domenica 7 maggio 2023

Usare come lente un fondo di bottiglia: Anne Carson e "Vetro, Ironia e Dio" (Crocetti)

 

Mi fa uno strano effetto leggere oggi, meritoriamente pubblicato da Poesia Crocetti Editore nel 2023, questo “Vetro, Ironia e Dio” apparso negli Stati Uniti nel 1995.

C’è una qualche ragione per cui i libri di Anne Carson vengono pubblicati oggi in Italia ? (a parte due o tre titoli nei primi anni duemila, per Bompiani e Donzelli) e grazie soprattutto a Utopia Editore -  magari ci torno alla fine.

 Anne Carson avvia questo libro partendo da uno dei dolori che più sono comuni, la fine di una relazione, vissuta nella forma che si riconnette alla matrice prioritaria di ogni psiche: l’abbandono, lo strappo, la manque che ci getta nel mondo. E che innesca un teatro della ripetizione di quella ferita nel tentativo di abolirla. Così  la poesia di Carson nella scelta delle immagini e degli accostamenti, nel montaggio offre un’arma potente al disarmo, le parole che possono smontarlo. Lo scrive ad esempio così: 

Tutto quello che so dell’amore e delle sue necessità
l’ho imparato nel momento
in cui mi sono ritrovata 

a offrire il mio piccolo fondoschiena rosso come un babbuino
a un uomo che aveva smesso di amarmi. 

Questo versi si infilano come uno stiletto nella carne. Sono contenuti nel lungo poema – essay che apre Glass, Irony and God,  intitolato “Il saggio di vetro” (il libro è poi  diviso in quattro parti: “La verità su Dio”, “La caduta di Roma: una guida di viaggio”, “Il Libro di Isaia”, “Il genere del suono” -  Questo “Saggio sul vetro , insieme alla “Caduta di Roma” sono i miei preferiti).  

The Glass Essay intreccia il dolore dell’Io per la fine di una storia d’amore con la perdita imminente del rapporto con la madre – e ancor più col padre perso in una malattia degenerativa -  e su tutto, il modo in cui racconta di sé, in “Cime tempestose”  Emily Brontë  – ma anche le note su lei della sorella Charlotte.  

Forse come certi bambini Anne Carson passa il mondo attraverso un fondo di bottiglia , anzi guarda il mondo da quel fondo, la parte meno trasparente, più deformante,  del nostro vivere nella bolla  “come se fossimo tutti immersi in una atmosfera di vetro”. Poema del  1995, ma ci parla anche degli schermi illuminato con cui tocchiamo il mondo, oggi.

LA lotta con il fantasma e silenzi della madre, la pietà ironica verso la beatitudine di oblio in cui vive il padre. Anne Carson descrive, analizza, raccoglie quello stato esploso della psiche di terremoto delle distanze, riempite col grande vuoto delle brughiere e con le citazioni, gli esempi della letteratura. Domina un sentimento di pietà e rabbia insieme, di tenerezza verso l’amore, nonostante tutto e ironia, appunto, ma quella più infantile e irriverente che quella seduttiva.  

La cosa più importante per questo libro è però la tecnica di composizione, anzi la sua filosofia della composizione, per dirla con Poe. Si mescola arguzia e lirismo, schegge narrative dentro improvvise virate saggistiche, tanto che per le i fu coniata la formula di Lyric Essay. Il montaggio è tuttavia reso fluido dalla tessitura dei rimandi concettuali, in un blank verse irregolare senza rime, ma con una certa dose di omofonie.   Quello che conta sono anche le cose da dire, anzi il rischio a volte nei libri di Carson è che ci sia come un sovraccarico di nozioni irrelate, che può far pensare a un esibizionismo, un po’ estetizzante (vita come arte). Ma non è così a partire dal fatto che c’è il contrario dell’Estetismo, è piuttosto il Disadorno a prevalere. Condito di ironia del ridicolo.

Diciamo che le schegge saggistiche sono un modo per rendere meglio la complessità dell’esistente – e questa mi apre la novità più importante che dagli anni ’90 Carson anticipa e porta anche noi a maturare un’idea chiave: che il verso, le poesie non bastino più e che per fare poesia si deve “eccedere” dalla forma poetica.  Accade anche nel romanzo, nel postmoderno e oltre (Carson è contemporanea all’esplosione anni 90 del postmodernismo iniziato da alcuni geni come Pynchon vent’anni prima almeno).

Dunque, la poesia non basta. Lasciamo “le poesie” ai cantori pop.

 

DUE COSE SUL PERCHE' PROPRIO OGGI ANNE CARSON, VENTI, TRENT'ANNI DOPO

 La poesia oggi non può che passare per una decostruzione e forse anche ricostruzione che usa moltissimo la prosa. Anne Carson lo fa offrendo un esempio inimitabile di Bizzarria, profondità, squarci biografici e dotti, l’on the road con la biblioteca. “Andare a trovare  mia madre è come iniziare un pezzo di Beckett”.

Carson fa un mélange senza attriti di Confessionale e Sperimentale, dice il curatore Patrizio Ceccagnoli e mi pare un’ottima definizione, oltretutto valida anche per autrici come Antonella Anedda  o Gilda Policastro.

C’è una differenza tra la storia dell’avanguardia e della sperimentazione del 900: in quel secolo dominava una riformulazione del Soggetto che andò verso un’abolizione delle vecchie forme e concezioni della soggettività, né ideale né romantica, né costruttivista, ideologica. L’esistenzialismo disidratò al grado zero ogni risposta al mondo, col rischio di sfiorare il nichilismo.

Al contrario, viviamo anni di evoluzione del ripiegamento sul Sé seguito all’esplosione collettivista della cultura – in realtà il resto della massa, quella che non andava a fare il 68 né i festival, né le biennali, era fatta dall’uomo medio privato e il benessere degli anni ’80 porto il sistema totalitario della libertà a carezzare i milioni di individui come fossero Jeune Fille da preparare per il ballo. Decenni di commercializzazione dell’identità come gadget e come vestito hanno contribuito a creare un desiderio di “canto libero” del sé, anzi meglio – con l’avvento dei social – del singolo. Da qui la profusione di auto finzione i racconti del dolore di sé, delle malattie, degli strazi o delle lotte per affermarsi e non essere lasciati nell’angolo. La cultura dell’Inclusione, delle molteplici identità sessuali, post coloniali, marginali,  porta con sé una super-fetazione del confessionale. (E’ Foucault il grande mallevadore, i mandante occulto e inconsapevole dei generi neo-confessional dell’arte). 

Anne Carson ci offre uno straordinario modello Sperimentale per uscirne senza essere banali dal parlare di sé, anzi con la preziosità di una riflessione mobile, cubista del soggetto con sé stesso, ma non ripiegato perché la chiamata in soccorso dei grandi autori, classici o moderni, serve a Carson e a noi per rimodellare l’io-minimo di nuovo su un’idea generale di umanità, possibilmente superando il rischio del passo che potrebbe essere successivo al  Confessional:   il Narcisismo.

E la preferisco alla poesia di Lousie Gluck, troppo professorale. Carson non lo è mai, né professorale, né narcisa. 
  Possiamo chiudere con il giudizio che ne diede  Charles Simic, anche lui poeta del montaggio, dell’assemblaggio: “Anne Carson è una poetessa non convenzionale, spesso difficile… Ciò che per la maggior parte degli altri scrittori sarebbe una tensione irrisolvibile tra diversi generi letterari è diventata per lei un’occasione per esprimersi in modo del tutto originale. Questo fatto rende la lettura dei suoi libri un’esperienza sia entusiasmante che sconcertante”.

Godiamoci questa primavera del nostro sconcerto.

 Postilla personale

Ho letto Carson nel 2010 quando uscì il suo “Antropologia dell’acqua” (Donzelli)  un libro che mi suggerì l’idea di una fluidità, e che che mi portò poi a mettere l’acqua nel titolo del libro di poesie che sarebbe uscito con Crocetti nel 2012 ( che invece per me era nato in anni di viaggi via terra, tra Europa e Medio Oriente, in mezzo alla polvere ma pure attraversando il Mediterraneo,  e così misi insieme la polvere e l’acqua .

A condensare tutto fu poi un’artista colombiana che vidi alla Biennale Arte l’anno prima che presentava la sua opera come una serie di piccoli quadri in cui raccoglieva la polvere e tutti i piccoli residui di una serata passata con amici, catalogandole come un ricordo della esperienza maggiore, attraverso l’infimo del residuo.

Ultima suggestione: mentre giravo per Venezia, vidi qualcuno, affacciato sulla porta di una casa su un canale minore, buttare quel che avevano spazzato in casa nell’acqua. Lo stesso gesto dell’artista colombiana, ma con esito diverso, dispersivo. Quei residui rimanevano sull’acqua, per un po’.

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