lunedì 14 marzo 2016

MARCO PEANO "l'invenzione della madre": un romanzo e altre narrazioni e opere sul lutto.



il romanzo di Marco PeanoL'invenzione della madre” (Minimumfax) è un romanzo in cui ancora una volta ci si confronta con il lutto e con la morte di una persona cara. Ancora una volta perché, a fronte di un tema universale, va registrata una certa ricorrenza negli ultimi tempi, sul piano editoriale (Kanusgard, McDonald, Di Fronzo, Ernaux e altri).
 In un' epoca che – come scriveva già Philip Ariès molti anni fa – tende se non a cancellare ad anestetizzarla, quando accade si ripropone spoglia e senza argini valoriali. Un uragano muto. LA morte poi, essendo stata la sua celebrazione, l'inizio della rappresentazione e del linguaggio, da sempre, ad ogni cambio d'epoca, nella forma del suo esser raccontata, segnala cambi di codici.

Nel libro di Peano  il lutto per la madre diventa anche un' elaborazione di una relazione d'amore e della sua dimensione totale.Come dovrebbe essere l'esperienza del lutto quando muore chi ci genera. Ma come ne facciamo esperienza? Ed è sempre la stessa esperienza o magari oggi, per una persona giovane di oggi segnala anche un'inesperienza sempre frustrante?  (per dirla con Antonio Scurati - "Letteratura dell'inesperienza").
L'uso delle immagini in Peano, l'elemento dell'immagine in relazione alla scomparsa della madre, pur non essendo ancora immersa in quel fluxus continuo che proprio in questi ultimissimi anni la foto (l'arco temporale narrato va dalla fine dei 90 ai primi anni del 2000), contraddistingue questo libro, e forse ne evidenzia una specificità contemporanea, rispetto all'esperienza della morte.  La mancanza è universale, come riempirla o crearne un simulacro, no.

 Il rapporto con una madre che resta forse la radice di tutte le relazioni e l'unica esperienza di “totalità”, cozza oggi con un'epoca che ha decostruito, reso relative, tutte le nozioni, le idee, di universalità, ha "liquidato" l'amore, pur facendolo sopravvivere nell'immaginario cine-mediatico nella sua forma più banale e romanticheggiante.
. Quel che mi ha colpito in Peano è che - letto e pubblicato oggi, 2015, questo libro nel giro di pochi anni rispetto alla colocazione della sua storia, diventi agli occhi del lettore di oggi anche narrazione di un passaggio epocale e di una distanza storica. Quando e dove  lei  c'era , era un “altro tempo” – ed epoca (basterebbe pensare già a suo tempo ovviamente al libro di Bendetta Tobagi o di recente quello, diverso,  di Nadia Terranova).
 Tornando a “L’invenzione della madre”: il protagonista è lo studente Mattia, che apprende ben presto che la madre malata di tumore,  non si salverà. Da qui quella totalità in perdita, si tramuta in pratica di dilatazione e rallentamento : del tempo, del ricordo, del pensiero, del linguaggio, dei movimenti, del movimento della propria vita.. Mattia, studia, lavora in una videoteca ed è appassionato di film, ha una fidanzata: tutto si sposterà in secondo piano,  della morte, nessun  momento potrà essere sprecato, neanche un istante dell’esistenza. Da qui la prima conseguenza sullo stile che come tutte le narrazioni di lutto si concentra in modo ossessivo sui dettagli.

Il lutto si addice alla metonimia, al fotogramma.  Come se la scrittura nel farsi dettagliata (tipico)  fosse anche una sorta di rallentamento temporale della morte, da parte di Mattia,  in una narrazione che è tuttavia anche di Peano, e dichiaratamente autobiografica. Ed è una dichiarazione di poetica oltre che una posizione valoriale.

 Il primo effetto che noto è infatti biografico-culturale: Marco Peano è del 1979, se la sua autobiografia va a sovrapporsi a Mattia, i suoi studi lo portano tra la fine del XX secolo e poco dopo l'11 settembre. Non viene mai citato il tempo storico, ma il dettaglio degli oggetti della vita quotidiana di Mattia diventano, ai miei occhi di lettore di oggi, 2015/2016 non tanto la forma di un diario di un lutto,nel presente,  ma il congelamento di un passato che – complice l’evoluzione rapidissima della storia umana e tecnologica – colloca quasi involontariamente questa registrazione di lutto in un tempo molto lontano, in un circuito chiuso di ricordi, facendo del memento mori Storia,  memoria – con un preciso aggancio, esplicitato nel libro:  “nel 1997 i DVD vennero immessi sul mercato e nello stesso anno cominciarono a manifestarsi i segni della malattia di mia madre”.

Insomma:il lutto cambia tanto quanto cambia il modo e l'esperienza del suo vissuto e della sua conservazione - mettere un vestito nero o lasciarsi crescere la barba era per avere sempre un segnalatore ad ogni momento: ma oggi si può?

Il modo di conservare le immagini di chi è morto (VHS dvd, internet e ora facebook) sono  correlativo oggettivo non solo della decadenza fisica e biologica, ma anche del senso stesso dell'esperienza di cosa conserviamo della morte, dell'esperienza della morte alla l luce di questa trasformazione rapida del mondo degli oggetti e della Storia occidentale che sarà determinante nel libro per tenere la memoria della stessa madre.


 Trasferito nelle cose è il pensiero della morte, per sedarlo nei suoi effetti. (effetto-passato per un autore che mentre oggi pubblica il suo romanzo, sicuramente usa netflix e spotify non i CD e le videocassette) . Sono elementi Extratestuali, che stanno oltre la soglia del romanzo,  ma del resto la narrazione di un lutto, così come la condizione psichica del lutto si colloca proprio per statuto al confine, sulla soglia tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi.
Il romanzo è dunque per statuto, luttuoso. Ma si rivela insufficiente, specie perché il lutto oggi  diventa anche la perdita di una Storia. La morte si fa essa stessa straniante e desueta.
Mattia resta scosso, come capita a molti: la morte è destrutturante, depressiva, scatena accidia:   Comincia a vedere tutto in termine di perdita, dilatazione: ad esempio, inizia a rimandare l'appuntamento con i progetti. Nel pc di Mattia Il documento “tesi.doc” è fermo, mentre è dinamico quello “medicine.doc.” I nomi dei farmaci, precisi sono il segnale chiave di una parola-pharmakon che tuttavia può solo registrare il dettaglio. Anche il progetto di coppia si scolla, via via, ammutolisce. Dispare.
Il romanzo stesso dispare, scivola nella sua impotenza: alla prosa asciutta di Peano, che scrive come Narratore in terza persona,  fa da contrappunto il continuo ricorso di Mattia, in uno scivolamento di narrazione libera diretta, a comparazioni, accostamenti metaforici con dettagli e scene tratte da film, ma non solo, in ogni caso altri linguaggi: quasi a rendere esteriore l’acme simbolico, quasi a sottolineare di non aver finito le parole. E’ un dichiarato “rifugiarsi nelle immagini” un montaggi di fotogrammi, perché un genitore che muore, dice il narratore ma certo è anche un pensiero di Mattia,  “è come un film che hai visto da metà e di cui sei certo di ignorare molto”. Eppure per vederla basterebbe “andare di là “.

C’è inoltre un elemento ed è quello del futuro, per una generazione che non ne vede, la narrazione di lutto in un età giovane ha proprio la funzione di autorizzare la rinuncia al tempo futuro. Chi è nato alla fine degli anni 70 è senza futuro senza proclamarlo, come fecero i padri, che quel futuro lo hanno occupato fin troppo, come era di moda uralrlo nel 1977.
Loro lo sono in carne e ossa, quel futuro mancato. Il tempo davanti, all’annuncio della malattia
irrimediabile diventa concepito solo in “tempo che resta” come quello di cui chiedono Mattia e il padre alla dottoressa.  Se nel passato, generazioni che avevano proiettato la visione verso un avvenire e un’utopia, la morte era anche passaggio di consegne di generazione, simbolicamente per Mattia, poco più che ventenne all’alba del XXI secolo, la morte diventa la conferma che il tempo è finito. Mattia diventa “una videocamaera di carne” –  sogno alla 
Cronemberg, ma lungi dall’essere quell' incubo, è invece ormai ribaltato a conforto.

Tuttavia questa videocamera non trasmette, è un circuito chiuso, temporale e psicologico.    Ed è così che questa generazione tende a volgersi verso il passato molto più che le generazioni precedenti, tra vintage, hipster, vezzo: l'utopia per Mattia è quella dell’ “attimo”, ritagliato nel presente o nel passato, l’attimo in cui siamo felici  (ho conosciuto Peano come editor di Valerio Millefoglie) . È quel momento lì aurorale originario legato spesso tuttavia al privato al proprio ricordo personale dentro magari una dimensione storica dentro un ricordo collettivo, come capita anche a Mattia,  che
può far riandare agli oggetti cartoni animati ai gadget alle cose da consumare alle cose che si è vissuto, comprato, i film visti, le trasmissioni televisive dei cartoni animati tutto e immediatamente tutto è irrimediabilmente passato tutto è legato a questa dimensione “ri-uso” del passato. L’esistenza di mattia diventa così un gigantesco “giorno della memoria” – e non a caso questi sono gli anni in cui questo tempo esausto che è stato il secolo breve ha smesso la sua corsa, e si volta all’indietro, a cercare sempre più celebrazioni.
Mattia si concentra così sui dettagli dell’accudimento, con un eccesso, dal punto di vista narrativo, di tecnicismo, materico, di ostentazione della freddezza che è un mix di citazione letteraria ( l’archetipo di Albert Camus, “Lo straniero”) e fissazione feticistica luttuosa.

 Il libro di Peano del 2015 si lega benissimo ad un altro libro, del 2016, quello di Gabriele Di Fronzo “Il grande animale” (che con Peano condivide l'apparennza a quella  città ctonia ed egizia che è Torino) in cui il protagonista  è l’imbalsamatore perso anche lui nei dettagli,  anche lavorativi della sua professione, nella esattezza con cui elenca strumenti azioni e spiegazioni anche scientifiche della lavorazione del cadavere degli animali e che fanno da controcanto speculare ai dettagli dell’accudimento del corpo del padre). Scienza, tecnica, illustrazione iperrealista. Dettagli materici.
lo sguardo sulla morte così opaca e muta, è tuttavia fatto con lenti HD.


Ad esempio lo si vede nei film ed è presente anche in questi libri (in  Nanni Moretti (Stanza del figlio e Mia Madre) si ripete la scena del fissaggio della bara, filmata in modo così ravvicinato, come Peano racconta dell'odore che fa la chiusura di una bara).  Mattia segue con la prosa l’esattezza di malattia e morte, sempre lo stesso doppio binario: da un alto la morte ci rende gli occhi apertissimi e vediamo tutto con insolita esattezza anche i dettagli più banali (effetto MDMA) dall’altro non vediamo più nulla, nel complesso, siamo dentro un’opacità di occhi velati. Di certo, come nelle statue barocche, la sfida alla morte è nella piega e nella riproduzione della carne morta e fissata nel marmo: nell’esattezza. Lo dice in un incipit lo scrittore americano Rick Moody (Rosso americano) “Colui che conosca le pieghe e le complessità del corpo della propria madre, egli non morirà mai”.

L’esattezza della cura, come poi sarà della procedura funebre, c’è anche nel voler sapere: anche se Mattina è frustrato: “più cercavo informazioni in rete più mi deprimevo”; Altro dettaglio epocale: la malattia e la morte ai tempi di Google.

In realtà di fronte alla morte, non abbiamo bisogno di informazioni, ne abbiamo fin troppe, quel che manca è una necessità che taglia le epoche: abbiamo bisogno di un disegno, di una trama (il romanzo di Mattia non procede, è un succedersi avanti e indietro nello stesso lasso di tempo di brevi episodi divisi in capitoli e la narrazione sul lutto è spesso anche una meta-narrazione implicita). Necessità di scriverla dentro un destino: soltanto così la morte ha senso. Ci manca l'immaginazione del futuro, non solo le culture della consolazione religiosa . Un quadro di una storia, una trama.

La morte è disfacimento della casa, ma al tempo stesso archivio: Come Mattia che mete le mani tra le
cose della madre, le disperde e le conserva al tempo tesso. La nostra è una malattia dell’archivio, la coscienza un database. Un accostamento:  la registrazione del morente, della propria reale madre,   che ha fatto  Sophie Calle con la bellissima mostra “MaDre” (il gioco in fracese è “mere” mare/madre) in cui ha tra le altre cose, ripreso per settimane lo scivolamento verso la morte della madre rale, poi ne ha allestito un monumento-opera funebre,  vista tra l’altro a Rivoli di recente (ancora Torino città di memoria e lutto, di mistero, sangue, mummie egizie)

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  E alla Fondazione Merz, ho Pensato a Di Fronzo e Peano guardando anche la mostra di un autore dell'archivio, della memoria e della morte che si conserva nella materia: Christian Boltanski , con “Dopo”: scatole sotto lenzula, silenzio irreale, lenzuola a coprire forse il lavoro stesso di Boltanski dopo la sua morte - lui che sta immagazzinando quantità innumerevoli di dettagli e tracce anche anonime di esistenza per salvarle dall'oblio...  Mattia personaggio come Peano autore - e altri più o meno trentenni oggi -  appartengono alla generazione che negli anni “dopo” la morte dei genitori o di un genitore, coincidendo con l'epoca del dopo-900, si stanno preparando ad entrare negli anni dell'arrcivo evanescente, la rappresentazione continua e continuamente obliata del loro tempo personale nel diario di Facebook, si preparano ad offrirsi specchiati in un selfie agli occhi degli altri e li resteranno nella gran confusione di immagini, i nostri ricordi, come lacrime perdute nella pioggia.


Romeo Castellucci con “Sul concetto di volto nel figlio di 
Dio” aveva messo in scena nell’esposizione del corpo malato, morente e decadente di un padre
accudito, nulla sua evidenza scandalosa, una totale e perfetta assenza: quella di Dio, appunto. E sulla scena l’elemento più forte è stata la merda, che invade la vista. Va da sé che si pensa alla fase anale, alle feci, all’elemento di fissazione feticistica che questa nel “romanzo freudiano” così Mattia. Così Mattia ad un certo tempo si dice esasperato dalla impossibilità di poter curare la madre e mentre sta per arrivare a trovarla nell'altra stanza (un di là ripetuto, a prefigurare fin troppo evidentemente un aldià) si augura che la diarrea della madre quella notte sia così abbondante così violenta e  “pietosa” da seppellire tutti loro quando lui aprirà la porta.

no è solo morto Dio e assente suo figlio, il suo volto così fisso e muto e atarassico: è “la memoria, quella facoltà che reinventa da sempre nel lutto, ad essere oggi  morta. L’ossessione di Mattia  è quella di conservare e quella dell’ immagine riprodotta, nella debolezza del romanzesco :non solo i film associati a episodi personali, ma anche quando vede o pensa di vedere la madre in un pubblico televisivo, durante una trasmissione.

Il sesto senso che ci permette la presenza del defunto è postmediatico. I fantasmi sono anche loro  nel sistema della parcellizzazione totale delle immagini, che ora ci avvolge. Instagram è il codice nuovo. La morte rende assente ogni altra presenza simbolica: icone religiose e religioni su tutto. Faticosamente qualche oggetto, ma sono morti del passato – la bisnonna riesumata, la sua fede. Non sopravvive nei nastri delle video cassette, ma sopravvive in un file audio registrato inavvertitamente col cellulare, forse è confusa nella folla di spettatori di una trasmissione tv. Poltergeist. L’invenzione della madre è di fatto  la (sua, nostra)  riproducibilità tecnica di presenza. Il lutto è tale, la morte è tale solo se sta dentro questo sistema – e tutti gli episodi folcroristici della morte ai tempi di facebook in realtà sono dentro questo quadro: farsi un selfie tutti assieme nel giorno del funerale della madre e postarlo, non è più una degenerazione di un momento sacro, ma il memento necessario per superare il vuoto. Mattia vive la morte della madre prima di  facebook ma con la sua scrittura addizionata di immagini e frame di film è come se preparasse questo terreno.

Non è un caso che il “dopo”, il tempo che viene, senza essere tempo ovvero l’ultima parte dell romanzo è ancora meno “narrativa”, è un film dei ricordi ancora più  slegata dalla trama : trama, storia è quella della presenza in vita, il dopo è una serie di piccoli capitoli, ancora più frammentati, che  forse appesantiscono anche un po' il libro (anche l’ultima pagina “tutte le parole del mondo è troppo ostensiva, si capiva già tutto prima)   ma che al tempo stesso lo riempiono di ulteriori elementi di riflessione diventando quasi una sorta, qui si, un diario- saggio (e più debitrice dei “Dove lei non è” di Roland Barthes ma forse tutto il libro è bathesiano) .


Siamo alla Deriva senza approdo, nella parte finale del romanzo, la più incerta - come  quelal di Di Fronzo è invece la più forte e radicale - ma significativa nel suo essere  deracinè rispetto ad un ordine narrativo. Mattia , dopo, l'anno del "dopo", apre il computer di casa e legge una scritta inglese “This day will never Happen Again” . Condannati al presente, i  detriti della materia del passato accumulati ai piedi, ecco il non ancora trentenne Mattia che nella vecchia officina del nonno trova una foto della nonna quando era giovane e nei suoi occhi vede, con una preveggenza rivolta e cercata nel passato, come un Pollicino nei frame, come un tossico dove non c’è più nulla, la presenza della madre anche prima di lui, per poter immaginare i giorni che l'attendono e creare una trama che invece si è sfaldata per sempre: il futuro ha i tratti del passato che si preparava al nostro presente. Anche nella sua possibilità non percorsa .
Mattia rovistando trova anche un fascio di lettere indirizzate alla madre, da un altro uomo: fanno immaginare un “se” un’altra storia possibile, un altro padre: è il passato ormai l’unica fonte in cui possiamo immergerci in un ‘immaginazione del futuro. L’invenzione della madre è l’invenzione del futuro che poi siamo stati. O anche non siamo stati, in ogni caso: è lì che cerchiamo illuminazioni e intermittenze, e  risposte  a domande non ancora formulate.

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