martedì 29 ottobre 2019

FERNANDO CORATELLI "Alba senza giorno" (ed. Italo Svevo)


La realtà è satura di realismo. I quotidiani si fanno sempre più palpitanti di letteratura, nel tentativo di farsi prossimi alla realtà, trascurando I fatti (e mostrando subito un paradosso che ogni lettore deve tenere presente: realtà e realismo non sempre coincidono, e i fatti spesso scompaiono tra le due rive della narrazione corrente pubblica).
Le parole scritte dell’informazione, agonizzanti ormai per autorevolezza sociale, relegate all’angolo del mercato, hanno abdicato al loro compito e tentano di inseguire l’intensità emotiva di ciò che brutalmente si impone come fruizione del vero – e che non lo è - : le serie tv o le fake news.
Si impone “Come “ vero, ma appunto non lo è. Lettori inseguiti con folgorazioni sintattiche e iperrealiste, grondanti tanto di sangue quanto di sentimenti, al limite del trash per captare l’attenzione dell’utente medio-dei-media, altrimenti volto con le sue sinapsi emotive a ciò che lo droga con più piacere: I frenetici impulsi percettivi delle visualizzazioni di una foto ogni 0,3 secondi scorrendo Instagram. Con la stessa rapidità si scelgono le partner su Tinder. Per non parlare delle urla che dal verba dei social “volant” a quelle della vecchia Tv, che per tutti gli ultimi venti, trenta anni ha preparato il terreno a questa fame di reality di cui tuttavia ci stupiamo perché ci sembra irreale. 

cosa può fare il romanziere? Scavare. E scrivere. 

E sottrarre e sottrarsi questo trucco facile.
Scavare per rimuovere I detriti di una narrazione generale della realtà che si allontana da essa se non altro per il rischio di sovraccaricarla di drammatizzazione – è quello che fa mediamente un servizio televisivo che sia delle Iene o di piazza pulita che volete voi).

 La drammatizzazione è spesso non solo nel canovaccio della notizia ma negli orpelli stilistici usati che la sovraccaricano. NE fanno sempre una scena. Una scena del delitto. Il cadavere è proprio la realtà o meglio sono I fatti.
Fernando Coratelli, nel suo nuovo romanzo “Alba senza giorno” (Italo Svevo editore) ci racconta una storia (che è fatta dell’intreccio di tre sotto-storie) rappresentativa dei nostri tempi. Lo scrittore qui fa però l’operazione opposta della pessima paraletteratura giornalistica: scava per tentare di eliminare il sovraccarico, l’”effetto di realtà” che di solito vediamo sovrapporre al racconto di questo tipo di fatti. Una storia che racconta di Rom, di gente arrabbiata, di n’ndrangheta.
Come se puntasse a una nuda azione. Liberare in uno stile limpido la realtà dei fatti, cercando una nuova realtà e un nuovo realismo, che certo è anche un ritorno alla stessa pratica. In qualche modo in un mondo di giornalisti aspiranti scrittori, agli scrittori conviene trovare una via letteraria per farsi ultimi cronisti. E proprio dalla cronaca Coratelli attinge, restituendoci un romanzo civile: ecco la storia di Stoian e Stephka, due giovani sposi Rom della Bulgaria, che dal loro paesino sperduto viaggiano, attraverso la Germania prima e poi in Italia, nel tentativo difficile di trovare un lavoro, o  in quello disperato di rimediare soldi suonando il violino, e poi in quello impossibile di convincere gli altri che non tutti rom sono zingari bastardi delinquenti, anzi la gran parte non lo è e lavora. All’opposto, c’è quella di Tonino Cortale, un bravo papà di famiglia che fa la ninna ai figli tutte le sere in un appartamento della periferia milanese, ma è anche un sicario della ndrangheta e deve uccider I figlio di un traditore della cosca, a Milano. E mentre li bacia I figli nel letto pensa al piano migliore per l’agguato mortale. E infine c’è quella di Roberta e di Martina sua figlia e la nipotina, Alice. Due donne, due madri, alle prese con la loro storia normale, di periferia, con padri assenti e mariti distratti o sempre davanti alla tv e in cui nell’angoscia di doversela cavare ogni giorno con il lavoro che non c’è e I soldi che non bastano, e che si lasciano andare dalla normalità alla ferocia, quando nel quartiere l’amministrazione comunale decide di trasferire, in un campo attrezzato, alcune famiglie rom, sgombrate da un palazzo che occupavano abusivamente. Da qui sale la protesta, l’odio cresce, contro I rom e contro I politici, mentre I due sposi rom nel frattempo si arrabattano a Berlino, mentre in un paesino sperduto della Calabria si decide la morte. Storie che conosciamo ma che hanno bisogno forse di essere narrate con altro sguardo. E la letteratura serve a questo.
 Fernando Coratelli intreccia queste vicende con un doppio passo: da un alto fa risuonare la campana del destino, nella scansione temporale e incastrata dei capitoli (“un anno prima, maggio”..”tredici giorni prima, 13 maggio” e così via) segno che esiste un ineluttabile, un tremendo, una beffa della vita, un tragico, che incalza e che sfocerà nelle ultime pagine.
Dall’altro segue con uno sguardo limpido e slow, gli aspetti minimi dell’esistenza di queste persone. Lo fa con l’attenzione umana del documentarista. La ripresa scorre con piccoli piani sequenza nelle varie scene, restituendoci dettagli che fanno di una storia come la nostra, una normalità pacifica, che tuttavia a un certo punto genera l’odio o che incappa in quello, in modo ineluttabile. Qui il romanzo, con la sua costruzione formale ci esprime quale destino, secondo il romanziere, attende la nostra vita.
 L’alba è senza giorno, I nostri giorni sono senza innocenza. Vite che sono la nostra e non sono quelle degli altri, di cui non ci importa nulla, finiscono inevitabilmente invece per scontrarsi e cambiare in quello scontro, anche minimo, la nostra. Spesso leggiamo nella cronaca: I rom, I cittadini, la ‘ndrangheta. Nell’impersonalità c’è lo stereotipo. Coratelli la usa, la fa sua, quella tipicità, in questo c’è una scelta di opporsi da romanziere civile alle narrazioni correnti del reale. Lo fa scegliendo dei personaggi nell’atto di compiere ciò di cui leggiamo tutti I giorni o vediamo (I rom mendicare, le signore arrabbiarsi e protestare, I criminali della mafia uccidere).  Ma il realismo che voglia essere non il solito effettacci che parla alla pancia del lettore, è pur sempre quello che Walter Siti definisce “lo strappo, il particolare inaspettato, che apre uno squarcio nella nostra stereotipia mentale”. E se I realismo è quella forma di narrazione, quell’organizzazione tecnica della disposizione delle sequenze verbali, che – ancora Siti -  “coglie impreparata la realtà, o ci coglie impreparati di fronte alla realtà”, Coratelli sceglie di farlo, guidandoci con mano attenta, dentro stanze, baracche, appartamenti, vagoni della metro, bar uffici, con lo sguardo che penetra I dettagli come fossero indizi. Ma indizi di cosa? Certo noi lettori, Per certi aspetti sappiamo e intuiamo che una tragedia incombe. Più del kairos del destino, più del punto finale in cui le storie vanno a parare o la sorpresa che il narratore ci ha preparato, ci deve sorprendere come persone, come coscienze, quello sguardo. Che sembra dirci: è   dunque dentro questa banalità della vita che sta il male? L’odio sociale? Il tragico? Il malvagio senza scrupoli? La paura? Tutto ciò che sappiamo essere intorno a noi, lo leggiamo nella storia di questi cinque personaggi principali, così simile alla nostra normalità. E quel tamburo battente che prepara l’ineluttabile, abita sempre ogni istante della loro vita. Dunque, attenzione lettore: può abitare ogni istante della nostra e non lo sappiamo.
 Come il precedente “La resa”, questo nuovo romanzo di Fernando Coratelli è ambientato nelle nostre città in fiamme. Se quello del 2013 che aveva in qualche modo anticipato gli attentati islamisti del 2014 e 2015 cogliendo l’aspetto di una conflittualità che era tutta interna al nostro modo e si intrecciava nelle nostre vite, non veniva da lontano, ma era nato tra noi, così questo “Alba senza giorno” è un romanzo in cui le fiamme poi non divampano in attentati, ma sono le vite bruciate a bassa intensità, dall’atrofia del bene.
I personaggi si muovono dentro le loro emozioni ma come se le emozioni non gli appartenessero più. Anche la decisione di tenere questo sguardo di oggettività, non psicologico, è il modo con cui Coratelli che strappa il velo della nostra quotidianità (e di quella “rappresentata” dalle tante narrazioni di realismo dopato, come la tv, ma anche I nostri social lo sono, noi stessi cela raccontiamo deformatala nostra vita, falsata) e lo fa  non mostrandoci un mostruoso” ma mostrando che semplicemente il mostruoso dell’odio e del male è esattamente quella normalità, è lì, è nelle sue pieghe, come nei dettagli sta la divinità del destino, che strangola l’innocenza. Sta anche al lettore aggiungere pensieri, psicologia, morale, perché non c’è nessun sottosuolo dove abita l’odio ma esso sta esattamente dove sta la tenerezza per I figli, le piccole beghe, gli amori, le faccende di ogni giorno. Il giorno come I nostri, tutti uguali, che non hanno alba, che non hanno redenzione.



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