Partiamo
dalla scena finale del film di Sorrentino (spoiler non leggete) ambientata a
L'Aquila, la gru che solleva da dentro il duomo la statua del cristo, la porta
prima in un leggero “volo” visto dal basso, poi la adagia a terra ,tra i
detriti (nella foto sopra l'originale dei VVFF che ha ispistato S)
anche se ha una evidente inevitabile e
forse anche un po' facile allegoria del “paese che crolla” Al termine della parabola politica ed epocale
del tempo di Berlusconi, si può pensare – legandola ad altri spunti –utile
per una lettura più generale del “paesaggio italiano” - fisico e spirituale - dei
suoi cambiamenti sociali (o antropologici?) di un paese.
E’ un’evidente citazione del Cristo portato da un elicottero che sorvola invece Roma ne “LA Dolce Vita” di Fellini, quel Cristo che vola sulla città del boom dei palazzi e della speculazione, dell’arricchimento e della crescita. Si solleva in alto, sta in alto come il Cristo di Rio, c’è il sole, tutto è felice. Il punto di vista della camera è addirittura superiore al Cristo stesso, è l’apertura del film.
E’ un’evidente citazione del Cristo portato da un elicottero che sorvola invece Roma ne “LA Dolce Vita” di Fellini, quel Cristo che vola sulla città del boom dei palazzi e della speculazione, dell’arricchimento e della crescita. Si solleva in alto, sta in alto come il Cristo di Rio, c’è il sole, tutto è felice. Il punto di vista della camera è addirittura superiore al Cristo stesso, è l’apertura del film.
Nel film invece è una deposizione notturna, un Pontormo, la camera riprende da
terra, poi sfila lungo i volti di italiani, per la prima volta in tre ore e
mezza, altri italiani, gente normale, terremotati e vigili del fuoco. Si chiude
con questa mestizia umile, sono “loro” i depositari di questo messaggio di
morte del cristo terremotato e deposto. Senza resurrezione. Basterebbe questa
differenza tra i due film, uno del 1960 e l’altro del 2018 per dire il senso
della nostra parabola.
Non solo Sorrentino sulle macerie de L’Aquila, prendete ad esempio Marco Balzano, con “Io resto qui” - ambientato nel Tirolo: racconta del paese di Curon e del suo legame col “Progresso”: la costruzione della diga nel secolo 900, la soppressione, l’annegamento di un paese con le acque di un lago artificiale, progetto che nasceva dagli anni del Fascismo e proseguito fino ai primi anni del boom. La costruzione-della-diga si lega in modo simbiotico alla distruzione di Curon, riproponendo uno scontro tra il microcosmo e il progresso, tragico come fu la vicenda dell’alluvione del Vajont o la distruzione ambientale e umana (la corrosione fisica dei corpi nel corso dei decenni di lavoro) legata al petrolchimico di Marghera – e ancora oggi Taranto e l'Ilva.
Non solo Sorrentino sulle macerie de L’Aquila, prendete ad esempio Marco Balzano, con “Io resto qui” - ambientato nel Tirolo: racconta del paese di Curon e del suo legame col “Progresso”: la costruzione della diga nel secolo 900, la soppressione, l’annegamento di un paese con le acque di un lago artificiale, progetto che nasceva dagli anni del Fascismo e proseguito fino ai primi anni del boom. La costruzione-della-diga si lega in modo simbiotico alla distruzione di Curon, riproponendo uno scontro tra il microcosmo e il progresso, tragico come fu la vicenda dell’alluvione del Vajont o la distruzione ambientale e umana (la corrosione fisica dei corpi nel corso dei decenni di lavoro) legata al petrolchimico di Marghera – e ancora oggi Taranto e l'Ilva.
E tuttavia - lo dirò dopo meglio parlando di un libro
di Sebald - alla fine i Tirolesi di Curon hanno riconvertito, da tedeschi la
disgrazia in benessere (oggi Curon è un’attrazione entro un paesaggio molto
bello, che certo nasconde come racconta Balzano ferite e morti, dolori e
rimozioni)
Tutto il paese-Italia è stato interessato da questa mutazione, l’italia verde e contadina si doveva gettare da subito – per il ritardo – nell’era industriale, dopo la fame della guerra. E quei soldi a noi tutti hanno fatto comodo -(piano Marshall boom, indebitamento felice, sono questioni ancora sul piatto, sono l’eredità che abbiamo, ma s’è pagato a caro prezzo).
non si vorrebbe fare nessuna Mistica dell'universo legando le due cose però ebbe potrebbe servire per cercare di mettere assieme come una costellazione di eventi che hanno avuto un significato, sono forse entrati nel profondo: eccoci allora, nel 1976 il terremoto del Friuli Venezia Giulia segna e ferisce la Terra da cui si era mosso – dal paese Casarsa - Pier Paolo Pasolini che quella mutazione l'avrebbe poi raccontata proprio esattamente fino all'anno della sua morte, giusto pochi mesi prima del terremoto dalle sue parti.
Pasolini era
anche quello che stava raccontando come l’italia nel nome del “Petrolio” stava
pagando una mutazione non solo ambientale, si stava consegnando a forze oscure
della storia che in PPP seguirono due strade, quella politica (che individuava
in apparati e personalità la forzatura autoritaria (vedi Cefis) e dall’altra quella
antropologica – o metafisica – c’era il famoso “quartetto” che decide le regole in “Salò” e quelle che forse hanno deciso la sua morte,
la morte reale del poeta. Pasolini raccontava - con una nostalgia tutta sua,
per cui fu criticato come un romantico idealista delle “popolo” che ha una sua
purezza astorica - una trasformazione che era reale: il benessere trasforma –
snatura per lui - il sottoproletariato
urbano ex-contadino e marginale di una città come Roma, laboratorio del
populismo “da sempre” - se avesse abitato a Milano avrebbe raccontato tutta
un’altra storia.
La
trasformazione omologante era in atto, fu assolutamente positiva (io ne sono
figlio) fu quella che portò alla vittoria dei due referendum, all’affermazione
del PCI, alla crescita dei movimenti giovanili e delle donne.
Certo ad
intaccare la crescita positiva, ci furono distruzioni naturali e distruzioni pilotate:
crollano le case e muoiono persone sotto le macerie, esplodono bombe sui treni
nelle piazze, nelle stazioni.
Di quella
mutazione intorno a metà anni 70 e che ebbe con la distruzione del terremoto e
la ricostruzione di una linea di confine di una terra di confine. E’ il Friuli
che passa con rapidità dall’arretratezza
contadina ad un benessere diffuso
di piccola impresa, di commercio, a cui si somma una tradizione di
amministrazione di impianto “europeo” che fa fare un balzo in avanti verso il
“nord-est” ricco che conosciamo oggi.
Di quella
fase di passaggio un altro poeta, venuto dopo e più radicato alla sua terra di
quanto lo fu Pasolini che vi nacque per caso da padre militare bolognese, c’è
traccia nella poesia che Mario Benedetti ha iniziato a scrivere proprio n quel
1976, col passaggio della sua personale esperienza verso la lirica, verso lo studio andando a Padova all’università
ma ritornando anche poi Friuli dopo il
terremoto proprio in quell'anno 76. Così è
testimoniato in “Umana Gloria”.
Non sarebbe
passato molto tempo, in un passaggio pieno di sangue e piombo tra quel 1976 e
il 1980 dell’Irpinia. UN quinquennio
eccezionale per la Storia d'Italia : che segnò l’avanzata del PCI alle elezioni
e la controreazione di forze oscure, con il rapimento Moro, le Bombe come alla
stazione di Bologna, ecc. azioni guidate con trame dimostrate da storia
e processi, da parti dello Stato Italiano. Periodo che visse le rivolte delle
giovani (future) elites universitarie,
ma allargate - col movimento 77, frutto
della crescita demografica del post-boom, con molti figli della classe media e
a volte popolare che vanno all’Università. Anche questo un passaggio
“culturale” una frattura di sapere e valori, che coincide e a volte entra in
conflitto proprio col “benessere” e con le logiche del capitalismo le stesse
che avevano permesso alle famiglie di molti di quei ragazzi di pagare le
università ai figli. **
(** Secondo me quella rivolta
antiautoritaria - sempre contro “i padri” colpevoli di essersi integrati col
potere è molto simile a quella accaduta in parallelo e esplosa oggi delle seconde generazioni e
del loro radicalismo antioccidentale di ritorno, dopo che i padri vennero a
lavorare e integrarsi in Europa (“mio figlio il fanatico” di Kureishi lo
racconta bene) **)
dal 76
all'80 succede di tutto in questo paese,
dentro questo quadro di lungo corso che fu il “Progresso” nella sue forme e articolate una società
Industriale ex contadina industriale che si affacciava agli anni 80 e con i
giovani che passavano rapidamente da
“ribelli” a “consumisti” in una generazione.
Con una
storia borbonica e di isolamento, l’Iripia era diversa dal Friuli post
asburgico che entrò nel 900, contadino in egual misura, con egual emigrazione
per povertà, ma con connotati diversi che poi riemersero nel corso del secolo.
In Irpinia c’era un altro poeta, che stava crescendo figlio anche lui del boom economico,
che arriva anche nelle campagne, ed è
Franco Arminio, nato nei primi anni 60, figlio di un 0ste di campagna, ha elaboratola sua identità e la sua poetica la
sua storia personale insieme alla storia collettiva del suo mondo, che oggi ha
portato a maturazione, con più vigore intellettuale, la questione che OGGI ci
pongono proprio quei piccoli centri segnati da ferite naturali, da arretratezza
storica, rispetto all’idea di Progresso dominante in questi decenni passati.
I “piccoli paesi”, i borghi, oggi segnano
l’esaurimento, non solo il passaggio: sono al termine di una notte storic, abitati da anziani, privi di servizi. HAnno conservato tracce di passato, a volte viene recuparato da archeologi delle forme di vita, come i poeti, come Arminio.
E quindi "i paesi" si sono ripresentati però alla fine della storia, alla fine del 900, alla fine dell spinta propulsiva, magnifica, ottimista del 900, offrendo ad una civiltà occidentale un altro modello, quello che forse sta cercando ANCHE nel suo sapere profondo, un altro modello di vita (almeno per prendere una pausa) e lo trova nel mix dei luoghi dell’arte, nel cibo, nel diverso modello dei “borghi” non solo un paesaggio da cartolina da offrire ai turisti, ma forse un legame col “diverso mondo possibile”
E quindi "i paesi" si sono ripresentati però alla fine della storia, alla fine del 900, alla fine dell spinta propulsiva, magnifica, ottimista del 900, offrendo ad una civiltà occidentale un altro modello, quello che forse sta cercando ANCHE nel suo sapere profondo, un altro modello di vita (almeno per prendere una pausa) e lo trova nel mix dei luoghi dell’arte, nel cibo, nel diverso modello dei “borghi” non solo un paesaggio da cartolina da offrire ai turisti, ma forse un legame col “diverso mondo possibile”
Luoghi in parte dimenticati abbandonati che
sono ormai distanti dal “vivere metropolitano” generalizzato anche in provincia, tenuto
assieme, instillato, da una omologazione
della rappresentazione di sé con i social, ma che forse segnano una via futura - vedi Matera
capitale della cultura con la sua
parabola dalla malaria degli anni 50 alla destinazione cool dei nuovi bobos e
del ceto medioalto-consapevole.
insomma dall’”abbandono” si può rinascere (Carmen Pellegrino, altra autrice che da quel
Sud appenninica sta creando una poetica, della cura e dei fantasmi, del valore
e della visione a aprtire dai luoghi “abbandonati”) A questo abbandono così come dopo il terremoto
segue una ricostruzione, quella post
terremoto dell’Irpinia che non fu perfetta, pagò difetti antichi di governo e di
cultura diffusa.
IN un certo senso oggi ce ne può essere un’altra, che si inquadra non dentro un’idea di “sviluppo” industriale, ma nasce da una via diversa che guarda con più attenzione al patrimonio locale o del “glocal”, guarda con la cultura a una diversa misura del sentire e del vivere. NE fa un messaggio che è anche politico, nel caso di Arminio soprattutto. Recuperare il vissuto dei piccoli centri non è conservazione del passato, ma spunti per un modello di vita futura.
IN un certo senso oggi ce ne può essere un’altra, che si inquadra non dentro un’idea di “sviluppo” industriale, ma nasce da una via diversa che guarda con più attenzione al patrimonio locale o del “glocal”, guarda con la cultura a una diversa misura del sentire e del vivere. NE fa un messaggio che è anche politico, nel caso di Arminio soprattutto. Recuperare il vissuto dei piccoli centri non è conservazione del passato, ma spunti per un modello di vita futura.
Non è solo la conservazione “ a mo’ di
presepe” di questo passaggio.
ma come fare?
C’è un esempio che vorrei immettere e di diversa natura, ma che si intreccia con il nostro presente. Quanto paga l’Italia - specie l’italia del sud, come la Grecia - delle politiche del rigore, della pressione tedesca, lo sappiamo, si è discusso a Sinistra, ma l’elettorato ha oggi deciso di affidarsi ad una risposta populista e “da destra”.
ma come fare?
C’è un esempio che vorrei immettere e di diversa natura, ma che si intreccia con il nostro presente. Quanto paga l’Italia - specie l’italia del sud, come la Grecia - delle politiche del rigore, della pressione tedesca, lo sappiamo, si è discusso a Sinistra, ma l’elettorato ha oggi deciso di affidarsi ad una risposta populista e “da destra”.
ma cosa è
successo alla Germania? Anche la Germania è stata rasa al suolo come il Friuli
e l’Irpinia o successivamente le zone di
Marche, Umbria e Abbruzzo attraverso il terremoto. LA distruzione della guerra
mondiale e dei bombardamenti: Berlino, Francoforte Dresda soprattutto, ridotte
in cenere letteralmente.
Ci può aiutare
a capire qualcosa della storia della nostra distruzione, mascherata da
“ricostruzione” la lettura del libro di W. G. Sebald “Storia naturale della distruzione” (Adelphi)
in cui si racconta anche della rimozione psicologica e letterale (dalle pagine
dei romanzi degli anni 50) del paesaggio tedesco distrutto.
Ne gli anni 50 e 60 la rimozione non è solo psicologica,
è rimozione da senso ci colpa, ma a un
certo punto divenne altrettanto soprendetmente dal punto divista psicologico,
un ribaltamento di quella rimozione.
Ci fu un “ritorno
del rimosso” come un utilizzazione delle proprie colpe nel processo che va dal senso di colpa alla “ricostruzione” di
un’identità della nazione da quelle rovine. E così - racconta Sebald - si passò
dall'impegno che i tedeschi misero nel tenere il silenzio delle colpe, dei
genocidi dei lager, col silenzio anche
da parte di chi si era opposto su quel paesaggio ( la mancata descrizione anche nei romanzi di
quello che era il paesaggio di rovine intorno) fino alla rivendicazione di
quela distruzione: perché poi i tedeschi ne avrebbero fatto un “vanto”, recuperando la loro grandezza storica, umiliata dalla
sconfitta e depressa dall’essere passata nazione dei filosofi a nazione dei Lager.
Proprio nell’impegno della ricostruzione la Grande Germania si ritrova : zero
esercito, molti grattacieli, per dirla con una battuta. Fino a diventare oggi
il “Reich” dell’economia europea.
C’è un
dettaglio che racconta Sebald significativo la cartolina del 1997 venduta a
Francoforte in cui si mostrava in una foto a un paesaggio di Francoforte nel ‘47
Tutto distrutto dal bombardamento e dall'altra la ricostruzione di quello
stesso luogo fotografato dall’alto e scintillante di architettura modernissima
per una città bellissima, divenuto hub commerciale mondiale. Come a dire: visto
come siamo bravi? noi tedeschi siamo i migliori anche nel ripartire dall’ “Anno
Zero”.
Lo stesso si
è ripetuto nel dopo storia del 1989 con
Alexanderplatz a Berlino: cuore pulsante negli anni 20 e trenta dell’Europa più
cool, poi distrutta e divisa dal muro nel 61, oggi dopo l’89 tornata a essere con
la caduta del muro luogo centrale di una Berlino magnifica, il cuore pulsante
di un’Europa che proprio a Berlino fa segnar il punto più altro delle integrazione
tra la Grandezza “da Reich” della potenza tedesca con le “culture alternative” giovani
che la abitano e la fanno proliferare.
A noi manca
paradossalmente la famiggerata - concetto controverso di Nietzsche - “volontà di potenza”che immaginava negli Oltre-uomini del futuro un avvenire della nazione “ grazie
alla loro sovrabbondanza di volontà, sapere, ricchezza e influsso, si
serviranno dell'Europa democratica come del loro strumento più docile e
maneggevole per prendere in mano le sorti della terra, per plasmare, come
artisti, l'uomo stesso “ che ben si addice alla strategia tedesca del
dopoguerra, forse .
Per noi ci vorrebbe una strada non simile che è impossibile, ma in generale ci è estraneo questa capacità di ribaltamento delle sorti, recuperare una grandezza, recuperare un’identità della tradizione italiana e offrirla al senso “alternativo” del vivere che chiede oggi piacere, sviluppo sostenibile, cultura.
Per noi ci vorrebbe una strada non simile che è impossibile, ma in generale ci è estraneo questa capacità di ribaltamento delle sorti, recuperare una grandezza, recuperare un’identità della tradizione italiana e offrirla al senso “alternativo” del vivere che chiede oggi piacere, sviluppo sostenibile, cultura.
Siamo tuttavia il “Paese senza” un paese in
cui il paese steso si sottrae ad un destino comune, sempre etero-diretto,
deciso altrove (potenza straniera,
papato che sia, e poi dal 900 in poi, elites, duce, classe politica che ha
governato dal dopoguerra un paese in cui la partecipazione era scarsissima, ma
l’obbedienza profittatrice clientelare e amorale altissima - senza borghesia senza tessuto produttivo
forte, se non concentrata in due regioni. La grandezza italiana del
Rinascimento, del Barocco e quel poco che è seguito dopo, è frutto sì quasi esclusivo delle elites
nobiliari e clericali, dello sviluppo anche di una cultura popolare ma solo
dentro un alveo di latifondismo, di nobiltà, con poche eccezioni. Per questo è
più difficile oggi pensare di trasformare Taranto da inferno dell’acciaio a
paradiso del turismo - paradossalmente obiettivo più facile per il Salento poco
distante che è passato come certa Spagna dalla povertà contadina al turismo
postindustriale della fine del 900.
E’ il
pensiero che mi faccio guardando alle distruzioni
naturali e alle innaturali ricostruzioni che hanno accompagnato anche simbolicamente e
naturalmente il nostro paese (Belice Friuli Venezia Giulia a Irpinia e poi
appunto L'Aquila e ora il terremoto di delle Marche - ma ci metterei anche
simbolicamente la Stazione di Bologna) . Mi chiedo come si possa tenere il
doppio livello di tutela e al tempo stesso ricostruzione della vita - non solo
delle “attività economiche”) una ricostruzione che affondi nell’identità, come
a loro modo hanno fatto i tedeschi, tornado ad essere tedeschi e mostrandolo
anche “nella cartolina”.
Questo penso
leggendo - come Sebald lesse i romanzieri e poeti degli anni 50 per capire gli
autori italiani ( Arminio della paesologia, Balzano di Curon, il Friuli di
Benedetti, ecc) e penso alla questione assolutamente simbolica di Castelluccio
nelle Marche, dove stanno costruendo un Deltaplano ovvero un “centro di
ristorazione “ e appoggio per il turismo della valle, squarciando però di nuova
distruzione - per i locali detta dalla
necessità per chi si oppone (altri locali, il WWf e altri) è in realtà
una “diversa distruzione” di questo ecomostro, sul dorso di una collina che si
affaccia sulla valle, ferendo di nuovo il
paesaggio, a ci si aggiunge l’ “ecomostro diffuso”, una massa come
sempre incotrollata dei turisti-vandali che camminano sulle piante che devono
fiorire distruggendole…
Certamente,
mentre la città di Francoforte è stata ricostruita la dove c'era una città, non
si comprende come un paese che viene distrutto dal terremoto non venga poi
ricostruito, per le mille lentezze burocratiche e la cronica mancanza di soldi
del paese, e però poi prevale il “particulare” della lobby dei ristoratori, e
lo stesso paese avalli (immaginando come sempre “lavoro”, “dateci il pane”
sempre “accattoni”, “cafoni” - sono citazioni cinematografiche e leterarie - senza un progetto, siamo fermi lì) che si
costruisca un'altra cosa un corpo estraneo andando a incidere per sempre nel
paesaggio, che poi vorremmo sempre vantare come patrimonio, in astratto - o
dentro qualche museo guardando i paesaggisti europei che calavano in massa in
Italia.
Infatti a loro, a quella elites culturale è
rimasto il senso del paesaggio e ne tengono cura maggiore nei loro paesi. Hanno
appreso la lezione “italiana” mentre noi italiani no.
Inglesi e tedeschi, i più toccati dalle trasformazioni
industriali, hanno poi adottato più spesso che noi politiche di riconversione -
basta vedere da Amburgo a Liverpool, Manchester, la Ruhur, ecc.
All’Italia
non riesce di trovare, per miopia a volte anche degli stessi abitanti oltre che
della classe dirigente, produttiva, una soluzione di equilibrio sostenibile. Non
riesce a farlo nemmeno in modo episodico, e particolare per questo la vicenda
di Castelluccio è tanto esemplare. Sorrentino
Arminio Balsano Benedetti ma ce ne sono naturalmente anche altri Carmen
Pellegrino e le sue case e paesi abbandonati, Simona Vinci nel raccontare di
Budrio alla fine de “la Prima Verità ma anche nel raccontare del isoletta greca
e il paesaggio tra turismo carcere ora hotspot )
Io penso
alla mia esperienza personale di Kathonzweni in Kenya - lo metto come simbolo
di luoghi d’origine potenziale di “italiani futuri” altrettanto preda di un capitalismo rapace
come quello cinese, che si sta impossessando dell’Africa aiutata in modo però ambiguo
nel suo sviluppo e al tempo stesso la
distanza nella memoria del paesello dei miei genitori, sull’Appennino laziale,
perso nella sua incuria da decenni di
sviluppo italiano col suo degrado, simbolo tra i tanti di questo paese che ha
perso il suo tesoro e ci trasforma in senza patria, strappandoci la terra sotto
i piedi. Ancora una volta un distruzione, stavolta meno rumorosa.
Sono stato sposato per 7 anni. Il mio matrimonio si è deteriorato per un po 'di tempo, quindi era destinato a sciogliersi. Ero la sua moglie leale, fedele, solidale e fiduciosa. Aveva un altro lato selvaggio che è andato fuori controllo. L'ultimo incidente è stato quando ho scoperto che aveva una relazione 2 settimane prima del nostro 14 ° anniversario di matrimonio. Di punto in bianco mio marito ha appena lanciato il discorso sul divorzio su di me. Ero così ferita ed essendo una donna indipendente, pensavo di poter sopportare l'essere single. Era così difficile andare avanti, quindi ho dovuto chiedere aiuto. Il nostro terapista matrimoniale pensava che "qualcosa" non andasse bene in mio marito. Sono andato online e ho scoperto il dottor Adeleke e le sue buone recensioni sul lavoro di incantesimo. L'ho contattato per un lavoro di incantesimo d'amore e ho fatto tutto ciò che il dottor Adeleke mi ha ordinato di fare, 2 giorni dopo la mattina intorno alle 09:34, sono rimasto totalmente scioccato da come mio marito mi ha chiamato dicendomi quanto gli mancavo. Il suo incantesimo ha funzionato su di me così velocemente e mio marito è stato così amorevole, naturale e sto avendo un matrimonio felice dopo aver usato il suo incantesimo d'amore. Se sei in un matrimonio senza amore e infelice che non può essere salvato, credimi ... C'è luce alla fine di questo tunnel. La dottoressa Adeleke può anche lanciare incantesimi di morte, risolvere casi giudiziari, riportare indietro la tua partner omosessuale e riportare indietro la tua partner lesbica. Puoi raggiungerlo sul suo Tel / Whatsapp +27740386124
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