sabato 27 maggio 2023

Rambert, il teatro è un amore che viene provato

 

La Clôture de l'amour non si chiude mai. Non si recinta mai l’amore che è un infinito intrattenimento verbale e se ne sta come su un palco, dentro la recita verissima di un discorso amoroso che è la sola cosa dell’amore che abbiamo.

foto @Masiar Pasquali

Pascal Rambert,
regista francese di lunga carriera e molti premi, ripropone una variazione dei suoi temi e dei suoi stilemi di scrittura e regia anche in “Prima” il nuovo lavoro che ha debuttato in prima assoluta al Piccolo Teatro di Milano in scena fino al 28 maggio. La scrittura del drammaturgo francese è  arabesco di parole a fronte di scene spesso scarne, con attori statici in una distanza di monologhi contrapposti. di attori  stati, nella distanza come in un quadro o un fotogramma sospeso. C’è un fondo di Eros che agisce incontrollato, ma come negazione dell’ “amore”, sua impossibilità continua,  nei lavori di Pascal Rambert, come era per l’appunto nello spettacolo del 2011, (Chiusura/fine dell’amore) suo grande successo internazionale, pluripremiato, prodotto in Italia da Ert Emilia Romagna sotto la direzione di Claudio Longhi  con Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi.
 Ora Longhi, spostatosi a dirigere il Piccolo Teatro di di Milano, ha chiamato a sé Rambert come artista associato e il teatro milanese produce (  con Structure production e Compagnia Lombardi-Tiezzi) “Prima”, capitolo di apertura di una trilogia pensata per tre stagioni, per raccontare quello che accade in scena e nella vita “Prima”, “Durante” e “Dopo” (sono anche i tre titoli)  la messa in scena di uno spettacolo.

“Quando inizio a scrivere un nuovo testo –
spiega Rambert nelle note – ancora prima della stesura ha
luogo la scelta degli interpreti” e la scelta è stata orientata da stima o familiarità: Anna Della Rosa, che ha già interpretato sue piéce, Anna Bonaiuto, , Marco Foschi, Leda Kreider, Sandro Lombardi. Ogni attore in scena (ma va detto subito, tutto in Rambert poroso nella dialettica scena-vita) è un personaggio col proprio nome proprio: Sandro, regista e interprete di uno spettacolo su “La battaglia di San Romano” di Paolo Uccello che dirige Marco, Anna, Anna, Leda. I quali intrecciano -  come già in altri lavori – vita e palco e ancora una volta (Répétition è del resto titolo/parola chiave per Rambert) si dà vita allo schema dei monologhi in successione (Qui dichiarazione o respingimenti dell’amore) che accentuano – proprio come la tecnica compositiva di Paolo Uccello per il trittico della battaglia – la forma evolutiva di questo nuovo dramma che fa anche molto ridere, non verso un punto di fuga (prospettiva unica) ma a sta sospeso in più punti di fuga (perspectiva naturalis). Nel segno dell’amore come significato impossibile, le fughe (come musicali)  si basano allora sull’esecuzione di una variazione il cui modulo centrale è il sintagma “io-ti-amo” o “io-non-amo”.  

I cinque sono spinti dal desiderio, ma l’altro sempre si sottrae: “Prima” è una sequenza di dissimetrie erotiche. L’amore impossibile di Anna, attrice matura ( che inzia a sentire la paura della morte, dell’uscita di scena del vivere) per il giovane aitante Marco, a sua volta diviso tra la compagna, Anna e una passione per Leda, che a sua volta rifiuta l’amore di Marco, il quale rifiuta quello di Sandro, convinto che tra lui e Marco ci sia amore. L’amore è una storia di fantasmi (come il teatro). Tutto questo accade mentre provano la pièce su Paolo Uccello. Ma accade anche perché provano. L’amore si prova. Infatti, è una recita. Rambert però non è un concettoso del meta-teatrale, è più un capriccioso deus ex machina di una fluidità, portando attori e attrici (personaggi(personagge)  a smarrire il confine tra privato e pubblico. In piccoli frammenti in cui gli attori si decidono a provare realmente La Battaglia ( con stilizzate macchine di lance e armature, che ogni tanto compaiono, portate via poi da due paggetti) la loro recitazione è meccanica (fanno memoria). Però ciò che fa esplodere il desiderio e soprattutto gelosie, sono però gli “atti” in scena i corpi, le singole battute (il modo con cui Marco dice “cavallo lanciato” che eccita Anna). che sono tuttavia la seduzione infinita del teatro, ma anche la sua impalpabilità e l’impossibilità di poterne fare una Clôture, un accerchiamento su un palco.


C’è sempre un retro, un altrove, una porta che si apre e che da su ciò che palco non è, ma dai camerini,  attraverso l’interfono che resta acceso – strumento per gli attori per capire quando entrare in scena – che invece vengono ascoltati e rubati i discorsi amorosi, le dichiarazioni i tentativi di conquista o i respingimenti. L’amore non esiste, esiste soltanto la sua continua battaglia. Passano gli anni e ora Rambert intreccia all’Eros anche la prospettiva della morte (“Chi si ricorda gli attori morti” dice Anna, “Dov’è il mio futuro” dice Sandro a cui sono affidati due assoli, l’ultimo dei quali si chiude sulla rievocazione primaria, l’amore per la madre il cui fantasma Sandro evoca guardando un posto in galleria (con un ribaltamento delle luci tra penombra del palco e tagli di luce sulla poltrona). Proprio questo monologhi è l’apice di un una recitazione e di una senso del teatro che sembra stare in equilibrio tra l’ironia, la selva lussureggiante della lingua  in un tessuto magniloquente  che però dà il suo meglio quando è in francese, fatto da suoi attori. Amore o teatro che sia, esistono solo nell’esecuzione di quel discorso, di quella recita.

 L’amore come il teatro è quando il suo discorso tiene la presenza, sebbene distanza, anche nella banalità delle parole che lo dicono, (così come per gli attori che sono “avvelenati dal testo” noi siamo colonizzati dal linguaggio). L’impressione è che a Rambert interessi sempre più il discorso filosofico che non il teatro. Anzi, si prende il rischio di ridicolizzarlo, sebbene poi “funzioni” ma sia anche una trappola.  Anche  questo “Prima” subisce gli stessi equivoci (o forse Rambert in qualche modo sadicamente li sfrutta accentuandoli) e dunque c’è ironia in certi toni eccessivi, in certa recitazione enfatica  o un po’ querula, addirittura melodrammatica? C’è sadismo amoroso nel portare questa serie di ripetizioni a due ore? Rambert che non può che ripetersi, lascia l’ambivalenza della sua porosità tra la genialità e la banalità, come una dichiarazione d’amore per Cechov.

MDS

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