venerdì 9 novembre 2018

BECKETT SENZA FINE NE’ FINALE.

Che senso a vedere ancora un dramma teatrale di Beckett?
HO visto qualche giorno fa “Finale di partita”. L’avevo già visto altre volte, due in particolare meravigliose regie, una quella di Giancarlo Cauteruccio, “=  Jocu sta finiscennu”  in calabrese, e l’altra storica nel 1995 con Carlo Cecchi e Valerio Binasco. Memorabile, anche perché quella sera Cecchi era visibilmente brillo e fu un dramma comincio nel grottesco di Beckett, perché non si ricordava le battute, ma l’effetto fu lo stesso, anzi potenziato.
Nel 1995 avevo 31 anni, con Cauteruccio 40, adesso ne ho 54 e rivedo “Finale di partita” che Beckett scrisse quando aveva 49 anni, era il 1955. Magai non tutti l’hanno vista, alcuni avranno visto “Aspettando Godot”.
 IN “FDP” ci sono due personaggi e due semi-comparse. I due principale sono Hamm e Clov, il primo è vecchio, cieco non può camminare, sta seduto su una poltrona a rotelle, comanda l'altro, che è più giovane, non può sedersi è di fatto il suo servitore e in qualche modo - scopriremo - un figlioccio. Vivono in una casa sul mare, ma in un mondo in cui non c'è più nessuno e si stanno esaurendo anche le scorte delle cose materiali. Dipendono uno dall'altro nella dialettica servo-padrone ma anche in una dialettica malata dell’amore, quella modulata sulla dipendenza dei genitori. E non a caso i due procreatori sono tenuti come immondizia o animali in gabbia e il loro rapporto è cinico e rabbioso, per poi piegarsi.
Hamm e Clov fanno le stesse cose, la stessa commedia, litigano, si beccano, vanno avanti. Hamm vorrebbe morire ma non riesce, Clov vorrebbe andarsene, ma non lo fa. Sopravvivono a sé stessi, sono dei sopravvissuti come del resto lo sono i
Finale di partita è il modo in cui viene chiamato proprio il finale delle partite a scacchi.  Beckett era un grande appassionato giocatore. Hamm – disse Beckett in una delle rare volte in cui decise di commentare la sua opera e disse “è il re di questa partita a scacchi persa fin da subito. Un bravo giocatore avrebbe rinunciato da tempo, sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile”.

Ecco, se questa è una frase assolutamente negativa, priva di uscita dal tunnel, nichilista, di una durezza che spesso appare nell'opera di Beckett, va detto che c’è a mio avviso un risvolto non detto di questa frase cioè sta soltanto cercando di rinviare. Che è il nucleo segreto dell’opera di Beckett: sta rinviando o perché vuole vivere, perché la vita anticipa il suo stesso linguaggio.
Secondo: perché sono in due e vogliono continuare a stare-insieme. Del linguaggio tutto sappiamo, sappiamo il suo scarto, la sua manque, ma in quel vuoto si attacca con le unghie La lotta della sopravvivenza che fanno gli uomini nel non voler chiudere la partita.

Beckett mette questo nucleo Lo scenario e post atomico ma anche comico buffo grottesco pieno di frasi banali spiazzanti per lo spettatore non si capisce di che cosa parlano né dove vanno a parare in effetti non vanno da nessuna parte come tutti i personaggi di Beckett memorabile la conclusione di aspettando godo “andiamo, andiamo pure” sono le ultime due battute e poi due personaggi restano seduti Beckett prosciuga tutte le possibilità di dare senso alle sue opere e perché si rifiuta a tutti significati addirittura una volta dura No scrisse un saggio che resta è importante su Beckett e becchettando appositamente ad incontrarlo per dirgli ti sei sbagliato non è questo non è quello che scrivi quando fu messo in scena nel 1957 alla Royal court sia tra di Londra lo spettacolo la Pièce fu stroncata da tutti andò meglio a Parigi non è un caso a Parigi c'erano due grandi autori che stavano dominando la scena culturale e in quella scena Beckett fu capito i grandi autori erano Sartre e che proclamava “l'inferno sono gli altri”  e c'era Lacan,  che aveva tolto Al significato tutta la sua potenza lasciando al significante tutta la sua assoluta inesauribile mancanza di significato. C'è una battuta nello spettacolo in cui Hamm dice “noi siamo il significato”  e Clov risponde “ significato??”  e si mette a ridere, fa una fragorosa risata. Beckett è un estremista e seppellisce sotto una risata ogni significato. IN questo la portata storica di un 900 che forse oggi è regredito. Questo è il piano più difficile per comprendere e far comprendere la portata di opere d’arte che lavorano sulla forma, sul linguaggio, sulla messa in crisi “radicale” del linguaggio. 
In ogni caso Beckett è l'autore che sente di più la responsabilità delle parole di fronte all'estremo tant'è che i suoi personaggi continuano a pronunciarle, continuano anon finire di dire che tutto è finito.  Fosse anche una banalità, in quella banalità e nascosto l'istinto della responsabilità, l’istinto del rivolgersi comunque all'altro. Così fanno Hamm e Clov, di fronte dall’estinzione possibile, all’esausto dell’esserci, il ro parlano: bla bla bla, anche cose banali, a volte assolute ma banalizzandole, sembrano due clown, sembrano i Buster Keaton dell'assurdo (è noto che Keaton e Beckett collaborarono per “Film” nel 1964)  
I due parlano cercano di raccontarsi qualcosa, falliscono, ricordano - il ricordo è l’unica attività che genera barbagli di umanità, specie in Hamm. Ogni opera di Beckett è aperta a tutte le interpretazioni pur rifiutandole tutte. Fu recepito come resoconto nichilista del mondo, schiacciato dal dopo guerra dalla Shoah e adesso negli anni 50 dalla paura della bomba atomica, fu bandiera del no-future anticipato, fece strage di ogni metafisica. Eppure, in questa corrosione di ogni cosa possa avere un senso, qualcosa riemerge. In “Finale di Partita” c’è una figura che spunta e che resta senza una precisa collocazione drammaturgica, un simbolo che viene sottratto da tutto, ed è il “bambino”. È un bambino un bambino che fu accolto insieme al padre - sembra una scena da Robinson - come fosse approdato su un'isola sembra una scena dalla Tempesta di Shakespeare, ecc.
Quello che conta è che a un certo punto verso la fine Hamm chiede a Clov di guardare fuori dalla finestra e a un certo punto Clov vede un bambino, che su sta avvicinando, e di questo bambino non ci sarà più parola – poi la pièce finisce, Clover esce con la valigia, Hamm recita la sua parte finale, un finale non naturalistico - che poi è il romanzo che a me sta scrivendo -  che è rimasto sempre da parte.
Qi ci vedo una lettura personale, Beckett quando scrive  aveva cinquant'anni e non aveva figli e non ne avrà abitare in una casa di campagna con un bellissimo paesaggio intorno ma aveva fatto costruire un muro davanti alla finestra Non vederlo e vivrà la sua eredità di dolore specialmente nel rapporto con la madre negli anni che precedono queste scritture poi vivere alla guerra poi incontrerà la sua compagna nei gironi in cui fu accoltellato dal clochard, Suzanne Dechevaux-Dumesnil    e  con lei resterà tutta la vita e sarà sepolto insieme del cimitero di Montparnasse,  che cosa sarà questo amore non è  Detto saperlo, Beckett e la moglie si sono sottratti a tutte le biografie a tutte le possibilità di poterlo dire. Di Beckett si sa che si innamorò poi di un'attrice e questo secondo amore diventò un amore parallelo per molto tempo. Ma con Suzanne fu un’unione indissolubile.
Quello che interessa però secondo me è  che Beckett in questo irriducibile non finire anche  fronte all'estremo e alla fine sta introducendo un meccanismo interiore un meccanismo non detto il meccanismo che affiora, in una battuta di finale di partita a un certo punto Clov dice ad Hamm, “ma perché ti obbedisco?” e Hamm risponde “forse per una specie di pietà?”.
Questa è la chiave più nascosta per leggere Beckett secondo me, la pietà che supplisce una risposta sensata che non si può più dare. Come è noto quando fu accoltellato, Beckett volle vedere il suo accoltellatore, un clochard e a lui chiese “ perché mi hai accoltellato” il clochard rispose “non lo so” e  su questo non lo soBeckett ha costruito tutto il suo non-senso,  il suo assurdo ma tutto quello che ha scritto nasceva dall'aver avuto pietà. Beckett alla fine lascia cadere le accuse contro l'assalitore, in parte per evitare ulteriori formalità, ma anche perché trova in Prudent una persona simpatica e dalle buone maniere.
Beckett non è come Dostoevskij, paradossalmente ha una pietà  E allora  perché vedere oggi Beckett dopo sessant'anni dalla sua scrittura?

 il mondo è cambiato e volendo ha molte altre ragioni per essere spaventato l'odio il rancore il nichilismo la  paura. A tutto questo non c’è risposta, tutto appare non a una risposta di audio Beckett non ce l'ha all'atto aggressivo Beckett non risponde con l'audio risponde col sorriso sorriso assurdo un sorriso clownesco un po' grottesco un sorriso che prende in giro il nostro non sapere ma mai odio contro un gesto violento e dai che testimonia della non esistenza Del nulla della vita rappresentando però questa vita che si ostina ad essere qui una felicità una fisicità della nuda vita di questi personaggi è una smascherata nullità di fronte all'estremo e pure e la nudità del bambino che non può che essere accolto in braccio e ho l'assurdità la il cinismo la comicità Del muto che Beckett ha creato ereditato anche dal cinema in bianche nero e la messa rivitalizzandola nelle sue Cake dell'assurdo. Sono parenti di quelle di Kafka delle posizioni di Kafka ma non sono il cinismo all'assurdo di oggi beccati un uomo etico i suoi personaggi per quanto inariditi dal loro essere instupiditi o dalla loro stupidità loro mancare di senso si tengono sempre vanno andremo avanti andare avanti è una delle battute che vengono ripetute proprio finale di partita

Sotto una cappa di grigio totale sotto il tutto e totalitarismo dell'epoca in cui Dio è morto e l'assoluto è cieco e dal linguaggio non nasce nulla pure i personaggi di Beckett continuano a tarsi la battuta . A che servo io? Chiede Clov, “a darmi la battuta” risponde Hamm. E’ una battuta, un motto di spirito è un gioco meta-teatrale.
 Ma sotto questo sotto questa insistenza della funzione fatica del linguaggio ovvero la funzione del puro contatto,  del rivolgersi a qualcuno (“ehi ehi” non verbale, solo una voce, solo vocativo)  in questo appello all’Altro, sta il cuore segreto della letteratura di Beckett specialmente quella teatrale.
Perché questo vocativo è esplicitato inscena, nella voce, nei corpi degli attori.
I corpi degli attori sono lì nella loro sacrale nuda esistenza e si rivolgono battute e si cercano, al di là di tutto, in modo estenuante, un'ora e mezza sembra non finire mai, perché non finire mai della vita è il residuo che si sottrae al nulla, resta nelle quanto indicibile e si afferma proprio nel residuo del linguaggio, nella Gag. In questo dire solo fàtico, solo casuale, si afferma una ineluttabilità, ma anche dunque una resistenza etica  dello stare-qui,  insieme. A tenerci, anche la battuta anche il riso.
 Beckett, come Celan per la poesia, è colui che smentisce Adorno, che scriveva che dopo Auschwitz non si potesse fare più poesia. Beckett ingloba la morte e l’orrore, certo li fa suoi, non si nasconde la miseria e il deserto,  interiore e non solo, ma  nonostante l'orrore “si va avanti “ come dice spesso Hamm.
C'è il nulla intorno annoi ma non si può “non vivere”-  Oltre ogni azzeramento ogni oltre ogni svuotamento oltre ogni realtà il realismo pure necessari oltre di smascheramento di tutti sentimenti conteniamo a dire conteniamo ad andare insieme ci dicono sempre le coppie di personaggi sul palcoscenico aspettiamo andiamo È un'immobilità Che però è un'attenzione nello spazio-tra-due-esseri ,  quindi e in ogni caso un movimento, come il tempo della fisica contemporanea. Non è un progredire ma continua  trasformazione della materia, la materia della vita sono i due,. Beckett benché certo ne condividesse i presupposti in senso esistenzialista, era a mio avviso l’opposto di Sarte. Non “l’inferno sono gli altri”  ma la materia della vita è proprio lo spazio tra un io e l’altro, l’alterità stessa che si mantiene viva nella scena. La vita sono gli altri, materia e relazione che genera la trasformazione, genera  il tempo e finché sarà così  “La partita” non avrà mai fine. 

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