenere conto, ma va al cuore attraverso proprio una trasformazione della grammatica metaforica, nella narrazione a-temporale, di un cubismo temporale come quello che pratica Grunbein, che ci riporta al “principio speranza” così come esso genera e si è generato e si continua a generare (potrebbe, la sfida della poesia è questa dalla sua invisibilità sociale in cui è del tutto impotente al livello politico immediato)  al di fuori di quella che è la misurazione dei giorni e degli anni. Così è quella Milano che cancella le tracce del fascismo nato qui, che confonde la sua brillantezza culturale con il cinismo finanziario, questa Milano che è oggi dentro una sovrapposizione di memorie che Grunbein ci sollecita, che è rimasta nella sua memoria, cinematografica letteraria come “ la metropoli più moderna di Europa” definizione che il poeta ha trovato in un quotidiano del 1962 l'anno in cui lo stesso Grunbein è nato, il 1962, come dire: c'è una tensione al futuro che ci precede, nel passato.





2 commenti:

  1. Caro Mario,
    che bel commento, il più bello al Discorso di Milano. Sono Rosalba Maletta, la Germanista della Statale che ha ideato e organizzato l'evento. Desideravo un poeta che sapesse accogliere la tradizione per reinventarla e desideravo premiare la poesia all'epoca della mente digitale. E anche la laurea honoris causa mi pareva riconoscimento dovuto. Onore dunque al Comune di Milano e al Rettore Elio Franzini, il quale ha annunciato l'effettiva realizzazione di una richiesta sgorgata dal desiderio a che la poetica della vita e del vivente, con tutte le sue fragilità e criticità, fosse appieno riconosciuta anche nel mondo accademico. Che un "Discorso di Milano" abbia avuto luogo alla Statale nel 2019, giacché Lei ha ascoltato i versi e le parole del poeta, costituisce una tappa significativa nella storia dell'umano in mutazione, Rosalba Maletta

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