martedì 2 febbraio 2016

ROSSELLA MILONE "Il silenzio del lottatore" (minimumfax)

Quel che resta dei racconti di Rossella Milone è una memoria involontaria dei gesti vissuti dai protagonisti dei racconti. Lettore e   personaggi ingaggiano una danza o una lotta di il cui spartito è la vita, con i suoi misteriosi snodi e tuttavia, mente leggiamo riconosciamo nelle scelte che fa ogni personaggio la sua naturalezza, benché non dichiarata, e  sappiamo come agire come se conservassimo una memoria che pur non nostra, diventa intima.
Nel nuovo libro, “Il silenzio del lottatore” (Minimumfax)  ci sono sei racconti, sempre la protagonista è femminile ma da una racconto all’altro si passa dall’infanzia all’adolescenza giovinezza e via via verso la maturità. Diversi, ma tutto sommato come fosse un unico personaggio e ne fa un cripto-romanzo.


Quella memoria involontaria, è al centro del racconto Operazione avalanche in cui la bambina protagonista entra in relazione con Erminia anziana con degenerazione psichica che balla il Charleston. La ragazzina sta crescendo, è in vacanza col suo amichetto, sta iniziando a capire il passaggio dall’infanzia alla preadolescenza e alla a differenza maschio e femmina, quando viene all’improvviso coinvolta dalla svagatezza di Erminia in un dialogo, in cui l’anziana la scambia per suo marito morto. La ragazzina sta alla gioco e in un passaggio la accusa di essere una bugiarda ed in effetti la menzogna in realtà agisce, perché “la memoria si spinge al di là dei confini della ragione” ed affiora, affiora con gli episodi che hanno segnato, si sono impressi nella memoria involontaria. Imprinting alla vita – tra cui il ballo del Charleston con un soldato americano di cui Erminia si era evidentemente innamorata. Sarà proprio questo incontro che forse genera nella ragazzina una consapevolezza, per la prima volta di essere riuscita a “creare da sola qualcosa di nuovo” che non dipendeva dai genitori da cui era nata “ma soltanto dal fatto che fossi li ad esistere”.  Ed è lo stesso senso di autonomia che Erminia aveva provato – Milone crea un sottinteso parallelo tra le due – quando Ermina bambina si rende conto che quel soldato in realtà poi preferì la femminilità della madre. Così il trauma genera la leggerezza della dimenticanza, l’unica garanzia che possa aiutare a vivere, anche un amore che non è l’amore originario e che l’identità si misura nella differenziazione dall’alterità Femminile di una madre.


La relazione col maschio e la differenza dall’alterità femminile, da una figura femminile a specchio è poi una delle architetture degli altri cinque racconti. “Il peso del mondo” nel confronto tra la spavalda protagonista e la sua amica imbranata e vergine Marianna che vorrebbe essere all’altezza della sua amica, vorrebbe anche lei poter avere la stessa sicurezza e finirà per bruciarsi, ma mai quanto l’amica ha forse bruciato il suo futuro a forza di eccesso di libertà sessuale: ogni nostro gesto costruisce il futuro c he possiamo conoscere perché ogni nostro gesto, azione, parola scambiata con l’altro è sempre un’apertura di possibilità.
E’ questo  il tratto più importante dei racconti di Rossella  Milone: di solito si elogia il racconto per una sua chiusa compiutezza, un tratto semplice come uno schizzo ma – se ben riuscito – preciso e indimenticabile. La grazia che solleva dalla pesantezza delle situazioni anche drammatiche che Milone racconta sta anche nel fatto che ai suoi personaggi dona sempre più di una possibilità, di apertura, quasi a far intravedere un "romanzo possibile" (un altro, oltre quella densità da romanzo che ha ogni suo racconto)  .
E  tanto sembra avviluppato nel reale ogni protagonista di questi racconti, tanto più continuamente ha uscite da cui potrebbe fuggire – e fugge, ma più di una in ogni caso. la fuga, il run away è un dei principi fondamentale del romanzesco,. in milone magari è una fuga anche temporanea, per poi rientrare però in una dimensione della storia mutata proprio da quel gesto di fuga-rottura. E’ un procedere narrativo che crea densità al racconto una densità da romanzo pur nella forma relativamente breve di ciascun racconto.

La dialettica ne “Le domande di un uomo” è proprio tra la coppia di Pia e suo marito, imprigionati in un ‘abitudine che non li smuove nonostante la menzogna esplicita del tradimento e il dormire separati – e la copia della protagonista e del suo uomo che fa domande, che vince le resistenze alla relazione di lei, ma al tempo stesso in lei – attraverso la sovrapposizione con Pia – si fa strada lo spettro dell’abitudine e fa riemergere la paura di nuovo, perché la lotta in una relazione umana è infinita e non bisogna mai abbassare la guardia. LA vera paura è che le cose esistono e finiscono e forze nel ritirarsi in uno spazio privatissimo e silenzioso i vari personaggi principali e secondari – come la protagonista de “La luccicanza “ che pone fine alla sua relazione  dopo tradimenti e si abbandona ad un deragliamento esistenziale e fisico e i pescivendoli sotto casa Alfonso e sua moglie malata di cancro e che si era chiusa in un mutismo ostinato quasi di protesta col mondo: tutti vorrebbero con questo ritirarsi in un fondo scuro e depresso dell’anima, fatto di buio, ma è un buio anche uterino, lo stesso della vita come della morte: “sarebbe stato bello morire solo per un attimo e solo per tornare a vivere l’attimo dopo e accorgermi che si può tornare a vivere dopo morti e che le cose, tutte le cose, possono esistere anche senza finire” 
Il silenzio del tradimento e il silenzio della fedeltà: il cane, la moglie di Alfonso – e invece la protagonista – ma pure la silenziosa strategia della protagonista, in una relazione di cui cerca di trovare quasi in un’inerzia motoria la ragione – prima nel asciare Leo, poi nei ragazzi con cui passa le notti, spesso telefonando a Leo dopo il sesso con loro, poi cercandolo, poi risolvendo tutto nella  polvere di un’aspettativa che va delusa proprio nell’atto de ritrovamento: nei racconti di Milone lo straniamento è nella progressiva alternazione della familiarità, nello scivolare lentamente verso un’estraneità.

Nei racconti del SDL sono decisive le pause, i silenzi e il non detto che tuttavia non custodisce un grumo misterioso e oscuro, ma è come fosse un già detto un accaduto, un ripetersi di forze e dinamiche che stanno tra l’azzardo e l’abitudine, un impulso.  Sono le mosse di una lotta, sono i gesti, le decisioni, è la formazione di un destino costruito minuzia per minuzia. Apparente il minimalismo, in realtà Milone costruisce vividi affreschi di iperrealismo che sono puzzle, mosaici. La storia e il destino appaiono come figura, appaiono nella sua evidenza, senza bisogno di parole, proprio come la moglie di Alfonso. Rossella Milone agisce con tagli, montaggi e sottrazioni, asciugando, come fa la poesia, ma che pure ha ben trasportato nel romanzo (come mostra l’autrice a cui più spesso viene accostata con ragione Milone ovvero Alice Munro e come Milone ha fatto con il libro intitolato – significativamente – “Poche parole, moltissime cose”). Nei racconti di SDL ci sono tantissime cose, dettagli, minime rifrazioni di altri gesti, ombre, luci, parole che sembrano cadere casualmente e invece sono piombo fuso che cade nell’acqua e dà forma ad un evento duraturo. Ma nei movimenti della storia e dei dettagli si aprono però squarci di possibilità: è la libertà del possibile ad agire, si aprono altri possibili percorsi di cui, nell’ellitticità del racconto restano porte aperte – ed è una visione della vita che trova proprio nel racconto la sua forma artistica conseguente - questo lasciare spazio al taglio, come se il racconto avesse quella possibilità apertura di un legato che in poesia è l’enjambement – ebbene non è proprio un’apertura nei legami quello di cui parlano questi sei racconti? Un’apertura che può essere spazio ulteriore per la coppia, spazio di fuga per uno dei due, spazio di uscita, via d’uscita da una stretta, da un angolo del ring dove la vita ti aveva messo in quel momento, con uno scatto.

 E proprio in “Questione di spazio” la protagonista, passa da una relazione appena iniziata ad un’altra che sarà tuttavia di lunga durata, decisa nel volgere di un ballo di un spazio breve e ristretto anche fisicamente, di un’appartenenza dei corpi che ha più forza anche di incomprensioni. In questo racconto possiamo vedere anche l’abilità tecnica di Milone: la protagonista  ormai sposata con quell’uomo a cui si è legata nel volgere di una danza in Irlanda, è in montagna con il figlio nato dal matrimonio e Valerio, il marito, decide di partire per una passeggiata in quota da solo. Mentre aspetta con il figlio piccolo arriva un uomo, Fabio che subito la colpisce, ma quell’attrazione non è mai esplicitata eppure il lettore la percepisce dai dettagli descrittivi che la fanno tuttavia risuonare come dei rimbombi in fono ad un lago. E nello scambio di conversazione con quell’uomo, Fabio, ad un certo punto c’è questo passaggio

“gli dissi chemio marito era lì, adesso, in cima”
“con la seggiovia o a piedi” mi chiese.
Al momento non capii perché quell’informazione fosse importante. Poi dopo – molto tempo dopo – capii che si stava informando sul tempo. Su quanto tempo avevamo”

Ecco silenziosamente qui c’è un preludio sotterraneo: è scattato un implicito desiderio, e “dopo” arriverà la comprensione. Perché quel dopo, molto tempo? Il racconto – non svelo cosa accade tra sogno e realtà, termina comunque poche ore dopo. Quel “molto tempo dopo” è la porta delle possibilità di questa scena. Ci sarà un tradimento? Ci sarà un momento di puro sesso da mezz’ora e via? Ci sarà una storia tra i due? Diventeranno amanti? O addirittura si sposeranno? Ecco il racconto are la possibilità ma poi non la chiude come voi potreste aspettarvi. Nei racconti di Milone il destino è una sorta di Via dei Canti di cui protagonisti hanno contezza quasi animale, quasi intuitiva, sotterranea. Come se ogni protagonista proprio nel suo destreggiarsi tra soppalchi, appartamenti, camere, luoghi chiusi, sia in realtà in cerca di fuga e al tempo stesso di un posto dove non fuggire più. E tuttavia l’amore, nel suo essersi rivoluzionato, nel non essere più il porto sicuro della convenzione e dell’abitudine borghese e al tempo stesso noi non possiamo  reggere un nomadismo continuo dell’esploratore o del viaggiatore del desiderio e dell’individualità come tuttavia ci sentiamo: e dunque diciamo io ma quell’io che rivendica la sua autonomia poi non ha di fatto un posto dove stare.


La prima cosa che viene d pensare leggendo i racconti di SDL è “educazione sentimentale” e tuttavia le protagonista  – qui va sottolineata la soggettività femminile – è sempre quella che ha preso voce all’inizio con l’anziana Erminia, ovvero una donna che si stava “facendo da sé “ la cui crescita era in autonomia rispetta a qualsiasi modello, specie se femminile: esistere per sé stessi. E’ su questa autonomia da ogni educazione, metodo, definizione di forma che il sentimento deve assumere che si chiude il libro e che dà il titolo al libro Il silenzio del lottatore”  . La protagonista- ormai arrivata, immaginandola come la stessa seppur diversa – ad un’età adulta ha accettato di frequentare una sorta di terapia di coppia collettiva con una pseudo psicologa guru che ha elaborato proprio il metodo del silenzio del lottatore. Al suo secondo matrimonio, finito il primo con Valerio che– parlando con la sua attuale moglie Manuela – era diventato qualcosa di inaspettatamente violento.   Ed è per fuggire da questo che Manuele aveva pensato ad una fuga nel deserto, un viaggio da sola nello Yosemite, che non farà mai perché un incidente la costringerà ad uno stato vegetativo a letto.. L’intreccio tra colpe, casualità e responsabilità si fa qui denso perché la protagonista vede in quella coppia, prima franata nei lividi e poi frenata nella paralisi uno specchio di una coppia, la sua attuale,  che invece sembra intrappolata in una trasparenza, come una mosca in un bicchiere o come una persona che si è persa in un deserto. In un implicito quartetto, sorta di affinità elettiva ribaltata: in che modo il negativo dell’Altro, in questo caso Valerio l’ex marito, è diventato violento anche perché ha attraversato lei? E lei dunque è il vero “avversario” direbbe Emmanuel Carrère della lotta, non l’altro, non l’ex marito o l’attuale, con il quale dovrebbe fare quella sorta di lotta-terapeutica per ritrovarsi. Ma non c’è nulla in cui ritrovarsi, nessun luogo a cui tornare, nessun modello di relazione, nessuna forma di coppia. Nel deserto in cui siamo tutti dispersi, troviamo forse come gli aborigeni i sentieri seguendo una musica delle formiche blu: un istinto che ha a che fare innanzitutto con il corpo, qui elemento centrale, forse unico elemento in cui ritrovarsi – il piacere, lo stare bene. Per il resto, c’è una lotta reale, ma non predefinita, in cui i sentimenti come dovranno essere si conquisteranno con strette e prese centimetro dopo centimetro. E tuttavia, a differenza della sicumera di Cristina la psicologa-guru,  non c’è una vittoria da conquistare, piuttosto quella possibilità sempre aperta. Come se ogni racconto si chiudesse su un’apertura, una scoperta di nuova etica, che poi potrà anche essere nuova abitudine. Ma in un tempo in cui non ci sono più aspettative di orizzonte utopico, redenzioni e rivoluzioni, desiderare un futuro è diventato complicato e pure desiderare tout court. Moltissimi gli oggetti, ma di fatto un’infelicità senza desideri come aveva già siglato la fine delle utopie Peter Handke nel 1972, intuendo un ‘apertura verso il consumismo pochi anni prima della nascita di Rossella Milone. I personaggi che parlano nei suoi racconti sono nati in questo deserto affollatissimo di oggetti e scarno di desideri certi. I ldeserto segnala che la città finisce, ma pure che l’ignoto inizia, che il viaggio inizia. Come le coppie che non si muovono quando la protagonista e suo marito Marcello decidono di andarsene da quella farsa, le alternative sono restare invischiati o rimettersi in viaggio in due.

In fondo ognuno di loro, lì dentro, vorrebbe alzarsi, togliere le tende, andare, mollare tutto quanto.  Correre via e correndo cancellare qualsiasi cosa o persona che possa creare loro dolore. Ma sono troppo invischiati l’uno all’altra per districarsi così con la semplice agilità di un bambino. Troppi rovi troppe radici attorcigliate  sedimentate al terreno.. meglio accantonare tutto in un angolo ..L’unico a guardarmi senza fronzoli è Marcello. E’ fermo anche lui in attesa. Però non mi chiede non mi interroga, sono si dispera, non è nemmeno imbarazzato stavolta. Aspetta come un fedele aspetto il sollievo nel cuore della notte, fiducioso, senza pretese, libero dalle aspettative, consapevole che qualsiasi fede – compreso l’amore – può portare alla delusione. Sa che l’unica cosa che può fare è stare lì e resistere, con me o senza di me.
In quel momento penso a Manuela che voleva andare nel deserto ed è diventata deserto. Su di lei, intorno a lei, scorre un tempo invisibile. Faticoso e umido, come una cappa bollente sopra i quaranta gradi. Il suo nome in quel deserto assoluto ha perso l’eco della consolazione e quel rimbombo muto non fa nemmeno male. E’ un peccato che la vita possa ridursi a questo – a una resistenza senza panico. Eppure qualcosa batte lì dentro, in quel corpo, come il cuore di un piccolo topo affannato, al riparo nelle tane sotterranee dopo la fuga da un’aquila in picchiata”

Tenersi l’affanno, ma restare in piedi, andare. Prepararsi ad un cammino verso una meta che non conosciamo. Ridiventare veri pellegrini, prepararsi a partire senza sapere quanto e dove si arriverà.
Fare “le ennesime valigie”.

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